I FIORETTI
La Comunione, esperienza del Paradiso
dal Numero 28 del 25 luglio 2021

Il momento culminante della Santa Messa è la Comunione nella quale Gesù si fa cibo e bevanda del sacerdote e di tutti coloro che lo ricevono, come Lui stesso ha affermato diverse volte nel suo discorso sull’Eucaristia: «Gesù disse loro: “In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda”» (Gv 6,53-55). 

Che Dio si sia incarnato facendosi uomo e morendo su una croce per la salvezza di ogni uomo è espressione di un amore senza limiti; che questo stesso Dio-uomo arrivi a offrire la sua carne e il suo sangue in cibo e bevanda della sua creatura è un amore “eccessivo”, al di sopra di ogni aspettativa: «Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino all’eccesso» (Gv 13,1). 

Gesù vuol realizzare l’unione più profonda con l’uomo, con una incorporazione che non è soltanto spirituale, ma che diventa anche fisica, e quindi ancora più totale e completa, nella santa Comunione: «L’incorporazione a Cristo, realizzata attraverso il Battesimo – scrive san Giovanni Paolo II –, si rinnova e si consolida continuamente con la partecipazione al Sacrificio eucaristico, soprattutto con la piena partecipazione ad esso che si ha nella Comunione sacramentale. Possiamo dire che non soltanto ciascuno di noi riceve Cristo, ma che anche Cristo riceve ciascuno di noi. Egli stringe la sua amicizia con noi: “Voi siete miei amici” (Gv 15,14). Noi, anzi, viviamo grazie a Lui: “Colui che mangia di me vivrà per me” (Gv 6,57). Nella Comunione eucaristica si realizza in modo sublime il “dimorare” l’uno nell’altro di Cristo e del discepolo: “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4)» (Ecclesia de Eucharistia, n. 22). 

L’esperienza di san Pio da Pietrelcina è una luminosa esemplificazione di quale unione con Cristo si possa arrivare a sperimentare nella santa Comunione. Il momento della Comunione segnava per il Santo il culmine della sua “straordinaria” Messa. In quel momento le sue estasi dolorose diventavano estasi d’amore. Egli assumeva una espressione soave... si commuoveva, piangeva. Della sua fame eucaristica e di quanto avveniva nella sua anima al momento della Comunione sacramentale è lui stesso a parlarne in alcune lettere che, giovane sacerdote, da Pietrelcina, scriveva a padre Benedetto, suo Padre spirituale. 

Nella lettera del 29 marzo 1911 padre Pio descrive a padre Benedetto il suo stato interiore contrassegnato da forti tentazioni diaboliche, affermando che tutti i fantasmi che il demonio gli mette nella mente spariscono quando si abbandona nelle braccia di Gesù, al quale si unisce soprattutto attraverso l’Eucaristia. Egli scrive: «Ciò che più mi ferisce, padre mio, è il pensiero di Gesù sacramentato. Il cuore si sente come attratto da una forza superiore prima di unirsi a Lui la mattina in sacramento. Ho tale fame e sete di riceverlo, che poco manca che non muoio di affanno. Ed appunto perché non posso di non unirmi a lui, e alle volte colla febbre addosso sono costretto di andarmi a cibare delle sue carni. E questa fame e sete anziché rimanere appagata, dopo che l’ho ricevuto in sacramento, si accresce sempre più. Allorché poi sono già in possesso di questo sommo bene, allora sì che la piena della dolcezza è proprio grande che poco manca da non dire a Gesù: basta, che non ne posso quasi proprio più. Dimentico quasi di essere al mondo; la mente ed il cuore non desiderano più nulla e per molto tempo, alle volte, anche volontariamente non mi vien fatto di desiderare altre cose» (Ep. I, n. 31).

Il 21 marzo 1912 il Santo racconta i trasporti d’amore sperimentati dopo aver celebrato la Messa nella solennità di san Giuseppe: «Ieri, festività di san Giuseppe, Iddio solo sa quante dolcezze provai [...]. La bocca sentiva tutta la dolcezza di quelle carni immacolate del Figlio di Dio. Oh! Se in questo momento che sento quasi ancora tutto mi riuscisse di seppellire nel mio cuore queste consolazioni, certo sarei in Paradiso! Quanto mi rende allegro Gesù! Quanto è soave il suo spirito! Ma io mi confondo e non riesco a fare altro se non che piangere e ripetere: “Gesù, cibo mio!...» (Ep. I., n. 69). 

Il 18 aprile 1912, dopo un feroce attacco del demonio che lo batte “barbaramente”, racconta la sua singolare esperienza mistica avvenuta durante il suo lungo ringraziamento alla Comunione: «A stento potei recarmi al divin prigioniero per celebrare. Finita la Messa, mi trattenni con Gesù per il rendimento di grazie. Oh quanto fu soave il colloquio tenuto col paradiso in questa mattina! Fu tale che pur volendomi provare a voler dir tutto non lo potrei; vi furono cose che non possono tradursi in un linguaggio umano, senza perdere il loro senso profondo e celeste. Il cuore di Gesù ed il mio, permettetemi l’espressione, si fusero. Non erano più due i cuori che battevano, ma uno solo. Il mio cuore era scomparso, come una goccia d’acqua che si smarrisce in un mare. Gesù n’era il paradiso, il re. La gioia in me era sì intensa e sì profonda, che più non mi potei contenere; le lacrime più deliziose mi inondarono il volto. Sì, babbo mio, l’uomo non può comprendere che quando il paradiso si riversa in un cuore, questo cuore afflitto, esiliato, debole e mortale, non lo può sopportare senza piangere. Sì, lo ripeto, la gioia sola che riempiva il mio cuore fu quella che mi fece piangere sì a lungo. Questa visita, credetemi, mi rinfrancò tutto. Viva il divin prigioniero» (Ep. I, n. 74).

Come commentare queste parole di padre Pio che esprimono, per quanto è possibile a «linguaggio umano», l’unione che padre Pio viveva con Gesù nella Comunione! Questa era per padre Pio un saggio del Paradiso, un’esperienza anticipata della Comunione che si avrà con Gesù in Cielo. Di certo non sempre le sue Comunioni saranno state contrassegnate da questa somma gioia e consolazione, ma è certo che anche nel dolore e nell’aridità egli viveva con Gesù eucaristico la più intima unione, da lui definita una “fusione”. La sua descrizione ci dà un’idea di cosa possa essere la Comunione sacramentale fatta bene, di come Gesù si doni alla sua creatura con un amore totale che niente si riserva, perché Gesù si dà tutto, con tutto il suo Cuore, la sua Anima, la sua Divinità, oltre che con tutto il suo Corpo. La creatura che, come il Santo, ne è consapevole e riesce ad accoglierlo con una donazione altrettanto totale di sé, fa veramente una esperienza di Paradiso su questa povera terra. 

 

di Suor M. Gabriella Iannelli, FI,
Il Settimanale di Padre Pio, N. 28/2021

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