LA PEDAGOGISTA
Il caso della dislessia (prima parte)
dal Numero 14 del 7 aprile 2013
di Teresa Mancini

Se nelle fasi della crescita dei figli c’è un passaggio in cui il coinvolgimento emotivo dei genitori raggiunge un picco incredibile, questo è certamente quello in cui i bambini fanno il loro ingresso nella scuola primaria. Il fiato rimane sospeso per circa tre mesi: c’è un evento che mette tutta la famiglia in apprensione, che dura fino a quando il bambino, finalmente, scrive e legge la sua prima letterina di auguri di Buon Natale. “Già sa leggere e scrivere!”. A partire da questo fatidico momento, ormai certi che il proprio figliolo è entrato a far parte a pieno titolo del mondo della cultura, poiché padrone della strumentalità di base, i genitori, rassicurati, gradatamente fanno “sbollire” la loro ansia e preoccupazione e cominciano ad essere meno pressanti nei confronti del bambino e delle maestre.
In questo inevitabile appuntamento con le responsabilità del diventare grande, il bambino percepisce, inconsapevolmente, le attese e l’interesse, non poche volte esagerati, che lo circondano e, a sua volta, spesso vive questa conquista con un carico di emotività non facilmente gestibile; l’attenzione, di cui è fatto oggetto, per un verso lo lusinga, per un altro lo stressa e lo stanca.
Se poi capita che i tempi e i modi dell’alfabetizzazione strumentale si allungano e si complicano, allora ha inizio un periodo della vita del bambino e dell’intera famiglia che può divenire frustrante, difficile, anche doloroso. A meno che la sensibilità e la professionalità docente, unitamente all’equilibrio, alla calma e alla fiducia dei genitori, non facciano da salutare contrappeso, non si traducano in valido sostegno, in inesauribile forza d’animo nell’affrontare e risolvere insieme il problema, senza dannosissimi atteggiamenti colpevolizzanti. Quando il nostro bambino fallisce i suoi obiettivi e traguardi, quello è il momento prezioso e vitale per testimoniargli tutta la nostra fiducia, il nostro ottimismo e la nostra operosa calma.
I fattori che determinano un rallentamento dell’apprendimento della strumentalità di base della letto-scrittura sono molteplici, frequentemente riconducibili ad un normale ma più lento ritmo di apprendimento, a una deprivazione linguistica, socio-ambientale e familiare più marcate (situazione di indigenza economica, di sottosviluppo culturale, di bambini di recente emigrazione...); in questi casi le difficoltà si risolvono a metà o a fine classe prima, massimo in seconda classe. A volte, invece, interagiscono fattori, né cognitivi né socio-culturali, ma affettivo-relazionali o riconducibili alla sfera della crescita sociale (bambini con capacità attentive e di concentrazione minime, iperattivi, con inadeguata capacità a portare a termine il lavoro e a durare nell’impegno...); più raramente, invece, intervengono, con effetto frenante, i cosiddetti disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) come, ad esempio, la dislessia: in questo caso, l’evoluzione e la gestione didattico-educativa si fanno più complesse ed esigono capacità di diagnosi e forme di intervento più mirate e specialistiche. È in questi casi che, in un approccio sistemico-relazionale, lo spessore professionale dei docenti, delle famose equipe specialistiche e la qualità della funzione genitoriale sono chiamate in causa e hanno la meglio sulla difficoltà. «Garantire il successo scolastico anche a questi bambini rappresenta una sfida alle nostre capacità professionali ed un traguardo reso ormai possibile dalle conoscenze a nostra disposizione ed il lavoro congiunto di insegnanti, medici e terapisti, ciascuno forte delle proprie competenze specifiche, ne costituisce lo strumento indispensabile» (Dott. Stefano Vicari, responsabile Ospedale Pediatrico Bambin Gesù)…

Fine prima parte

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