PASSIONE
Il quarto calice. Quello che Gesù non fece nell’Ultima Cena e perché
dal Numero 14 del 3 aprile 2022
di Paolo Risso

Esploriamo l’affascinante legame tra il tradizionale “quarto calice” di vino a conclusione della Pasqua ebraica e il Sacrificio pasquale di Cristo (dall’Ultima Cena alla morte in Croce) che si rinnova nel Mistero eucaristico.

Il quarto calice è il titolo “intrigante” dell’ultimo libro del professor Scott Hahn, nato nel 1957, docente di Sacra Scrittura a Steubenville nell’Ohio (USA), già protestante, poi convertitosi alla Chiesa Cattolica, teologo e apologeta di fama internazionale, autore di numerosi best-seller, tra i quali Rome sweet home (Roma dolce casa), tradotto ed edito da Ares, in cui racconta la sua sorprendente conversione.

Sull’ultima pagina di copertina de Il quarto calice (Ares, Milano 2022) leggiamo: «In questo testo, scritto con il ritmo di un’inchiesta poliziesca, in parte autobiografia di una conversione, in parte studio biblico, l’Autore esplora i riti della Pasqua ebraica e la loro importanza nel prefigurare l’Alleanza tra Dio e gli uomini, che culmina nella salvezza per opera di Gesù di Nazareth. Nel raccontare le vicende dei suoi anni di formazione [...] l’Autore ci mostra i rapporti tra Abele, Abramo, il sacrificio di Isacco, la liberazione degli Ebrei dalla schiavitù in Egitto e la simbologia dell’Agnello nella Pasqua ebraica. In un crescendo dell’indagine, svela gli indizi affascinanti del legame tra il tradizionale “quarto calice” di vino a conclusione della Pasqua ebraica e il Sacrificio pasquale di Cristo (dall’Ultima Cena alla morte in Croce) che si rinnova nel Mistero eucaristico».

“Questo è il mio Corpo”

Proviamo a tracciare una chiara e rapida sintesi del libro, rimandando i nostri Lettori a leggerlo integralmente.

Gesù celebrò l’Ultima Cena (cf. Mt 26,26-28; Mc 14,22-24; Lc 22,19-21; 1Cor 11,23-26), secondo il rituale ebraico, come era stato stabilito da Mosè, anzi da Dio stesso, così come è narrato nel libro dell’Esodo 12,1-8.11-14. Questa Cena corrispondeva al “seder” ebraico in cui si faceva “il memoriale” (che tutto riattualizza) della cena degli Ebrei in Egitto, prima della partenza (l’esodo) dalla schiavitù verso la Terra promessa. 

La cena iniziava con il primo calice di vino, cui bevevano i commensali. Quindi si faceva memoria della liberazione dall’Egitto (Es 12,1-14; 14,5-28), e si passava il secondo calice di vino, mangiando l’agnello arrostito al fuoco, un agnello perfetto di un anno, cui non si doveva spezzare alcun osso. 

A questo punto, Gesù prese il pane, alzò gli occhi al Cielo, recitò la preghiera di benedizione, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi». L’azione era di una novità totale, l’inizio di una nuova e impensata celebrazione, in cui Gesù stesso, transustanziando il pane nel suo Corpo offerto in sacrificio, è l’Agnello che adora Dio ed espia il peccato del mondo, l’Agnello vero, che per sempre prende il posto del povero agnellino sgozzato.

Adesso, tra i commensali, circolava il terzo calice, detto “il calice della benedizione”. Gesù afferrò questo calice (“hunc praeclarum calicem”, precisa il Canone Romano), e disse: «Questo è il Calice del mio Sangue, per la nuova ed eterna Alleanza, versato per voi e per molti, in remissione dei peccati». Non era più il sangue di capri o agnelli ad essere sparso, ma il Sangue stesso di Gesù, l’Agnello del sacrificio definitivo, il suo Sacrificio, che viene a stipulare per sempre l’Alleanza tra Dio e coloro che l’avrebbero accolto (“pro multis”, non “per tutti”, per i molti che accoglieranno la nuova Alleanza con Dio).

Gesù fece circolare il calice della benedizione nel suo Sangue, tra gli Apostoli, mentre Lui dava un comando: «Fate questo in memoria di me». Con questo comando, Gesù ordinava sacerdoti in pienezza (= vescovi) i suoi Apostoli, che avrebbero continuato, sino alla fine dei secoli, il suo Sacerdozio-Sacrificio definitivo, che rimane in eterno (Eb 7,23-27).

Gesù ha così istituito la Messa (da “missah” = offerta, sacrificio), “Sacramentum Dominicae Passionis”, Sacramento della Passione del Signore (come illustra san Tommaso d’Aquino nella sua Summa Theologiae, III, 73, 5, 2) «in quanto contiene il Cristo stesso come Vittima». Gesù Sacerdote nella Messa, ripresenta se stesso in Sacrificio al Padre, in espiazione del peccato e per la nostra salvezza.

“Il calice della consumazione”

I Vangeli raccontano che a questo punto «cantato l’inno, tutti si alzarono e andarono verso l’orto degli ulivi», il Getsemani (Mc 14,26; Mt 26,36). L’inno di cui si parla è il “grande Hallel”, la lode allelujatica a Dio, che comprende i salmi dal 113 (“Quando Israele uscì dall’Egitto”) al 118 (il salmo della Legge di Dio) al 135 (il salmo della misericordia dell’amore eterno di Dio, in tutta la storia della salvezza d’Israele). 

Ma Gesù e i suoi non bevvero il quarto calice, previsto dal rituale ebraico, detto “il calice della consumazione”, che poneva fine al rito ormai compiuto. Non berlo, insieme a quanto Gesù, quella sera, aveva fatto di assolutamente inedito (l’Eucaristia), era di una novità assoluta. 

Anzi, era capitato, quell’ultima sera, qualcosa di “tellurico”, qualcosa “dell’altro mondo”, che però avrebbe cambiato il nostro mondo. Era la rottura, ma anche il compimento del rituale ebraico: la nuova Pasqua perché «Pasca nostrum immolatum est Christus» (1Cor 5,7), Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato. 

Gli Apostoli dovettero pensare al compimento di quanto promesso da Gesù, circa un anno prima, dopo la moltiplicazione dei pani (Gv 6,1-58) a Cafarnao, quando aveva affermato in modo sconcertante: «Il pane di Dio è Colui che discende dal Cielo e dà la vita al mondo». «Io sono il Pane della vita: chi viene a me non avrà più fame». «Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita». «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». «La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda». «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui».

Ora quel discorso che li aveva sconcertati, si compiva nelle sublimi parole consacratorie del divino Maestro. Gesù, non era solo l’unico Maestro, ma era (ed è sempre) il nuovo ed eterno e sommo Sacerdote e insieme la Vittima, il Servo di Dio, il Figlio di Dio, l’Agnello immolato che dalla sua terribile esecuzione capitale, del suo brutale assassinio (il “killing-Jesus”) faceva il suo e nostro Sacrificio di adorazione, di lode, di espiazione e di salvezza.

E il quarto calice, 
quello della consumazione?

Circa un’ora dopo questi atti, prostrato a terra tra gli ulivi secolari del Getsemani, Gesù prega: «Padre, passi da me questo calice, però non la mia, ma la tua volontà sia fatta» (Lc 22,42). È il quarto calice che arriva, il calice della Passione e Morte, che Gesù berrà sino all’ultima goccia, attraverso l’atroce sua “macellazione”, qual è stata la sua esecuzione capitale.

Tutto questo, sino a dire morendo: «Tutto è compiuto», «Consummatum est» (Gv 19,30). Il quarto calice del Cristo è la sua croce, da Lui trasformata da patibolo infame in Redenzione del mondo, nel Sacrificio per noi, che siamo chiamati a “bere” con Lui il calice della consumazione. Quando, con la vita offerta e donata, in conformità totale a Lui, con Lui potremo dire: «Tutto è compiuto». Poi verrà il sabato santo e l’eterna domenica della pasqua di Risurrezione.

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