RELIGIONE
La “Somma opera di Dio”. L’Incarnazione nel pensiero di Duns Scoto
dal Numero 43 del 8 novembre 2020
di Padre Pio M. Steman

Nella mente e nel cuore del beato Scoto c’è una verità radiosa: tutto sempre è finalizzato alla massima gloria di Dio. L’Incarnazione del Verbo non è solo un rimedio occasionato dal fallimento del piano originario di Dio. L’Incarnazione è da sempre, e incondizionatamente, pensata da Dio come la sua “somma opera glorificatrice”.

Così il beato Scoto definisce il Verbo Incarnato: “Somma opera di Dio”. La sua visione di Cristo – riflesso e sviluppo mirabile di quella del Serafico Padre san Francesco – è veramente sublime, e su di essa si fonda il cristocentrismo della Scuola francescana fatto proprio, difeso e portato avanti da tutti i santi e maestri dell’Ordine minoritico.

Gesù è la sintesi dell’universo creato e increato. Gesù è il vertice supremo di ogni essere. Gesù è il centro assoluto del cielo e della terra.
Il principio su cui si basa il beato Scoto, e con lui tutta la Scuola francescana, è questo: Gesù, come uomo, è la prima creatura pensata e voluta da Dio, per se stessa.

È chiaro che qui si parla di “prima creatura”, non in senso cronologico, né solo in senso di dignità e di valore supremo, ma in senso di causalità finale, esemplare ed efficiente nel senso cioè che tutte le altre creature – celesti e terrestri – dipendono da Cristo, sono state fatte per mezzo di lui e in vista di lui, come dice splendidamente san Paolo: «Egli è l’immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli, e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (Col 1,15-20).

È vero che questo celebre testo di san Paolo non da tutti è interpretato come l’hanno interpretato il beato Scoto e la Scuola francescana, che riferiscono ogni singola affermazione di san Paolo al Verbo Incarnato (e non al solo Verbo, come fanno altri). Ma è certo, però, che molti Santi Padri lo interpretano come il beato Scoto, specie fra i Padri greci. E si aggiungano anche i nomi prestigiosi di sant’Alberto Magno e di san Francesco di Sales. Ma prima di tutti, per il beato Scoto, viene il suo Serafico Padre che, con pensiero folgorante, scrisse: «Considera, o uomo, in quale stato ti ha messo il Signore, poiché ci ha creato e formato ad immagine del suo Figliolo diletto secondo il corpo, e a sua somiglianza secondo lo spirito». 
Quindi il corpo di Gesù è la causa finale ed esemplare del corpo dell’uomo! Ecco, in che senso reale, come dice san Paolo, Dio fece tutto «in vista di lui» (Col 1,16).

Le risposte del beato Duns Scoto

A questo punto, però, possiamo chiederci: ma perché avvenne l’Incarnazione del Verbo di Dio? Non avvenne forse per redimere l’uomo dalla colpa?

La risposta del beato Scoto è questa: l’Incarnazione del Verbo avvenne prima per la massima glorificazione e il massimo amore da dare a Dio, e poi per la redenzione dell’uomo dalla colpa.

Se, infatti, vogliamo pensare ad una gloria infinita e ad un amore infinito che Dio poteva ricevere dal creato, solo il Verbo Incarnato, per l’unione ipostatica della natura umana assunta dalla Persona divina, poteva realizzare la massima gloria di Dio e poteva rispondere all’amore infinito di Dio con pari amore. Questo è il primo e fondamentale motivo dell’Incarnazione, indipendente per sé dal secondo (la redenzione dell’uomo); ossia, è il primo e fondamentale motivo che basta da solo a spiegare l’Incarnazione, senza dovere ammettere necessariamente il motivo della redenzione dell’uomo. Per questo – incalza il beato Scoto – l’Incarnazione del Verbo ci sarebbe stata, anche senza la caduta originale degli angeli e degli uomini.

Non c’è motivo, infatti, di ritenere che Dio non avrebbe dato all’universo celeste e terrestre la possibilità di ritrovarsi in Cristo Gesù, a compiere il supremo atto di glorificazione e di amore alla Trinità, se non ci fosse stata la caduta originale degli angeli e degli uomini, così come sosteneva, appunto, la Scuola tomista.

«Dico – scrive invece il Beato – che la caduta non fu la causa della predestinazione di Cristo. Anzi, anche se non fossero caduti né l’uomo né l’angelo, anche se oltre Cristo non vi fossero stati altri uomini da creare, il Cristo sarebbe stato ugualmente predestinato in tal modo».

Infatti, «se la caduta – continua il beato Scoto – fosse la ragione della predestinazione di Cristo, ne seguirebbe che la più grande opera di Dio (summum opus Dei) sarebbe del tutto occasionata, [...] e sembra molto irragionevole che Dio avrebbe omesso un’opera così grande (tantum o pus) per una buona azione di Adamo, se egli cioè non avesse peccato».

Ma possiamo ancora chiedere: la Chiesa non ha sempre insegnato espressamente che l’Incarnazione del Verbo avvenne per redimere l’uomo dal peccato, come ci fa cantare nel Credo: «discese dal cielo per la nostra salvezza»?

Certamente – risponde il beato Scoto, e con lui la Scuola francescana –. Ma bisogna pure ammettere che la Chiesa non ha mai sostenuto che questo sia l’unico, esclusivo e neppure il principale motivo dell’Incarnazione. La nostra Redenzione – precisa il beato Scoto – è solo un motivo conseguente, importantissimo senza dubbio, ma non così come il primo e fondamentale motivo della massima glorificazione e amore di Dio.

Possiamo insistere ancora chiedendo: ma come spiegare, allora, tutti i passi scritturistici e i testi dei Santi Padri, che parlano solo di Incarnazione per la redenzione, e basta?

Il beato Scoto risponde così a questa difficoltà: «Tutte le testimonianze della Sacra Scrittura e dei Padri, le quali sembrano affermare che Cristo non si sarebbe mai incarnato se Adamo non avesse peccato, possono essere intese nel senso che Cristo non sarebbe venuto come Redentore se l’uomo non fosse caduto; forse in tal caso non sarebbe venuto in carne passibile, non essendovi necessità che l’anima di Cristo, da principio gloriosa e preordinata da Dio a gloria così grande, fosse unita ad un corpo passibile».

Una dottrina più degna di Dio...

Dalle risposte del beato Scoto appare evidente che, nella sua mente e nel suo cuore, c’è una verità luminosa e radiosa: tutto e sempre deve essere finalizzato primariamente a Dio, alla sua gloria e al suo amore. Ciò deve valere soprattutto per la somma opera di Dio – Gesù Cristo – «nel quale abita corporalmente la pienezza della divinità» (Col 2,9), nel quale il Padre si è «compiaciuto» (Mt 3,17), nel quale ci ritroviamo anche noi tutti, per essere tutti di Dio: «Voi di Cristo, Cristo di Dio» (1Cor 3,22).

È chiaro che questa dottrina del beato Scoto – come giustamente è stato detto da molti – è più degna di Dio. L’Incarnazione, infatti, non è solo un rimedio per un piano di Dio che è andato fallito, a causa della caduta degli angeli e degli uomini. No, l’Incarnazione è l’espressione somma della gloria e dell’amore che Dio riceve dal creato attraverso Cristo, prescindendo dal rifiuto degli angeli e degli uomini. Indipendentemente dalla risposta delle creature, Dio realizza il suo disegno divino della somma gloria e del sommo amore nel Verbo Incarnato: «Il suo Cristo – scrive lo studioso Breton – gli basta in tutto e per sempre: Dio si compiace infinitamente nel ricambio di amore che il suo Cristo gli tributa, perché corrisponde a quanto egli stesso offre, e il rifiuto delle altre creature non fa deviare il suo piano».

Così, infatti, diceva il Serafico Padre san Francesco con una frase semplice e scultorea: «Gesù basta a tutto».

... più degna di Cristo

Inoltre, la dottrina del beato Scoto è più degna di Cristo. Ed è evidente anche questo. Perché, se il peccato di Adamo fosse stato il primario motivo dell’Incarnazione, bisognerebbe concludere che Gesù, la “somma opera di Dio”!, è stata solo occasionale, e anzi è scaturita dal demerito di Adamo, e rende in certo senso... meritoria la colpa degli angeli e degli uomini.

Al contrario, secondo il beato Scoto, il Verbo si è incarnato direttamente per realizzare il disegno grandioso della gloria e dell’amore universale di Dio. A questa finalità suprema si è poi aggiunta quella redentiva dell’uomo, espressione anch’essa di un amore spinto fino all’estremo, secondo la misura proclamata da Gesù Cristo stesso: «Nessuno ha amore più grande di colui che dona la sua vita per i suoi amici» (Gv 15,13).

Gesù, infatti, poteva redimerci con un sospiro, e invece ha voluto redimerci con la tremenda Passione e Morte. Perché? Solo perché così “ha voluto Lui stesso” (Is 53,7): Lui stesso, ossia Dio Amore!
Chi non vede, in tal modo, il primato assoluto dell’amore nell’Incarnazione e nella Redenzione? E il primato assoluto di Cristo, Re di gloria e di amore?

... più degna della Vergine Maria

Infine, è ben facile ammettere che la dottrina del beato Scoto è la più nobile e degna della Beata Vergine Maria.

È ovvio, infatti, che la Madre è tutta relativa al Figlio, tutta inseparabile dal Figlio; e se Gesù è la prima creatura pensata, voluta e predestinata da Dio, è tale necessariamente anche la Madre da cui Gesù è stato fatto e da cui nascerà. Se Gesù, in forza del primato assoluto sul creato celeste e terrestre, è il Re glorioso nei secoli dei secoli, Maria, sua Madre, è anch’essa la Regina gloriosa degli angeli e degli uomini, del cielo e della terra.

Quale gloria sublime tocca alla Beata Vergine secondo la dottrina del beato Scoto e della Scuola Francescana!

Se amiamo Gesù, se amiamo l’Immacolata, come non augurarci che questa dottrina del beato Scoto e della Scuola francescana sia definita anch’essa dalla Chiesa come dottrina di fede?

La somma teologia e la somma poesia, la somma santità e la somma arte, tutto ciò che di bello e prezioso si possa trovare nelle profondità più arcane della terra e ai sommi cieli, tutto è poco per amare e glorificare il Signore dell’universo con Maria sua e nostra Madre, e tutto dobbiamo mettere in atto, per affrettare la suprema glorificazione di Cristo e di Maria, secondo la visione grandiosa che il beato Scoto ha presentato all’umanità, cogliendola da san Giovanni Evangelista e da san Paolo, come notava il papa Paolo VI.

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