ATTUALITÀ
“Humilitas”: un motto, uno stile di vita Giovanni Paolo I, novello beato
dal Numero 32 del 4 settembre 2022
di Cristina Siccardi

Il 4 settembre 2022 la Chiesa Cattolica esulta per l’attesa beatificazione di Giovanni Paolo I (Albino Luciani). Fu davvero un soffio il suo pontificato: dal 26 agosto al 28 settembre del 1978. Ma bastò per lasciare indelebili ricordi nel cuore di molti cattolici, con la sua umiltà, il suo sorriso e la sua amabile semplicità.

Domenica 4 settembre “il Papa del sorriso”, Giovanni Paolo I, nato il 17 ottobre 1912 e scomparso il 28 settembre 1978, sarà beatificato a San Pietro da papa Francesco. Il Papa veneto, rimasto sul soglio petrino per appena 33 giorni, ha lasciato una traccia indelebile per la sua fede, per la sua dedizione alla Chiesa, per l’amore verso le anime, alle quali indicò, senza mai stancarsi, la via per la salvezza. Un profilo ben delineato, peraltro già noto quando era Patriarca di Venezia, carica che condivise con un altro conterraneo divenuto santo Pontefice, Pio X (1835-1914).

Lascia scritto il patriarca Albino Luciani il 19 aprile 1959 a proposito del viaggio, che all’epoca ebbe molta risonanza, della salma di san Pio X a Venezia, avvenuto fra il 12 aprile e il 10 maggio del 1959: «“Tornando” a Venezia, Pio X ha destato tanto fervore anche da noi. Ne spero bene per le anime. Spero, soprattutto, che si desti l’attenzione e l’impegno della diocesi su due punti, che hanno costituito una vera “passione” nella vita del nostro grande e santo papa: il catechismo e l’Eucaristia. [...] Vuol vedere come vanno le cose nel “suo” Veneto. Non vanno male: c’è la fede di una volta, ci sono le buone tradizioni. Tuttavia, qualcosa preoccupa: [...] circolano idee, che sono tutt’altro che venete e cattoliche, ci sono emigrazione, stampa cattiva, cinema non serio ed altri guai. Nei santuari nostri, già cari al santo, di Monte Berico, di Motta, delle Cendrole e in cento altri, la Madonna china mesta la fronte. A questa vista, dalla sua urna in S. Marco, il vecchio papa ci fa pervenire il suo grido di riscossa: Putei, tignì duro! [1] Fermi, alla fede dei padri! Saldi, all’istruzione religiosa e alla frequenza dei sacramenti!» [2].

Ecco, occorre osservare in questi termini la prossima beatificazione di Giovanni Paolo I, anche se probabilmente sotto questo punto di vista molti non ne parleranno, ma lo presenteranno come un ennesimo testimone dell’ecumenismo, del liberalismo, del relativismo... Non bisogna farsi ingannare, e per non essere ingannati occorre conoscere; quindi, in questo caso, conoscere la storia di questo umile e amabile Pontefice che, anche con la sua fulminea e tragica morte (per tutto ciò che essa ha comportato e ciò che ancora si trascina dietro), continua a comunicare la fede degli Apostoli, dei Padri della Chiesa e di tutti coloro che hanno seguito le loro orme.

Fu davvero un soffio il suo pontificato: dal 26 agosto al 28 settembre del 1978. I giovani di oggi non possono ricordare Giovanni Paolo I. Tuttavia è rimasto nei cuori di molti cattolici. Ha suscitato aspettative e grandi speranze: in una Chiesa entrata in profonda crisi di fede, di morale, di vocazioni; in una società del benessere materiale, ma del malessere spirituale, inquieta e ribelle, dove i valori perdevano di giorno in giorno il loro intrinseco e fondamentale significato; in una civiltà che a passi da gigante si secolarizzava, si abbruttiva, si inacidiva in un individualismo cinico, fino al travisamento della libertà stessa, ebbene, in tale contesto culturale, politico e sociale quel volto di serafino, che faceva pensare più al cielo che alla terra, divenne attesa fiduciosa di giorni migliori sia per la Chiesa che per il mondo.

Il suo motto episcopale fu “Humilitas”, ma nella sua straordinaria e disarmante umiltà egli seppe, con intelligenza e acume, individuare mali, peccati, scoprire trame malsane e criminali. Nonostante il perverso mondo, la virtù dell’humilitas che ha esercitato incessantemente, gli ha permesso di mantenere inalterati il suo proverbiale sorriso e la sua amabile semplicità. «Chi l’ha conosciuto da vicino – dichiarò il vescovo di Belluno-Feltre, Maffeo Giovanni Ducoli (1918-2012) – può testimoniare che quel sorriso – segno manifesto che il suo sguardo era fisso in Dio – era la sua palese gioia interiore e non fu mai debolezza di carattere. La sua timidezza derivava dal non voler apparire, ma il temperamento era forte perché faceva sempre vincere i principi. Ho motivo di credere, per averlo avvicinato molti anni, che il “Papa del sorriso” non sarebbe mai sceso a compromessi sui problemi di fondo. E quello che voleva, da buon montanaro lo voleva fermamente» [3].

I rapporti e i fatti torbidi che allacciavano figure ecclesiastiche e mondi finanziari vennero attenzionati dal Cardinale e poi dal Papa. Proprio a Venezia, Luciani ebbe modo di verificare le manovre che i poteri occulti, soprattutto la massoneria, conducevano attraverso il Banco Ambrosiano e come personalità del livello del monsignore statunitense Paul Marcinkus (1922-2006) dello IOR (Istituto per le Opere di Religione) operassero maneggi finanziari con le grandi banche straniere. Il buono e attento Pastore era angustiato dalle cospirazioni massoniche che si manifestavano in seno alla Chiesa e si coagulavano con maggiore insistenza là dove si concentravano interessi economici. Non bisogna dimenticare che, dal punto di vista dottrinale, ampi settori progressisti nella Chiesa ritenevano la possibilità di dialogo tra cattolici e massoni.

Come patriarca di Venezia aveva approfondito la conoscenza delle trame massoniche e finanziarie attraverso delle precise indagini, che molte figure di potere non gradirono. La sua morte è stata un’immolazione: divenne Pontefice con sommo sgomento, si sentiva inadeguato a questo tremendo incarico di responsabilità, non solo di carattere umano, ma anche soprannaturale. Quella elevatezza dell’onore di guidare la Chiesa, ed una Chiesa in piena crisi, con l’obiettivo di sanare le ingerenze massoniche, lo condusse ad una grande sofferenza, ma anche alla morte, naturale o indotta che sia stata. A tutt’oggi non si hanno prove certe in un caso come nell’altro.

La vita di Giovanni Paolo I è da inserire in quel genere letterario della cristianità che va sotto il nome di “Fioretti” ed ecco che, posto sul trono petrino, il Papa dal sapore davvero francescano diventa imponente per la sua cattolicissima mitezza e purezza di cuore. È proprio per questa ragione che cerca i bambini e li chiama a sé, come fece Gesù. Alle sue udienze generali del mercoledì chiede sempre se ci sono dei fanciulli. 

Testimonierà monsignor Del Gallo, uno dei prelati di anticamera: «Avvicinandosi al trono dell’Aula Nervi e comunque prima di cominciare quei suoi dialoghi schietti e sinceri con l’uditorio, le sue mani avevano un impercettibile tremito, i suoi occhi cercavano quasi conforto nei pochi volti noti che gli stavano intorno. Soltanto quando parlava a braccio, quando sentiva di potersi esprimere come pastore di anime, la sicurezza delle sue parole e dei suoi gesti prendeva il sopravvento: l’occhio fermo e deciso, le mani aperte e tranquille nell’atto benedicente e nel saluto. Soltanto allora smetteva di guardare furtivamente l’orologio con quel gesto che è come una preghiera al tempo perché passi più in fretta. Ecco perché allora chiamava i bambini a sé: perché addolcissero con il loro sorriso la sua pena e ancora gli permettessero di parlare ai cuori con bontà e amore» [4].

Come dimenticare ciò che disse Giovanni Paolo I durante l’Angelus del 10 settembre 1978? «Il popolo ebraico ha passato un tempo momenti difficili e si è rivolto al Signore lamentandosi dicendo: “Ci hai abbandonati, ci hai dimenticati!”. “No! – ha risposto per mezzo di Isaia Profeta – può forse una mamma dimenticare il proprio bambino? Ma anche se succedesse, mai Dio dimenticherà il suo popolo (cf Is 49,15). Anche noi che siamo qui, abbiamo gli stessi sentimenti; noi siamo oggetti da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre».

Da giovane, avrebbe desiderato entrare nella Compagnia di Gesù, ma rinunciò per l’opposizione del vescovo di Belluno, Giosuè Cattarossi (1863-1944), che non volle privare la sua diocesi di un sacerdote come don Albino Luciani. Docente dall’autunno 1937, si vide attribuire nell’arco di ventidue anni un ampio ventaglio di insegnamenti, fra i quali spiccavano quello di dogmatica, di diritto canonico, di arte sacra. Il 27 febbraio 1947 raggiunse il traguardo della laurea con una tesi su L’origine dell’anima umana secondo Antonio Rosmini, pubblicata nel 1950 (riveduta e ampliata nel 1958), nella quale confutava le tesi del filosofo roveretano sulla base dei principi della teologia scolastica.

Nell’immediato secondo Dopoguerra partecipò al dibattito politico attraverso la pubblicazione di alcuni articoli sul settimanale diocesano L’Amico del popolo: in prossimità delle elezioni politiche dell’aprile 1948 collaborò alla campagna di propaganda contro il fronte socialcomunista, sottolineando l’impossibilità di aderirvi per i cattolici. Per tutta la vita ebbe una cura particolare per la catechesi, alla quale riservò un posto centrale nella sua azione pastorale a Vittorio Veneto, a Venezia, a Roma. Per Luciani era necessaria un’istruzione catechetica capillare, «senza limiti nel tempo, estesa agli adulti, ispirata agli elementi essenziali della dottrina cattolica postridentina» [5].

Fra il 1962 e il 1965 partecipò al Concilio ecumenico Vaticano II, senza prendere mai la parola durante i lavori. L’esperienza conciliare lo indusse a valorizzare la Bibbia come strumento pastorale nell’esposizione della tradizionale teologia, a dimostrazione del fatto che la contrapposizione fra Scrittura e Tradizione, allora in voga fra i teologi progressisti, era destituita di fondamento. Rimase sempre convinto che il rinnovamento teologico promosso dal Concilio fosse una questione prettamente pastorale e negli anni seguenti si adoperò per un’applicazione del Concilio senza accelerazioni e fughe in avanti.

Diceva: «M’è piaciuto che Pietro sia stato presentato con i difetti. E questo è stato voluto dal Signore. Sì “pietra”, capo della Chiesa, ma povero peccatore anche lui, a indicare che anche in seguito avremmo avuto dei papi, dei vescovi, dei sacerdoti che avrebbero mancato, e che tuttavia bisogna compatire. Ci sono tante colpe nella Chiesa, colpe storiche, ma noi dobbiamo amarla lo stesso [...]. Bernanos, un grande scrittore francese, ha scritto: “Io amo questa Chiesa, così com’è. Se per caso domani mi trovassi fuori dalla Chiesa non ci starei nemmeno cinque minuti, a costo di trascinarmi in ginocchio, carponi, ma io farei di tutto per rientrarci”. Clérissac, grande scrittore domenicano, ha detto che quando si tratta di Chiesa, bisogna essere disposti non solo a soffrire “per” la Chiesa, ma anche “dalla” Chiesa».

Respinse con fermezza l’adozione da parte dei cattolici delle metodologie di critica economica e politica propugnate dai movimenti di ispirazione marxista e si oppose pubblicamente a ogni ipotesi di “apertura a sinistra” o di rottura dello schieramento cattolico a favore dei partiti socialista o comunista in occasione delle scadenze elettorali. Nel corso degli anni Settanta, ribadì più volte l’inconciliabilità fra cattolicesimo e marxismo, in cui scorgeva un programma di radicale scristianizzazione. Come Patriarca di Venezia visse le tensioni sociali e politiche (sono gli anni del referendum abrogazionista sul divorzio, 1974, e sono gli anni di piombo), che ben presto consolidarono una significativa frattura fra il Patriarca e quella parte del clero e del laicato cattolico veneziani che erano più inclini a sperimentare nuovi criteri di azione nella pastorale e nella liturgia. Sul versante ecclesiale «polemizzò con le posizioni progressiste [...] e denunziò il “complesso antiromano” di non pochi teologi che minacciava l’unità della Chiesa e la fede della popolazione» [6].

Una vita ricca di genuinità, di rinunce, di sacrifici, di povertà, cominciata nella sua casa natale, a Canale d’Agordo, dove respirò fin dalla culla la vera carità, quella che pone al primo posto l’amore per Dio, Uno e Trino.

Giovanni Paolo I era un estimatore del convertito Gilbert Keith Chesterton (1874-1836), al quale scrisse una lettera, che vogliamo qui riportare: «Il progresso con uomini che non riconoscono in Dio un unico padre, diventa un pericolo continuo: senza un parallelo processo morale, interiore e personale, esso – quel progresso – sviluppa, infatti, i più selvaggi fondacci dell’uomo, fa di lui una macchina posseduta da macchine, un numero maneggiatore di numeri, “un barbaro in delirio – direbbe Papini – che invece della clava può servirsi delle immense forze della natura e della meccanica per soddisfare i suoi istinti predaci, distruttori e orgiastici”.

Lo so: molti pensano a rovescio di te e di me. Pensano che la religione sia un sogno consolatore: l’avrebbero inventata gli oppressi, immaginando un altro mondo inesistente, dove trovare più tardi ciò che oggi rubano loro gli oppressori; l’avrebbero organizzata, tutta a loro favore, gli oppressori, per tenere ancora sotto i piedi gli oppressi e addormentare in essi quell’istinto di classe, che, senza la religione, li spingerebbe alla lotta. [...] Caro Chesterton, tu e io ci mettiamo bensì in ginocchio, ma davanti a un Dio più attuale che mai. Lui solo, infatti, può dare una risposta soddisfacente a questi tre problemi, che sono per tutti i più importanti: “Chi sono io? Donde vengo? Dove vado?”» [7].

A queste tre domande Albino Luciani rispose con chiarezza fin da subito, fra le pareti domestiche, dove studiò il catechismo fino ad incarnarlo. Così in San Pietro predicherà la stessa dottrina predicata a Canale (dove era stato parroco), a Belluno (dove era stato vicario generale), a Vittorio Veneto (sua prima sede episcopale), alla Basilica di San Marco di Venezia, rimanendo sempre fedele al suo Battesimo.   

 

Note

1) “Ragazzi, tenete duro!”.

2) A. Luciani (beato Giovanni Paolo I), Opera omnia, vol. 2, a cura del Centro di spiritualità e di cultura «Papa Luciani», S. Giustina Bellunese, Belluno, Edizioni Messaggero, Padova 20112, p. 36.

3) M. Ducoli, Prefazione, in N. Scopelliti - F. Taffarel, «Lo stupore di Dio». Vita di papa Luciani, Ares, Milano 2006, p. 9.

4) A. Paglialunga, I “Fioretti” di Papa Luciani, Staderini, Pomezia 1979, p. 421.

5) G. Vian, in www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-paolo-i_(Enciclopedia-dei-Papi)

6) Ibidem.

7) A. Luciani (beato Giovanni Paolo I), Illustrissimi. Lettere ai Grandi del passato, pp. 29-31.

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