SPIRITUALITÀ
“Come il grappolo d’uva” Don Renato Cellino, sacerdote esemplare
dal Numero 35 del 25 settembre 2022
di Paolo Risso

A 40 anni dalla sua dipartita, presentiamo un breve profilo biografico e spirituale del reverendo don Cellino, di Asti, che ha saputo “irradiare il Cristo”, così come si era proposto.

«Il sacerdote è colui che porta Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Deve distinguersi, deve vedersi, deve gridare il Vangelo con la parola e con la vita». Così diceva don Renato Cellino, parroco di Costigliole d’Asti, quando parlava del sacerdote, nelle occasioni comuni e in quelle solenni, come quando un giovane saliva l’altare dopo aver ricevuto l’Ordine sacro, o avveniva il cambio dei vice-parroci.
Come un giovane antico cavaliere
Era nato a Portacomaro (Asti) l’8 dicembre 1910, festa dell’Immacolata. La sua mamma, Leonilde, lo affidò alla Madonna per sempre. A 11 anni, Renato legge la vita di Domenico savio, scritta da don Bosco e gli rimane impressa nel cuore la passione per le anime dell’apostolo dei giovani e del ragazzo santo. Decide: «Sarò prete!». Nel 1923 entra in seminario ad Asti: intelligente, studioso, allegro, deciso. Riesce bene in tutto e i superiori lo autorizzano a “saltare” due classi. Il suo ideale è Gesù da conoscere e da amare, da annunciare agli altri. Ama molto la Madonna e recita ogni giorno il Rosario intero. Compie ottimi studi di teologia e legge autori contemporanei di letteratura e di spiritualità, quali Papini, Pierre l’Hermite, Toth Tihamer... poi Fulton Sheen, Giuseppe Ricciotti, Karl Adam.
Al termine degli Esercizi spirituali, prima di essere ordinato sacerdote, scrive nel suo diario: «Meglio per me una vita breve, ma piena di zelo, che novant’anni senza zelo. Felice me, se giovane, sul letto di morte, al medico che dovesse chiedermi: “Chi ti ridusse così?”, felice me, se potrò rispondere: “Lo zelo per le anime”». Il 29 giugno 1933 Renato Cellino è consacrato sacerdote da mons. Umberto Rossi, vescovo diocesano. Sull’immagine ricordo, scrive: «Non basterà l’eternità per ringraziare Dio di avermi voluto sacerdote».
È destinato vice-parroco di Valfenera (Asti). Lì, per 5 anni, si rivela pieno di iniziative per i giovani. Dà vita all’oratorio e mette a loro disposizione libri di formazione. Insegna a meditare e a pregare. Annota: «Nelle difficoltà, andrò dalla Madre celeste». Ha dentro di sé l’assillo di arrivare a tutti e a tutto, ma indugia in lunghi momenti di studio e di preghiera.
Il vescovo lo stima molto: così il 10 luglio 1938, a soli 28 anni, è inviato come parroco a Refrancore (Asti). Scrive: «Vado a Refrancore come il santo Curato andò ad Ars, per salvare le anime, come lui». È pieno di ardore, come un antico cavaliere senza macchia e senza paura. Alla Madonna affida i parrocchiani, i giovani a casa e al fronte (nel 1940, l’Italia è travolta dalla seconda Guerra mondiale). Va nelle case a portare il Vangelo di Gesù, anche a chi non lo vuole. Raduna adolescenti e ragazzi, li invita alla Messa festiva, alla Confessione e alla Comunione frequenti. Inventa iniziative per avvicinare quanti non vanno in Chiesa. Predica “missioni al popolo”, nella sua parrocchia e fuori, chiamato da diversi parroci, anche di altre diocesi. Il confessionale, dove si ferma a lungo, è il luogo privilegiato del suo ministero.
Nelle ore terribili della guerra e della lotta tra opposte fazioni, è seminatore di verità e di pace, sempre vicino a quelli che soffrono, anche in momenti in cui si rischia la vita. Quando la guerra finisce, è in prima linea a lavorare affinché l’Italia non cada in altre tragiche avventure, come la dittatura comunista. Come fanno (e dovrebbero fare anche oggi) i preti e i cattolici veri!
Il 4 settembre 1949, don Cellino è parroco a Ferrere (Asti). «Sono un povero prete – annota nel suo diario –, ma voglio farmi santo». Buon musico, provvede la Chiesa di un nuovo organo e dà vita a un eccellente coro di giovani. Il suo stile sacerdotale, lì, come a Valfenera e a Refrancore, è contagioso: alcuni ragazzi, dovunque è passato, gli hanno detto: «Vado in seminario, spenderò la vita come lei». Quei ragazzi sono poi divenuti preti e parroci (oggi passati a miglior vita).
Il condottiero, il padre
1952. Don Cellino ha 42 anni ed è ricco di sapienza e di coraggio. Mons. Rossi, il buon vescovo della diocesi astese, pensa a lui, quando deve provvedere alla parrocchia di Costigliole, grande e carica di lavoro. Il 30 marzo 1952, domenica di Passione (oggi quinta di Quaresima) giunge a Costigliole. Lo scrivente aveva solo 5 anni, ma ricorda ancora il suo volto giovane e forte, la lunga processione di popolo che lo accompagnò alla chiesa parrocchiale, il suo discorso franco, il suo ripetuto: «Vi voglio bene nel Cuore di Cristo!». Mi feci reggere sulle spalle dal mio papà per potergli stingere la mano: ne sento ancora il calore, rivedo ancora il suo sguardo penetrante. Oh, non era un prete spento!
Si pone subito all’opera, pastore di anime, intraprendente e audace. Si alza di notte, come i monaci, per pregare, ma di giorno è l’uomo divorato dal lavoro e dalla carità. Le opere esteriori sono ancora sotto gli occhi di tutti: il restauro della chiesa parrocchiale dal 1953 al 1956, le nuove campane nel 1958, l’oratorio per i giovani nel 1964; il nuovo organo, il nuovo pensionato, nel 1969, la cripta per i parroci e i religiosi nel 1971, i due restauri della facciata della chiesa nel 1967 e nel 1981.
Le realizzazioni interiori, invece, solo Dio le conosce, ma a noi è dato di coglierne qualche segno. Il progetto di don Cellino è di costruire la dimora di Dio nelle anime della sua gente. Lo vedevamo ogni giorno in chiesa al suo posto: studiava, pregava sempre vicino a Gesù nel tabernacolo, sempre disponibile alle Confessioni e al colloquio spirituale. Diceva: «Io sono prete per Gesù solo».
Parlare con lui, confessarsi da lui era ritrovare la pace: lo sapevano i bambini, gli adulti, gli anziani, i sofferenti. Nei primi anni di ministero a Costigliole dà vita tra i giovani e le ragazze migliori al movimento “Oasi”: alcune di quelle ragazze, guidate da lui, entrano in convento, due in clausura, altre diventano buone mamme di famiglia. Numerosi lontani da Dio, per la sua opera, ritrovano la fede. Nessuno, in 30 anni del suo ministero, muore senza sacramenti.
Non c’è argomento della fe­­de e della vita cristiana che egli non tratti: il Cattolicesimo che egli predica non è facile ma esigente; è luce e fuoco. Dal pulpito, come in ogni incontro personale, proclama la verità di Cristo a tutti anche sui punti più scomodi della fede e della morale: i suoi forti “no” al comunismo, alle mode sconvenienti, al vizio impuro, al divorzio e all’aborto, alla sopraffazione dei potenti sui poveri diventano in breve noti a tutti. «Non mi importa – afferma deciso – se qualcuno mi odia: io devo dire la verità a tutti; non è mia, è sua [di Cristo], ed è l’unica verità che rende liberi e felici».
Celebrata la Santa Messa con fervore, lo vedevamo adoperarsi ogni giorno per servire le anime: si recava nelle case o all’ospedale presso i malati con la delicatezza di un padre; con coraggio raggiungeva coloro che detestano il prete; andava in contro ai ragazzi per far entrare Dio nella loro vita, perché essi sono il futuro dell’umanità e della Chiesa; pronto a proporre ai giovani migliori l’ideale del sacerdozio. Ancora nel suo ultimo anno di vita, un ragazzo gli dice: «Sarò prete come lei». Oggi da 30 anni è sacerdote.
Per irradiare Gesù nelle anime, don Renato passa ogni giorno lungo tempo in preghiera davanti al Tabernacolo con il breviario tra le mani, sgranando il Rosario alla Madonna, all’epoca di quindici decine, colloquiando cuore a cuore con Gesù, per il papa, per la Chiesa che ama intensamente, per la sua parrocchia che è la sua passione. Era solito dire allo scrivente: «Io prego soprattutto per quei giovani e per gli adulti che rifiutano Gesù: essi sono i miei più amati. Per loro, per convertirli, offro le mie sofferenze, per loro darei la mia vita». Ogni uomo lo sente vicino come un amato maestro o come un tormento che richiama sempre presente. Il suo bollettino parrocchiale non è mai la “fiera delle vanità”, ma lo strumento per far penetrare il Vangelo di Gesù, anche là dove non è voluto.
Il “calice traboccante”
Nel suo diario ci sono pagine che rivelano in don Cellino l’uomo di Dio, a immagine dei preti santi che egli amava: il Curato d’Ars, don Bosco, don Cafasso... «Nel Vangelo c’è pure l’asino che ha portato Gesù a Gerusalemme. Io non ho altra ambizione che essere per tutti l’asino del Signore, per portare Lui alle anime». «Noi preti meditiamo la Parola di Dio e celebriamo la Messa tutti i giorni. Ma che importa sapere a memoria il Vangelo se poi non viviamo con Gesù intimo, vivo in noi? Gesù, bisogna che viviamo in due; fa’ che io sia un’Ostia consacrata: Tu, Gesù vero; io, le tue specie». 
«O Gesù – egli pregava –, al posto del mio povero cuore di carne, donami il tuo Cuore divino per amare. I preti che lasciano impronta di sé sono quelli che irradiano il Cristo. La spina sia ben fissa nella presa; il mio apostolato sia irradiare Gesù ai fratelli».
Con questo stile di vita don Renato Cellino andò incontro al suo Dio la notte del 26 settembre 1982, domenica, giorno del Signore, all’improvviso, colpito da ictus cerebri – come il buon soldato che cade sul campo.
Aveva scritto un giorno, ancora giovane e pieno di energia: «Il prete è come il grappolo d’uva: dev’essere spremuto per dare il suo prezioso liquore. Guai a me se, quando morrò, Gesù mi troverà risparmiato e il mio calice vuoto».
Ma lui davvero non si era mai risparmiato e le sue mani erano colme di amore. E il suo calice traboccante di vita divina.  

Casa Mariana Editrice
Sede Legale
Via dell'Immacolata, 4
83040 Frigento (AV)
Proprietario: Associazione CME Il Settimanale di Padre Pio. Tutti i diritti sono riservati. Credits