RELIGIONE
La natura eucaristica del celibato sacerdotale
dal Numero 21 del 26 maggio 2019
di Suor M. Gabriella Iannelli, FI

La verginità e la castità devono essere per il sacerdote non un peso, ma l’esigenza più profonda della sua anima, chiamata all’intimità e all’unione con Cristo Sposo in ogni momento della sua vita, specie quando celebra la Santa Messa.

Sacerdozio, Eucaristia e purezza devono essere realtà inscindibili nell’anima di un ministro di Dio. Riportiamo qui le considerazioni di un sacerdote santo che avverte fin nelle fibre più intime il bisogno di purezza per ascendere all’altare: «Quando mi incammino al Tempio di Dio per celebrare la Santa Messa, sento la necessità di esser puro come un Angelo, perché mi avvicino alla purezza per essenza. [...]. Sento che la purezza non è mai abbastanza per queste mani che toccano il corpo del Signore e per questo cuore ch’è arca viva del suo amore; perciò mi rifugio sotto il manto immacolato di Maria, e la supplico di imbiancarmi con gli splendori della sua verginità. [...]. Verginità, verginità, candore che avvolge la putredine umana d’un manto regale, e rende fioritura di gigli questo corpo che dà solo spine, quanto è sublime la tua attrattiva! [...]. Che cosa ineffabile pensare alla verginità celebrando la Messa ch’è la più verginale delle azioni sacerdotali! Essa è purissima offerta dell’Agnello immacolato, è atto di glorificazione incontaminata a Dio Uno e Trino, è inno erompente dalla Chiesa» (1).
«La Chiesa, come Sposa di Gesù Cristo – afferma san Giovanni Paolo II –, vuole essere amata dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo Capo e Sposo l’ha amata» (2), e Cristo ha amato la Chiesa fino a donare la vita per essa, fino ad effondere tutto il suo sangue. Per questo il sacerdote, attraverso la donazione totale di sé, deve poter arrivare a immolarsi con Cristo e in Cristo per la Chiesa: «Potremmo così parlare non solo di “natura sponsale” del celibato, ma della sua “natura eucaristica”, derivante dall’offerta che Cristo fa di se stesso perennemente alla Chiesa, e che si riflette in modo evidente nella vita dei sacerdoti. Essi sono chiamati a riprodurre, nella loro esistenza, il sacrificio di Cristo, al quale sono stati assimilati in forza dell’ordinazione sacerdotale. Dalla natura eucaristica del celibato ne derivano tutti i possibili sviluppi teologici, che pongono il sacerdote di fronte al proprio ufficio fondamentale: la celebrazione della Santa Messa, nella quale le parole: “Questo è il mio Corpo” e “Questo è il mio Sangue” non determinano soltanto l’effetto sacramentale loro proprio, ma, progressivamente e realmente, devono modellare l’oblazione della stessa vita sacerdotale» (3).
Con questo spirito di oblazione eucaristica il sacerdote deve affrontare e vivere i momenti di prova della castità, in cui il sacrificio della rinuncia si avverte di più e la tentazione di cedere diventa più forte e persistente. Il ricorso all’Eucaristia, il desiderio di associarsi al Sacrificio di Cristo celebrato ogni giorno nella Messa, il ricorso alla Madonna, gli permetteranno di superare le crisi, e di dimostrare a Cristo la propria fedeltà, che non ha valore se non viene provata, come “l’oro nel crogiuolo”.  
Il sacerdote – spiega il Santo Padre Giovanni Paolo II – «prende la decisione per la vita del celibato solo dopo essere giunto alla ferma convinzione che Cristo gli concede questo “dono” per il bene della Chiesa e per il servizio degli altri. [...]. Si tratta qui di mantenere la parola data a Cristo e alla Chiesa. [...]. Ciò si manifesta in tutta la sua chiarezza, quando il mantenimento della parola data a Cristo, attraverso un consapevole e libero impegno celibatario per tutta la vita, incontra difficoltà, viene messo alla prova, oppure è esposto alla tentazione, tutte cose che non risparmiano il sacerdote, come qualunque altro uomo o cristiano. In tale momento ciascuno deve cercare sostegno nella preghiera più fervente. [...]. È allora che nasce una fiducia simile a quella che san Paolo ha espresso con le parole: “Tutto io posso in colui che mi dà forza” (Fil 4,13) [...]. Dio ha diritto a tale prova nei riguardi di ciascuno di noi, se è vero che la vita terrena è per ogni uomo un tempo di prova. Ma Dio vuole parimenti che usciamo vittoriosi da tali prove, e ce ne dà l’aiuto adeguato» (4).
L’Eucaristia amata, celebrata, vissuta è il segreto per superare ogni prova e tentazione. Unirsi a Cristo nella Messa e nella Comunione quotidiana significa far circolare dentro di sé una vita tutta soprannaturale, che si nutre di amore di Dio e non ha bisogno di compensazioni nella carne, così da poter amare con affetto trasfigurato ogni persona, senza cedere agli istinti e alle passeggere emozioni e sensazioni.
Alla luce di tutto ciò si capisce bene che non è un “problema” o qualcosa di impossibile il vivere la castità nella vocazione sacerdotale, ma il problema è piuttosto quello di lasciarsi distogliere da ciò che è fondamentale e vitale: il rapporto profondo con il Cristo eucaristico, nella comprensione della natura più intrinsecamente propria del Sacerdozio che assimila a Cristo, Vittima purissima, il quale si fa Eucaristia: Pane spezzato e Sangue versato per la salvezza dell’umanità (5).  


NOTE
1) Don Dolindo Ruotolo, Nei raggi della grandezza e della vita sacerdotale, Napoli 1940, pp. 214-15.
2) Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, n. 23.
3) Card. Mauro Piacenza, Il celibato sacerdotale nell’insegnamento dei Pontefici, conferenza tenuta nell’ambito del convegno Il celibato sacerdotale, fondamenti, gioie, sfide, Ars, 24-26 gennaio 2011.
4) Lettera ai vescovi e ai sacerdoti, Giovedì Santo 1979.
5) Cf. sull’argomento: Il sacerdozio ministeriale: l’amore del Cuore di Gesù, Atti del Convegno Roma, 10-12 dicembre 2009, Frigento 2010, p. 428; R. Lavoratori - R. Poliero, Il Prete: identità e missione. Squarcio sul Mistero, Frigento 2013, p. 528.

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