SPIRITUALITÀ
Sul monte della Trasfigurazione
dal Numero 31 del 6 agosto 2017
di Paolo Risso

Sei giorni prima aveva detto ai suoi Discepoli: «Vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire nel suo regno» (Mt 16,28) ed ecco che Pietro, Giacomo e Giovanni furono scelti da Gesù per assistere all’ineffabile e luminosissimo suo mistero di gloria...

In mezzo alla pianura della Galilea sta piantato il monte Tabor: solenne. Attorno come una corona, i luoghi cari a Gesù e a noi: Nazareth, Cana, Naim. Il fatto, come afferma la Tradizione antica, avvenne sul Tabor. «Sei giorni dopo [la professione di fede di Pietro a Cesarea di Filippo], Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse in disparte su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto risplendette come il sole, e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,1-9). Leggete, amici, sul Vangelo l’intero episodio.
La festa della Trasfigurazione di Gesù ricorre il 6 agosto di ogni anno. In Oriente la chiamano “la Pasqua dell’estate”. Ma la mirabile visione di Gesù sfuma in una parola amara: due annunzi di morte la precedono e la seguono. Il primo annuncio avviene tra Cesarea e il Tabor, lungo la via che discende al Sud: «Da allora, Gesù cominciò a mostrare ai suoi discepoli che era necessario che egli si recasse a Gerusalemme e molto soffrisse da parte degli anziani, dei gran Sacerdoti e degli scribi, e fosse ucciso» (Mt 16,21). Il secondo annunzio avviene subito dopo il Tabor: «Mentre si aggiravano ancora nella Galilea, Gesù disse loro: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno”» (Mt 17,22-23).

Un solo Gesù

Tabor e Calvario sembrano in contrasto, drammatico contrasto. La gloria di Gesù fulgente su quello, il lento supplizio su questo. Gesù dal volto splendido come il sole. Gesù dal volto velato di lacrime e di sangue. Voce del Padre che si compiace del Figlio diletto. Voce dolorosissima del Figlio che supplica: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). Amici incantati che vogliono restare sempre sul Tabor, fuga degli amici dal Calvario, folli di paura.
Ma proprio così si apre un’altra via verso l’intimità di Gesù. Lui ci ha assicurato amichevolmente che questa intimità la capiscono bene i semplici e i puri di cuore.
Se Gesù è il Figlio diletto di Dio, come disse il Padre sul Tabor, perché rimase così indifeso sul Calvario davanti alla morte? E se era inerme davanti alla morte, come poteva trasfigurarsi nella gloria del Tabor? Era il medesimo Gesù sul Tabor e sul Calvario? Questa la domanda che fu posta nei primi secoli cristiani. Questa domanda, forse sotto altre forme più sofisticate si pone da certuni ancora oggi.
La risposta della Fede, quella che è risuonata nei grandi Concili e che risuona tuttora oggi, nella fedeltà alla grande santa Tradizione della Chiesa, è sempre “Sì!”. Ma è già risposta chiarissima nel Vangelo. Sul Tabor e sul Calvario non ci sono due persone diverse: là un Dio che si svela, qui un uomo santissimo che muore. “Jesus semper idem”. Nella luce e nelle tenebre “ipse Jesus”. Gesù sempre il medesimo, lo stesso Gesù.
Sul Tabor e sul Calvario c’è la sola, identica persona di Gesù. Una Persona – ecco spalancarsi una breccia sull’intimità di Gesù – che esiste in una condizione mai sperimentata da altri, né prima né poi. Una Persona misteriosamente, ma realmente ricca di due nature tra loro indissolubilmente congiunte: la natura divina e la natura umana.
Gesù sfolgora come sole divino sul Tabor, per una rivelazione della natura divina che traspare dal fragile velo dell’umanità. Gesù si abbandona mite al martirio del Calvario, mediante la sua natura umana, capace di sopportare quella estrema umiliazione. Ma sia che si sveli nello splendore della divinità, sia che si lasci andare all’umiliazione della morte, Gesù è sempre quello, intatto, completo, identico nella sua ineguagliabile condizione di Uomo-Dio. Un solo Gesù, lo stesso Gesù. “Semper idem” (sempre identico), “firmiter stat” (sempre stabile) nella sua realtà singolare e unica di Uomo-Dio, del Figlio di Dio incarnato per noi.

Perché lo ha fatto?

Il mistero si aggiunge al mistero, come la luce si assomma alla luce. In una parola: mistero di fede, mistero di luce, mistero luminosissimo. Realtà vera, così vera da potersi dire l’unica, l’unica che conta davvero e che risolve l’assurdo e l’angoscia in cui saremmo precipitati senza di Lui.
Tutto è avvenuto nell’incontro dolcissimo della volontà del Padre con la volontà del Figlio che sono uno. Un incontro pieno di amore, nel quale, tuttavia la volontà del Padre non perde la sua iniziativa sovrana di Padre, e quella del Figlio non perde la sua libera obbedienza di Figlio.
Ascoltiamo il Figlio quando riconosce l’iniziativa del Padre: «Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli scaltri, e le hai rivelate ai semplici. Sì, Padre, perché questo è piaciuto a te» (Lc 10,21). Ascoltiamo il Figlio, quando offre il suo atto di libera obbedienza: «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà ma la volontà di Colui che mi ha mandato» (Gv 6,38).
Obbedienza libera fino al sacrificio supremo: «Padre mio, se è possibile passi da me questo calice. Però non come voglio io, ma come vuoi tu» (Mt 26,39). Ritorna come filo conduttore di tutta la vita di Gesù, la stessa richiesta che il ragazzo Gesù, dodicenne, aveva dato un giorno lontano a Maria Santissima e san Giuseppe nel tempio: «Non sapevate che io debbo attendere alle cose del Padre mio?» (Lc 2,49).
Gesù, uno con la volontà del Padre: Gesù, glorificazione somma del Padre, che redime gli uomini; Gesù redenzione degli uomini, che glorifica il Padre. Risuona allora potente e suprema la professione del Credo cattolico, il Credo di Nicea e di Costantinopoli, che proclamiamo nella Messa domenicale: «Propter nos homines et propter nostram salutem, descendit de coelo». Per noi uomini e per la nostra salvezza, discese dal Cielo... si è incarnato... si è fatto uomo!
In questa fede, più reale del sole (su base ontologica, metafisica, direbbe Maestro Tommaso d’Aquino), se mi colpisce il Gesù del Tabor, il Gesù completo che lascia intravedere agli amici più intimi lo splendore della divinità, così mi colpisce il Gesù completo Uomo-Dio, che sul Calvario ripete, nell’umiltà piena di amore sommo, il suo atto di obbedienza al Padre, di redenzione per l’uomo: sia fatta la tua Volontà; «tutto è compiuto» (Gv 19,30).
A me, a noi basta volgere lo sguardo ora al Tabor, ora al Calvario per trovarvi sempre Gesù Cristo, il medesimo Gesù Cristo. E adorarlo, e amarlo sino all’ultimo.

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