SPIRITUALITÀ
San Leone Magno: un uomo di coraggio
dal Numero 41 del 6 novembre 2022
di Paolo Risso

«Nulla è arduo per gli umili, nulla è duro per i miti; facilmente tutti i precetti passano alla pratica quando la grazia porge aiuto e l’obbedienza rende dolce il comando. Ogni giorno le parole di Dio risuonano alle nostre orecchie e ogni uomo è reso consapevole e convinto di ciò che piace alla divina giustizia».

Gesù, dopo aver trascorso la sua giovinezza laboriosa nel silenzio di Nazareth, si manifestò all’improvviso nel mondo con la sua indomabile energia morale. Stretto tra opposizioni di ogni genere, religiose e politiche; poco sostenuto dagli stessi suoi discepoli, incerti e spaventati, Gesù va avanti da solo, per compiere la sua missione. Egli vuole che i suoi, per forza morale, possano assomigliare a una casa fondata sulla roccia. Si meraviglia quando i suoi amici hanno paura. Poi, quella sua parola che è tutta un programma: «Chi non prende la sua croce e mi segue, non è degno di me» (Mt 10,34).

Un dominatore
Questo messaggio di forza morale fu accolto dalle prime generazioni cristiane. Con questa forza gli Apostoli di Gesù, sostenuti dal suo spirito, si avviarono all’evangelizzazione del mondo. Essi riuscirono, non a dialogare, ma a convertire. Così lottarono le generazioni successive, durante lo scontro con Roma. Con la medesima forza i papi governarono la Chiesa, i vescovi e i missionari ne allargarono i confini. I maestri insegnarono e difesero la fede. Ne abbiamo bisogno oggi di uomini così, se no, come si dice, chiuderemo bottega. I credenti manifestarono la fede nella vita, i martiri la testimoniarono con il sangue. Anche oggi capita, nonostante tutto, perché siamo destinati alla gioia del Cristo, che nessuno ci può togliere, neppure i più raffinati persecutori di oggi. 
Tutta questa forza morale ci appare ancora come raccolta in un uomo solo, simbolo vivo della cristianità dei primi secoli, luce autentica per i secoli che verranno: papa san Leone Magno, il grande.
Leone era un diacono di Roma ed era ammirato per la sua fede profonda, il carattere forte, l’ampia cultura, per essere un uomo tutto di Dio. Fu mandato ambasciatore in Gallia per mettere d’accordo due generali dell’impero ed evitare un’altra guerra civile, mentre i barbari esondavano da ogni parte. In Gallia apprese la notizia che il clero e il popolo di Roma, come avveniva allora, lo avevano proclamato papa. Aveva solo 40 anni e sarebbe stato papa per altri ventuno (440-461 d.C.). Durante quei due decenni, il mondo cristiano e barbarico fu dominato dalla sua forza e grandezza spirituale. Era autorevole, un capo nato, un trascinatore, non con l’arroganza, ma con il servizio affascinante di Gesù Cristo, il “Pantocrator”, il “Dominatore del mondo”.
Quando alzava lo sguardo verso le terre della Cristianità, le vedeva lacerate da ogni genere di eresie, in ogni parte e a ogni livello: laici, sacerdoti e vescovi. Lottò per vent’anni contro di esse, a Roma, in Italia, Spagna, Gallia, Africa, Oriente. Aveva il dono di una chiarezza prodigiosa di mente, che sapeva fissare la verità di Cristo in limpide formule in cui ognuno poteva riscoprire la purezza della fede delle origini. Senza l’ambiguità e il “dire e non dire” di oggi. La mente lucida e luminosa, perché “voluntas sequitur intellectum [la volontà segue l’intelletto]” .
Papa Leone chiedeva aiuto ai suoi primi collaboratori nell’apostolato, i vescovi d’Oriente e di Occidente. Chiedeva aiuto per convertire pagani e barbari a Cristo, per curare le anime del popolo cristiano, per difendere la fede. Lo trova, l’aiuto, in quelle poche degnissime figure di vescovi santi, illuminati e forti come lui, ma non lo trovava in altri. Non ci meravigliamo troppo: erano tempi feroci. I vescovi venivano eletti a voce di popolo talvolta in seguito a pressioni politiche. Certi vescovi orientali volevano l’indipendenza da Roma, e più di tutti i patriarchi di Costantinopoli. Altri vescovi in Gallia avevano le stesse pretese.

In difesa di Pietro
Papa Leone si impegnò con forza, per 20 anni, per liberare i vescovi da tutto ciò che gravava sulla loro divina missione. Difese l’unità della Chiesa. Difese il primato di Pietro, a lui solo dato da Gesù per sempre, e da Pietro trasmesso ai suoi successori, i vescovi di Roma. A quei tempi, nessuno parlò come Leone sull’origine e la dignità del Romano Pontefice: «Pietro si perpetua: la sua dignità non conosce indebolimenti, la sua sollecitudine vigila sempre, la sua potestà è sempre in pieno vigore, la sua autorità si solleva su ogni autorità, perché Pietro non abbandona il timone della Chiesa: Pietro è il vescovo perpetuo di questa sede romana, primate di tutti i vescovi, principe della Chiesa universale» (Discorso, 4, 4).
Non proclamava solo la verità che è pur sempre il primo compito del papa (munus docendi), ma passava con sicurezza all’azione con atti di governo (munus regendi), senza paura, mai ondivago, con tatto finissimo e con pugno di ferro. Con questo stile – da vero Vicario di Cristo – papa Leone rimise sul giusto binario pastori e fedeli, mai intimidito, neppure quando aveva a che fare con i favoriti della corte imperiale di Oriente. 
Egli pensava alle vicende storiche del suo tempo e vedeva con sgomento il triste declino dell’impero. Sapeva con lucidità che esso era avvelenato da folli intrighi dinastici in cui dominavano ambizioni e passioni di imperatori, generali e cortigiani. Non c’era più un momento di pace. Leone sosteneva la legittima autorità imperiale, ma quando gli imperatori facevano passi falsi, interveniva con la forza che sapeva venirgli da Cristo. Egli guardava verso le frontiere dell’antica civiltà e vedeva con ansia montare la marea dei barbari.
Nel 452 arrivò l’invasione più temuta di tutte: gli Unni di Attila. Con le sue orde si era mosso dalle terre del Danubio e la sua meta era il saccheggio, la sua preda, cui puntava, era Roma. L’Impero Romano, ormai in decadimento, non aveva più nulla da opporgli sulle frontiere delle Alpi Giulie. Unica risorsa, unico baluardo restava papa Leone, il quale lasciò Roma e andò a incontrare Attila presso Mantova. Non ci è dato sapere che cosa si dissero, ma Attila accolse le ragioni del Papa e se ne andò. Per secoli, la Cristianità, ammirata e grata, ricorderà Leone che ferma “il Flagello di Dio”.

Gesù solo!
Nessun altro, nel mondo antico, parlò tanto e così bene di Cristo. Leone preparava con meticolosità, con meditazione e preghiera i suoi impareggiabili discorsi, tutti dedicati a Gesù: il più bel profilo di Cristo che ci sia giunto dai primi secoli. Capolavoro di fede, di poesia e di umana commozione, di superiore verità è la lettera di papa Leone a Flaviano, patriarca di Costantinopoli, in cui il Romano Pontefice, durante il Concilio cristologico di Calcedonia (451 d.C.), definisce che Gesù Cristo ha due nature, la divina e l’umana, in una sola Persona, in modo chiarissimo, così che il bambino capisce e il mistico si esaurisce; e al popolo è garantita la vera fede cattolica. L’Epistula ad Flavianum è “parola di Pietro”, è solenne magistero infallibile della Chiesa di sempre.
Nella sua grandezza, Leone non perse mai la sua genuina umiltà. Aveva accettato di essere papa per essere “il servo di tutti”, anzi il “servus servorum Dei”. Per questo nelle sue lettere e nei suoi discorsi senza numero non parla mai di se stesso. Una volta uscì in un forte rimprovero al diletto popolo di Roma, perché se lo meritava. Egli esternò tutto il suo dolore perché esso, svanita la paura dei barbari, ricominciava a sprecare i giorni negli spettacoli del circo, e dimenticava i santi Pietro e Paolo, salvatori di Roma e delle loro vite. Ma di ciò che aveva fatto lui per salvarlo, neppure una parola. Lo stesso farà il venerabile Pio XII: un impegno fino allo spasimo per la Chiesa, mai una sillaba su se stesso.
Chi potesse leggere qualcosa degli scritti di papa Leone, in special modo le lettere agli imperatori e ai vescovi, troverebbe la fonte della sua indomabile forza morale. Questo il suo stile: «Io parlo con la libertà che viene dalla fede». «Se io compio qualcosa di buono, è Cristo che, per mezzo mio, esercita il suo primato. Io non mi glorio di me, ché senza di Lui non posso fare nulla; ma in Lui solo che è tutta la mia forza».
In Gesù Cristo egli trovava un coraggio che si moltiplicava nelle difficoltà. Questo è il messaggio e l’esempio che papa Leone ci fa giungere dai suoi tempi tormentati: esempio di vita cristiano-cattolica di fede e di opere, e pure di fierezza, di sacrificio e di sublime autorevolezza. Per questo fu proclamato “san Leone Magno”, il grande. Perché questo? Perché Gesù è “il Massimo”.  

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