SPIRITUALITÀ
Vera dolce umanità in Gesù
dal Numero 1 del 6 gennaio 2013
Di Paolo Risso

Dolce e ineffabile mistero è quello dell’unione ipostatica di Cristo: la sua Divinità gli conferisce una dignità sovrana che lo rende oggetto della nostra amorosa adorazione, mentre l’Umanità lo avvicina a noi, donandogli un tratto amabile e sommamente attraente.

Già l’aveva denunciato Giovanni, l’apostolo prediletto e l’evangelista di Gesù “intimo”, il Figlio di Dio fatto uomo. Ai suoi tempi, nel primo secolo, molto presto, c’era chi non credeva e rifiutava il mirabile prodigio di un Dio che si incarna e si fa compagno di ogni uomo per redimerlo e salvarlo dal peccato e dalla morte: «Ma come è mai possibile, come può essere credibile?».
    Davanti a costoro, Giovanni parla chiaro: «Ciò che abbiamo visto, ciò che abbiamo sentito, ciò che abbiamo toccato con le nostre mani, ossia il Verbo della vita [...] noi lo annunciamo a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1Gv 1,1-13). Non è un fantasma, Gesù, non è uno spirito che appare in un uomo evanescente e non vero. Gesù è vero Dio e vero uomo, un uomo che si vede, si sente e si tocca.
    Non basta. L’Evangelista dell’amore continua ancora, più tagliente che mai: «Ogni spirito che riconosce Gesù venuto nella carne, è da Dio. Ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell’anticristo» (1Gv 2,2-3). «Sono usciti nel mondo molti seduttori, i quali negano la venuta di Gesù nella carne: eccolo il seduttore e l’anticristo» (2Gv 7-8).
    Parole durissime, quanto mai vere e attuali anche oggi, oggi e sempre. “Per noi uomini e per la nostra salvezza, si è incarnato e si è fatto uomo”, come professiamo nel Credo. Negarlo è l’eresia di sempre, la peggiore eresia, la massima negazione, quasi che bastasse accettare Dio, in modo vago, e rifiutare l’Incarnazione di Dio, Gesù Cristo.


Una goccia di miele

    Il Concilio di Efeso (431), sotto la guida del papa san Celestino I, aveva proclamato che Gesù è una sola Persona che unisce in sé la natura divina e la natura umana. Mistero di amore divino e di soavità ineffabile, che ce lo rende familiare. La divinità costituisce in Gesù quella dignità sovrana e unica per cui lo adoriamo; l’umanità diffonde in Gesù il tratto amabilissimo che ce lo avvicina e ci attrae a Lui: lo fa nostro, uno di noi. Solo così, Egli può essere ed è il nostro unico Salvatore.
    Ma Efeso con le belle e luminose spiegazioni di san Cirillo di Alessandria, tra i primi protagonisti di quel Concilio, non aveva posto termine alle contese sulla intima realtà di Gesù. Il nuovo guaio scoppiò a Costantinopoli per via di un monaco di nome Eutìche. Il quale esponeva un’idea che capivano anche i suoi pescatori del Bosforo: «Ecco – diceva Eutìche –, prendete una goccia di miele e buttatela nel mare. Che cosa succede? È forse distrutta la goccia di miele? Certamente no. Ma la trovate ancora? Nemmeno per sogno. L’acqua del mare immenso la discioglie dentro di sé per sempre. Così avvenne di Gesù. La sua umanità è la goccia di miele; la sua divinità è l’oceano sterminato. La sua umanità non fu distrutta, ma disciolta nell’oceano della divinità».
    La gente di Costantinopoli ascoltava incantata. Solo i cattolici più illuminati capirono il pasticcio che stava combinando Eutìche. Alti ufficiali della corte imperiale parteggiavano per lui. I vescovi di nuovo erano divisi e con loro i fedeli. Le menti più lucide informarono Roma. Leone I, il santo Pontefice che vi regnava dal 440 e che alla sua morte, nel 461, sarebbe stato chiamato Magno, intervenne con chiarezza di dottrina e stile incantevole. Scrisse una lettera all’amico Flaviano, patriarca di Costantinopoli. In questa lettera, papa Leone dedicò a Gesù pagine vivissime che rimangono in eterno.
    Nel frattempo, nel 451, l’imperatore aveva convocato il IV Concilio Ecumenico a Calcedonia davanti a Costantinopoli: cinquecento erano i vescovi intervenuti. Il Papa era rappresentato dai suoi “legati”. I vescovi si radunarono nella basilica di Sant’Eufemia, dove fu loro comunicata la lettera di Leone a Flaviano. Fu subito un trionfo: i Padri approvarono acclamando: «Cristo ha parlato per bocca di Leone». Gesù, il vero Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, il Redentore crocifisso e risorto, aveva vinto un’altra volta ancora: Gesù vero Dio e vero uomo, perfetto Dio sì, ma anche perfetto uomo.


Un inno a Cristo

    Nel papa Leone Magno si manifestavano ormai più di quattro secoli di viva Fede e di purissima Tradizione cattolica di Oriente e di Occidente. La sua parola scorre limpida, solenne e commossa. Parola di sommo Maestro della Verità e parola di artista nella lingua fluente, di innamorato di Gesù, del “Gesù vero”. Sentiamo Leone che ha parlato per tutta la Chiesa, per i secoli: nel “passa-parola” continuo da un Pontefice all’altro, da una generazione all’altra, “passa-parola” assistito dallo Spirito Santo, quale è la Tradizione cattolica, che parla ancora per noi.
    «Salve le proprietà delle due nature di Gesù, la divina e l’umana, che confluiscono nell’unica persona, dalla divina Maestà è stata presa l’umana umiltà; dalla potenza, l’infermità; dall’eternità la mortalità. Per pagare il debito della nostra umana colpa, l’inviolabile divina natura si è unita all’umanità, non diminuendo la divinità. In integra perfetta natura di uomo vero, è nato Gesù vero Dio: tutto nella sua divinità, tutto nella nostra umanità [...]. Colui infatti che rimane vero Dio, diventa vero uomo; e nessuna finzione c’è in questa unità, mentre insieme esistono e l’umiltà dell’uomo e l’altezza di Dio. Come Dio non si abbassa quando sente l’umana pietà, così l’Uomo non si annienta quando si innalza alla divina Maestà. Ognuna delle due nature compie ciò che le è proprio, con l’intima partecipazione dell’altra: il Verbo di Dio opera ciò che è del Verbo di Dio e l’Uomo svolge ciò che è proprio dell’Uomo. Quello fiammeggia nei miracoli, questo soccombe alle ingiurie. E come il Verbo non recede dall’uguaglianza della paterna gloria, così l’Uomo non abbandona la natura della nostra umana stirpe».
    Abbiamo citato il brano centrale della lettera di Leone a Flaviano, ma per pagine e pagine, egli continua il suo inno a Gesù Cristo, uno dei più alti della Chiesa. Un inno dove la Teologia più alta e sicura si effonde in umanissima poesia, dove la Fede si esprime con passione di amore: «L’umiltà della povera culla di Betlemme ci mostra un piccolo bimbo, il canto degli angeli la maestà dell’Altissimo Iddio. È un fragile nato dall’uomo, che Erode empiamente decide di uccidere; è il Signore del mondo che i Magi adorano nella commozione della loro felicità. Avere fame, sete, stanchezza e sonno è cosa evidente di uomo; ma saziare con cinque pani cinquemila uomini, offrire alla samaritana l’acqua viva, camminare sulle acque del lago, calmare i flutti tempestosi, è senza dubbio opera di Dio».
    Fino alla conclusione che sembra scolpita nel marmo come Verità eterna: «La Chiesa Cattolica vive ed avanza con questa Fede, per cui di Gesù Cristo non si può credere la divinità senza la vera umanità, né l’umanità senza la vera divinità» (Denzinger, 293).


Questa è la nostra Fede

    Non si può credere la divinità di Gesù senza la sua vera umanità. Il Concilio di Calcedonia, sotto la guida di papa san Leone Magno, appunto, segna il trionfo dell’umanità di Gesù Cristo, perché nessun dubbio esisteva più sulla sua divinità. Quindi – è chiaro, chiarissimo, e questo va creduto e ribadito – davvero il Figlio di Dio si è fatto uomo per redimerci dal peccato e riportarci alla vita della grazia santificante e al Paradiso, come insegna l’intramontabile Catechismo di san Pio X, raccogliendo tutta la Fede e la Tradizione cattolica.
    Questa è la nostra Fede e non ne abbiamo un’altra: non si può aggiornare né cambiare la Fede di Pietro e degli Apostoli, la Fede che ci lega a Gesù Cristo. Ma oggi dilagano di nuovo, “alla grande”, con una virulenza mai vista, le eresie di Ario («Gesù non è Dio, ma solo un grande uomo»), e di Eutìche («Dio non si è incarnato davvero, non si è fatto vero uomo in Gesù»). Ne consegue che oggi siamo di nuovo di fronte alla “gnosi”!: il Cristianesimo non sarebbe l’Accadimento più grande della storia e dell’eternità – Dio che si fa uomo per salvarci –, ma soltanto una sapienza umana: potremmo accettare, dicono gli gnostici di oggi sotto tutte le forme, dei valori umani, anche “cristiani”, ma non che Dio abbia assunto la natura umana in Gesù che è il Figlio di Dio fatto uomo.
    Certo pensiero di oggi, non solo del “mondo”, da cui non ci aspettiamo nulla di buono, essendo tutto in mano a satana, ma certo pensiero “teologico” di oggi (è ancora teologia questa?), dissolve Gesù, Gesù Cristo, soltanto in una sapienza umana, un umanitarismo, senza soprannaturale, in fondo senza Dio. Hanno anche la pretesa di essere “spiritualisti”, costoro, i moderni gnostici, in realtà sono negatori di Gesù Cristo, di Dio stesso.
    Ma così facendo, si può andare d’accordo con tutti: con ebrei, islamici, buddisti e quant’altri, i quali – si pensa – potranno “affratellarsi” con noi e tra tutti, in questa comune sapienza umana, questo umanitarismo, come “cristianesimo” aggiornato, ecumenico, irenico, relativista, confusionista. «L’unità nella comune rovina», come giustamente gridarono al riguardo i Pontefici Pio XI nella Mortalium animos (1928) e Pio XII nella Humani generis (1950).
    Noi cattolici non possiamo accettare tutto questo. In una disputa a scuola, negli anni ’70 del secolo scorso, uno studente che si definiva ateo, ma “onesto”, rivendicava di poter accettare la sapienza cristiana, l’amore cristiano, ma non Gesù Cristo: «E non raccontateci più che il vostro Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo: era un uomo illuminato e null’altro!». Al che un’ottima ragazza cattolica rispose fieramente: «La mia sapienza è un Uomo: Gesù Cristo! Il mio amore è un Uomo: Gesù Cristo. Gesù Cristo, l’Uomo-Dio!».
    Ebbene, ovunque oggi alligna la “gnosi”, la gnosi spuria, realtà la più malefica che dissolve e annulla Gesù Cristo, negandone la divinità o negandone la umanità, noi credenti della più pura Tradizione cattolica siamo presenti, insieme ai dodici Apostoli, ai Padri e ai Pontefici delle prime generazioni cristiane, al Maestro Tommaso d’Aquino e ai grandi maestri di duemila anni di storia, a richiamare gli uomini d’oggi a guardare di nuovo il Volto di Cristo, Volto divino e umano in pienezza.
    Ecco, io mi rivolgo a Lui: la mia Fede autentica me lo fa “vedere” vivo, l’amore mi attrae a Lui, lo Spirito Santo mi illumina. Lo “vedo” Gesù ogni giorno, ogni ora e ogni istante – non passa un quarto d’ora che io non veda Lui. Lo vedo piccolo e immenso, Gesù della grotta di Betlemme e della gloria eterna, Gesù dell’officina e del cenacolo eucaristico, Gesù dell’amicizia struggente e dei miracoli multiformi, Gesù del pozzo di Sichar che ha sete e tuttavia offre acqua zampillante fino alla Vita perenne, e Gesù della Risurrezione che entra in casa a porte chiuse, Gesù nelle braccia della Vergine sua Madre, Gesù inchiodato ai bracci della croce, Gesù alla destra del Padre che è nei Cieli e vivente nei secoli.
    Il “Credo” cattolico, che so e che non ho scordato, che canto ogni Domenica alla Messa e che recito in ginocchio ai piedi del letto, ogni mattina e sera, non mi porta in un mondo vago e inafferrabile, ma mi conduce, come mi spiega un giovane uomo d’oggi, «a lasciarmi abbracciare da Gesù, l’Uomo-Dio, in questa vita fino all’abbraccio eterno con Lui, in Paradiso». Questa è la Fede, questa è la gioia.

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