SPIRITUALITÀ
Giaculatorie, stratagemmi d’amore. Quaresima: tempo di unirsi a Dio
dal Numero 10 del 10 marzo 2013
di Francisco Fernández-Carvajal

    «Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32), dice il Signore. In un passo del Libro dei Numeri si narra come il popolo di Israele cominciò a mormorare contro il Signore e contro Mosè perché, sebbene fosse stato liberato e fatto uscire dall’Egitto, era stanco di camminare verso la Terra promessa. Il Signore, per castigarlo, «mandò fra il popolo serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un gran numero di Israeliti morì» (21,4-9). Allora il popolo si rivolse a Mosè, riconoscendo il proprio peccato, e Mosè intercedette presso Dio perché liberasse gli israeliti dai serpenti. E il Signore disse: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà, resterà in vita». Questo passo dell’Antico Testamento, oltre che essere un fatto storico, è figura e immagine di ciò che doveva succedere più tardi, alla venuta del Figlio di Dio. Nell’intimo dialogo con Nicodemo il Signore fa un riferimento preciso a questo passo: «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15). Cristo sulla croce è la Salvezza del genere umano, il rimedio per i nostri mali. Volontariamente è salito al Calvario, «perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna», per attrarre a sé tutte le cose.
    I serpenti e il veleno che in ogni epoca aggrediscono il popolo di Dio, pellegrino verso la Terra promessa, il Cielo, sono sempre gli stessi: egoismo, sensualità, confusione ed errori nella Dottrina, pigrizia, invidie, mormorazioni, calunnie... La grazia ricevuta nel Battesimo, destinata ad essere accresciuta, è minacciata dai nemici di sempre. In ogni epoca si avvertono le ferite del peccato originale e dei peccati personali.
    I cristiani debbono cercare il rimedio e l’antidoto – come gli Israeliti morsi dai serpenti nel deserto – in un unico luogo: in Gesù Cristo e nella sua dottrina di Salvezza. Non possiamo distogliere lo sguardo da Lui innalzato dalla terra sulla croce, se davvero vogliamo giungere alla Terra promessa che si trova alla fine del breve cammino che è la vita. E siccome non vogliamo giungervi da soli, faremo in modo che molti altri guardino a Gesù, nel quale è la Salvezza. Guardare a Gesù: raffigurandoci la sua Umanità santissima, contemplandolo nei misteri del Santo Rosario, nella Via Crucis, nelle scene narrate nel Vangelo, o nel Tabernacolo. Soltanto con una grande pietà saremo forti davanti alle sollecitazioni di un mondo che sembra volersi separare sempre più da Dio, trascinando con sé quanti non poggiano su un terreno saldo e sicuro.
    Non possiamo distogliere lo sguardo dal Signore, perché ogni giorno vediamo le stragi che il nemico provoca intorno a noi. E non c’è alcuno che ne sia immunizzato per virtù propria. «Vultum tuum, Domine, requiram», il tuo Volto, Signore, io cerco; non nascondermi il tuo Volto (Sal 26). Dobbiamo cercare la fortezza in un rapporto di amicizia con Gesù, attraverso l’orazione, la presenza di Dio mantenuta durante la giornata e la visita al Santissimo Sacramento. Il Signore Gesù, rimedio per la nostra debolezza, è il nostro amore.
    Il Signore vuole che i cristiani comuni vivano immersi nelle realtà secolari, impegnati nei loro compiti, in un lavoro che normalmente li occuperà dalla mattina alla sera. Gesù si aspetta da noi che, dopo averlo adorato ed esserci rivolti a Lui nei momenti destinati specificamente alla preghiera, non ci dimentichiamo di Lui mentre lavoriamo, così come non ci dimentichiamo delle persone che amiamo né delle cose importanti della nostra vita. Gesù Cristo è il centro della nostra giornata. Perciò dobbiamo essere «anime d’orazione: sempre, in qualunque occasione e nelle circostanze più diverse, perché Dio non ci abbandona mai. Non è da cristiani pensare all’amicizia divina come a una risorsa per casi estremi. Potrà mai sembrarci giusto ignorare o disprezzare le persone che amiamo? Certamente no. A coloro che amiamo si rivolgono costantemente le nostre parole, i desideri, i pensieri: c’è come una loro continua presenza. Lo stesso deve essere per Iddio» .
    Spesso, per aver presente Gesù durante la giornata, avremo bisogno di ricorrere ad alcuni “accorgimenti umani”: giaculatorie, atti d’amore e di riparazione, comunioni spirituali, “sguardi” a immagini della Madonna , e a espedienti che ci ricordino che è trascorso del tempo (troppo per un’anima innamorata) in cui non ci siamo rivolti al Signore, alla Madonna, all’Angelo custode; sempre cose semplici, ma di grande efficacia. Capita a tutti che quando vogliamo ricordarci di qualcosa durante la giornata troviamo il modo di non dimenticarcelo. Se abbiamo altrettanto interesse a ricordarci del Signore, il nostro tempo si riempirà di piccoli “promemoria”, di piccoli stratagemmi che ci aiuteranno ad averlo presente.
    Il padre o la madre tengono magari nell’automobile una foto della famiglia per ricordarsene mentre viaggiano. E perché non tenere un’immagine della Madonna nel portafogli o nella borsetta, per dirle, mentre la guardiamo: «Madre! Madre mia!»? Perché non avere a portata di mano un Crocifisso che ci suggerisca atti di riparazione, per baciarlo con discrezione e guardarlo quando lo studio o il lavoro diventano faticosi? I possibili “promemoria”, gli accorgimenti per avere la presenza di Dio, sono innumerevoli, perché l’amore è ingegnoso; saranno diversi per il medico che sta per iniziare un’operazione chirurgica e per la madre di famiglia che in quello stesso momento, forse, comincia a rassettare la casa. Un giorno, in Cielo, ciascuno di noi vedrà come il ricorso all’Angelo custode sia stato di grande aiuto nel suo lavoro. L’autista di un mezzo pubblico avrà i suoi “accorgimenti umani” (sa bene quando è più vicino a Gesù, perché intravede i muri di una certa chiesa), così come la sarta, praticamente confinata nello stesso ambiente per tutto il giorno, avrà i suoi. E tutto questo con spirito sportivo e allegro, senza oppressione, ma con amore: «Le giaculatorie non intralciano il lavoro, come il battito del cuore non disturba i movimenti del corpo» . A poco a poco, se perseveriamo, arriveremo a mantenere la presenza di Dio in modo normale e naturale. Anche se dovremo sempre mettervi lotta e impegno.
    Molte volte il Signore si ritirava a pregare, forse per ore: «Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava» (Mc 1,35); altre volte, però, si rivolgeva a suo Padre Dio con una preghiera breve, amorosa, come una giaculatoria: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra» (Mt 11,25); «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato» (Gv 11,41).
    In altre occasioni l’Evangelista ci mostra la commozione di Gesù davanti alle richieste di coloro che gli si avvicinavano. Sono preghiere che anche a noi possono servire da giaculatorie: il lebbroso che dice: «Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi» (Mt 8,2-3); e il cieco di Gerico: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me» (Lc 18,38-39); e il buon ladrone: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42-43). La commozione di Gesù di fronte a queste preghiere piene di fede ci fa ben sperare.
    A volte queste frasi ci serviranno per chiedere perdono, come quella del pubblicano che se ne tornò a casa perdonato: “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (cf. Lc 18,13); oppure potremo ripetere insieme a san Pietro, dopo le tre negazioni: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo» (Gv 21,17), nonostante i miei errori.

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