I FIORETTI
Difficoltà a tenere la rotta... Giovanni Bardazzi /5
dal Numero 42 del 1 novembre 2020

In una delle prime Confessioni, dopo aver ricevuto l’assoluzione, padre Pio mi indicò la condotta da tenere. Mi disse quello che dovevo evitare e quello che dovevo fare. Mi sembrò un programma impossibile e glielo dissi. «Padre, non ce la faccio». «Presta la volontà, il resto lo fa il Signore», mi rassicurò.

Se c’è da percorrere un chilometro di strada, 900 metri li fa il Signore, ma 100 toccano a te: costi quello che costi. Avevo iniziato a percorrere, con l’entusiasmo del neofita, i miei 100 metri. Ma quanti dubbi, quanti ostacoli, quante riserve e quante testate nel muro ho dovuto battere prima di arrendermi. Gli ho ubbidito. Questo sì. Non ho fatto mai nulla senza chiedere prima il suo permesso e il suo consiglio. Ero alla ricerca di Dio e lo cercavo con tutte le mie forze. Volevo recuperare il tempo perso in tutti gli anni che lo avevo negato e offeso.

Un giorno accompagnai mia moglie e altre persone a Pistoia, a far visita a una donna cieca, molto anziana, che viveva sola. Fra queste persone c’era la Tullia: una signorina un po’ attempata che viveva dalle parti di piazza Ferrucci, a Firenze. Andai a prenderla a casa sua e, appena suono il campanello, era già pronta dietro la porta, completa di borsa, ombrello e cappellino in testa. «T’aspettavo – mi disse –. Me l’ha detto la Madonna che arrivavi». Fu come se mi avesse dato una martellata in capo. «Ma vai a fare una girata!».

Sbattei la porta e venni via. Attraverso il ponte San Niccolò per riprendere i viali. Il cervello mi fumava. Ruminavo le parole che mi aveva detto. “Gliel’ha detto la Madonna, gliel’ha detto! La darà a intendere a qualcun altro. Non a me”.

Arrivo in piazza Beccaria e dovetti tornare indietro, perché pensai che, se è vero che gliel’ha detto la Madonna, dev’essere ancora ad aspettarmi.

Risuono il campanello ed era sempre lì, dietro la porta, con borsa, ombrello e cappellino. A Pistoia trovammo una scena orribile. La poverina era immobile, a letto. Il disordine regnava sovrano. Escrementi sparsi un po’ dappertutto e lei stessa ne era imbrattata. Un fetore insopportabile ammorbava tutta la stanza. Nonostante tutto, la Tullia la strinse in un caloroso abbraccio e rivolta verso di me esclamò: «Giovanni, guarda dov’è Gesù. È qui!», indicandomi l’inferma.

Io non ero mai entrato in quella casa, né mi ero mai trovato in una situazione simile. Superato lo sconcerto, uscii per andare a comprare l’occorrente per fare un po’ di pulizia all’inferma e al locale. Terminata l’operazione, restammo ancora un po’ per farle compagnia. Al momento del commiato, mi salutò con queste parole: «Giovanni, Giovanni, aprirai le vie del Signore!».

Lì per lì, non compresi il senso di quelle parole. L’ho capito in seguito, con quello che mi è accaduto.

Con una signora dalla maga

Ora passo, come si dice, di palo in frasca. I viali sopra menzionati mi hanno fatto ricordare un altro fatterello di tutt’altro genere.

Nel viale che va da piazza della Libertà a piazza Beccaria operava una famosa cartomante. Un giorno, una cliente che conoscevo ed era al corrente della mia situazione, mi chiese un servizio per andare a farsi fare le carte. Le feci presente che non era lecito, per i credenti, consultare certe persone. «In fondo – obiettò –, si tratta solo di innocui tarocchi».

Si parte. Durante il percorso, da Prato a Firenze, decisi che sarei andato anch’io a farmi predire il futuro, con una riserva però: “Non la pago – dissi fra me –: se è vero che indovina, deve sapere anche il pensiero che ho fatto”.

La signora che avevo accompagnato viene ricevuta e, quando ebbe finito, entro io. Mi accomodo a sedere e inizia la litania delle solite frasi fatte. Al termine, mi sento dire: «Ventimila!». «No! Non ti do una lira. Se veramente prevedevi il futuro, dovevi sapere che non avrei messo mano al portafoglio».

Gli improperi e le maledizioni mi accompagnarono fin sulla strada. Non ho mai messo più piede da certe persone. Non tarocchi innocui, né magia bianca, né magia nera: è tutta opera del diavolo. State alla larga. «Il demonio – diceva padre Pio – è un cane legato a catena. Se stai lontano, non ti può fare del male, ma se ti avvicini, ti sbrana».

Riprendiamo il filo. Continuavo l’attività di tassista, e tutte le settimane portavo i clienti a San Giovanni Rotondo. Era la mia unica fonte di guadagno, perché, come ho detto, con la stoffa avevo chiuso, dietro ordine del Padre. I conti non tornavano quasi mai e le entrate erano quasi sempre inferiori alle uscite.

Occorreva quindi tentare in un’altra direzione. I tempi erano maturi per fare «l’olio con l’acqua». Si trattava di «lavare», con un semplice processo chimico, oli minerali esausti per motori e, così purificati, rimetterli in commercio. In seguito, questa lavorazione fu abbandonata e si passò a produrre un «ausiliare tessile», come viene chiamato tecnicamente, usando prima olio di sansa al quale si aggiungeva l’acqua poi altri materiali derivati dal petrolio, che con l’olio non hanno più nulla a che fare. Nacque così la ditta LOMS, tuttora attiva, della quale faceva parte, come socio, anche padre Pio.


Una nuova avventura lavorativa

A dirlo, ci vuole poco, ma tra il dire e il fare... Bisognava trovare dei capitali, acquistare del terreno e costruire un capannone dove mettere i macchinari.

In un viaggio, portai da padre Pio un signore che aveva in progetto di dedicarsi al riciclaggio dei lubrificanti esausti per motori. «Mettetevi insieme», ci suggerì il Padre.

Tutto si dipanava sotto la sua alta guida. Alla base di tutto, c’era però un equivoco: lui credeva che i capitali li avessi io e io pensavo che li avesse lui. Si mette al corrente il Padre della situazione e ci si sente rispondere: «Siete due pezzenti, state bene insieme».

Ci consigliò di chiedere un prestito. Trovammo cinquecentomila lire da un signore di Prato, proverbiale per la sua tirchieria. Non solo ci concesse il prestito, ma non volle nemmeno gli interessi. Trovai due appezzamenti di terreno: uno a Santa Lucia e uno nel comune di Calenzano, frazione «Nome di Gesù», lungo la strada che da via Pratese va verso Campi Bisenzio. Chiesi consiglio al Padre circa quale dei due acquistare. «Meglio il Nome di Gesù», suggerì.

Era un lotto di diecimila metri quadrati, ma a me ne bastavano solo mille e mille ne comprai. A quel tempo, il terreno costava sulle 600 lire al metro quadro. Detti un piccolo anticipo e il resto a cambiali: un tanto al mese. In un viaggio successivo, il Padre volle sapere quanto terreno avevo acquistato e quando gli dissi la quantità, rimase sorpreso: «E non ce ne stava più?». Obiettai che era già tanto l’impegno che mi ero preso. «E prendilo tutto!», rispose.

Quando tornai, trovai a casa il proprietario del terreno, che era venuto a offrirmi anche gli altri novemila metri.

Con regolare atto notarile costituii la ditta LOMS, con sede in via di Capalle 46. Iniziai a costruire il capannone, avendo in tasca il solo compromesso del terreno. Grave errore che, in seguito, mi farà passare dei giorni tremendi. Dalla finanza mi fu concessa la regolare licenza per la rigenerazione degli olii esausti e, appena il locale fu agibile, iniziai la lavorazione. I miei capelli sono tutti bianchi ma sono sicuro che, almeno la metà, sono diventati così in quel periodo. Il socio abbandonò l’iniziativa e rimasi solo. Altri soci, nel corso degli anni, hanno fatto parte della LOMS, fra i quali un ingegnere di Lucca, alto dirigente di una società per la distribuzione dell’energia elettrica a carattere nazionale, il cui intervento contribuì non poco alla fornitura della corrente elettrica alla Casa Sollievo della Sofferenza. Corrente elettrica che, fino ad allora, veniva assicurata con l’impiego di gruppi elettrogeni.

Con il Padre al mio fianco


Gli inizi non furono brillanti. Anzi. Devo dire, però, che per sei anni consecutivi il Padre è venuto a casa mia tutte le notti: dandomi il coraggio, l’assistenza, i consigli e la forza per andare avanti. Io ero completamente all’oscuro di questo lavoro. Avevo fatto a stento la terza elementare. Chi si era mai interessato di chimica! Mi fece conoscere un insigne professore di questa disciplina che mi fornì la formula e un dottore di Prato che mi assisteva durante le varie fasi della lavorazione.

L’episodio dei «pifferi» risale appunto a quell’epoca. Mi era venuto all’orecchio che, nelle vicinanze di Roma, era disponibile una grossa partita di olio esausto. Occorreva andare e trattare l’affare. Ero a San Giovanni Rotondo, misi al corrente il Padre e domandai chi dei soci (a quel tempo eravamo in quattro) doveva andare a trattare l’acquisto. «Vacci tu», mi disse. «Padre, siamo in quattro attualmente, perché proprio io?». «Vacci tu – insistette –. Ma attento agli zampognari!».

Molte volte il Padre dava delle risposte o pronunziava delle frasi che, lì per lì, risultavano incomprensibili, a me come a tante altre persone. A lui era concesso di vedere e prevedere tutto nella luce di Dio. Io, invece, non seppi trovare una risposta logica per gli zampognari. I fatti che mi successero dopo me la dettero: chiara.

Prendo il treno e scendo in un albergo vicino alla stazione Termini. Pioveva, comprai un ombrello. Erano prossime le feste natalizie. Dopo cena, mi metto a sedere nell’atrio dell’albergo. Nella poltrona di fronte a me si piazza, a gambe accavallate, una bella signora. Tira fuori dalla borsetta le sigarette e mi domanda del fuoco. Non aveva finito di dire fuoco, che ero già sotto il suo naso con l’accendino. Le siedo accanto e si comincia a parlare. I soliti convenevoli. Dopo una breve conversazione, si decide di finire la serata al cinema. Si esce e apro l’ombrello per proteggerla dalla pioggia. Mi prende sottobraccio per attraversare la strada. Appena messo piede nel marciapiede di fronte, ecco il caratteristico suono di una zampogna. Ecco che voleva dire il Padre! Fu un attimo. Lascio signora e ombrello e scappo via. Mi rincorse la sua voce: «Signore, signore, non andiamo più al cinema?». «No! Ci vada da sola!».

Occorsero più di quattro anni per ottenere un prodotto passabile. Quante difficoltà ho dovuto superare! Da principio, veniva un prodotto opaco che il mercato rifiutava. Prove su prove. Poi mi successe un disastro. Le cose andarono così.

Il processo per «purificare» questi olii esausti avveniva a caldo. Dentro una capace caldaia, facendo fuoco sotto, dovevo portare la materia prima a una certa temperatura: circa 180°. Una volta raggiunto il valore stabilito, dovevo aggiungere un additivo. Con la scala salivo e scendevo continuamente per il controllo della temperatura. Questo saliscendi m’era venuto a noia. Per fare prima, feci una bella infornata di legna e mi misi a cavalcioni alla caldaia. Dopo un po’, vidi che il liquido cominciava a ondeggiare. Mi prese paura e scesi. Feci appena in tempo a mettere i piedi in terra che successe il finimondo. Avvenne come un’esplosione. L’olio bollente fuoriusciva con turbolenza dalla caldaia, rovesciandosi sul pavimento. Possedevo, a quel tempo, un’auto Fiat Giardinetta: prese fuoco anche quella. Ci rimase solo, annerito, il telaio di ferro. A una parete del capannone avevo messo un ritratto del Padre. Me la presi anche con lui e in uno scatto di rabbia: «Ci hai colpa anche te!», gli dissi e lo girai con la faccia al muro. C’erano le cambiali da pagare e la cassa era vuota. La notte seguente, nella solita visita, mi dice: «Non ti azzardare un’altra volta a fare certe cose. Sii prudente. Vai a vedere il disastro che hai combinato». Dopo questo incidente, l’olio veniva limpido, ma facendolo a fuoco diretto prendeva un odore sgradevole e i clienti non lo volevano. «Ma che ci metti le cipolle!», si lamentò una volta uno. Infatti, puzzava proprio di cipolle. Morale della favola: c’era da pagare e soldi non ne avevo. Per fortuna, avevo trovato un aiuto insperato nel segretario del comune di Calenzano che mi teneva ferme le cambiali scadute da una settimana e anche oltre. 
/ continua

estratto da: Giovanni Bardazzi,
Un discepolo di Padre Pio, pp. 53-61

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