FEDE E CULTURA
Lo strano caso del fico di Betania
dal Numero 24 del 19 giugno 2016
di Antonio Farina

Cosa si cela dietro il sorprendente episodio del fico di Betania? La ripugnanza divina verso tutto ciò che ha apparenza ipocrita e nessuna consistenza di vera carità verso Dio e il prossimo. Gesù elimina ciò che non dà frutti per la Vita eterna, e andando verso Gerusalemme si dispone ad essere il vero Frutto che, sul legno sterile della croce, dà la Vita agli uomini.

Nostro Signore Gesù Cristo è il Maestro perfetto, il sommo Docente, l’Insegnante sapientissimo e insuperabile della Parola di Dio. Nei tre anni di vita pubblica non cessò mai di predicare nelle sinagoghe, di annunciare il Regno dei cieli in parabole, opere e miracoli strepitosi.
Non perdeva neanche un’occasione per rafforzare la fede, la speranza e la carità nei suoi Discepoli che spesso rimanevano sorpresi, e qualche volta anche sconcertati, per la novità della dottrina e per la potenza taumaturgica che promanava dalla sua Persona. Alcune parabole, come per esempio quella del cammello e della cruna dell’ago sulla difficoltà per i ricchi di entrare nella Vita eterna, facevano letteralmente restare di sasso ed allibiti coloro che lo seguivano.
Un episodio altrettanto singolare che, se non fosse interpretato in chiave simbolica, rimarrebbe addirittura inesplicabile ed incomprensibile è quello del “fico sterile e seccato” di cui narrano gli evangelisti Matteo e Marco: «Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici diretto a Betania. La mattina seguente, mentre uscivano da Betania, ebbe fame. E avendo visto di lontano un fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa; ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la stagione dei fichi. E gli disse: “Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti”. E i discepoli l’udirono. Andarono intanto a Gerusalemme. Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. Ed insegnava loro dicendo: “Non sta forse scritto: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!”. L’udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento. Quando venne la sera uscirono dalla città. La mattina seguente, passando, videro il fico seccato fin dalle radici. Allora Pietro, ricordatosi, gli disse: “Maestro, guarda: il fico che hai maledetto si è seccato”. Gesù allora disse loro: “Abbiate fede in Dio! In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: lèvati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato. Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato”» (Mc 11,11).
Più o meno la stessa cosa riferisce il Vangelo di san Matteo. Quindi non c’è dubbio, un albero di fichi ci ha rimesso le penne – anzi le foglie –... ma perché? Come mai Gesù che risuscitava i morti, ridonava la vista ai ciechi e faceva camminare i paralitici ha prima maledetto e poi fatto seccare un povero albero di fichi il quale, incolpevolmente, non portava frutti? Il Vangelo osserva che «non era infatti quella la stagione dei fichi...». Il tutto si ammanta di un’aura di mistero ed anche di contraddizione perché è assolutamente impensabile che Nostro Signore Gesù Cristo non sapesse che quella non era la stagione dei fichi... Lui che ha scritto di suo pugno la Legge naturale! C’è qualcosa di più, ci deve essere qualcosa di più, di più alto, di più sublime, di più spirituale che ad una prima lettura dei fatti ci sfugge. O che, in qualche modo, elude la nostra logica limitata.
Gli esegeti e i Padri della Chiesa hanno ben inquadrato tutta la vicenda e ne hanno fornito una spiegazione convincente che mostra quanto profondo sia l’ammaestramento che Gesù di Nazareth ha portato sulla terra. Innanzitutto la nota di commento della Bibbia di Gerusalemme così si esprime: «[Gesù con] la maledizione e poi far diventare secco [...] ha voluto trarre una lezione sull’efficacia della preghiera fatta con fede». Certamente questo è il primo insegnamento che il Maestro si è premurato di comunicare a san Pietro ed agli Apostoli per dissipare le loro perplessità. Ma non è sufficiente. Questa specie di “miracolo al contrario” contiene in effetti un messaggio più sottile ed allusivo sul rapporto che c’è tra fede ed opere. Nel Vangelo di san Luca, infatti, manca questo episodio ma è presente una parabola molto significativa, quella del fico sterile: «Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quegli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai”». La pericope chiarisce molte cose: Nostro Signore simbolizza i frutti spirituali di un’anima coi frutti del fico. Non trovare le dolci ampollosità della pianta equivale a intravedere nell’anima solo apparenza ed esteriorità ma nulla di spiritualmente valido e prezioso. È vero, il fico è stato maledetto e si è disseccato, ma non è il caso di stracciarsi le vesti: le piante periscono negli incendi, per la siccità e anche per mano dell’uomo che ci costruisce mobili e sedie. La fine ingloriosa del fico ha dato più gloria a Dio di una intera vita vegetale sterile ed infruttuosa. A ben riflettere quest’albero è rimasto immortalato nelle pagine dei Vangeli al contrario dei suoi simili “produttivi” e, a modo suo, si è fatto simbolicamente carico del fardello più impuro e disturbante che si possa individuare nell’anima umana: l’ipocrisia e la tiepidezza.
Nota acutamente il Sacerdote Don Dolindo Ruotolo a commento della pericope: «Sarebbe stolto il pensare che Gesù Cristo andasse verso quell’albero per trovarvi dei frutti, o che avesse fame di cibo materiale. Non disse Egli ai suoi Apostoli al pozzo di Sicar che anelava ad un altro cibo, e voleva saziarsi nel compiere la Volontà del Padre? Il fico era una rappresentanza ed un simbolo, e poiché aveva molte foglie quando non era ancora il tempo dei frutti era figura di quelle anime tutte apparenza di pietà, che nella sinagoga abbondavano, ed era simbolo della stessa sinagoga del sacerdozio ebraico, superbo nel fasto delle sue cerimonie esteriori e prive di frutti interiori. Gesù Cristo la sera precedente era stato al tempio, ed aveva osservato ogni cosa. Con la sua divina penetrazione aveva misurato tutta la desolazione nella quale era ridotta la Casa di Dio [...]. Aveva visto anche il sommo sacerdote nel fasto delle vesti che coprivano un cuore cattivo e vuoto di ogni santità, ed era rimasto tutto compreso ed addolorato di questi suoi pensieri. Ebbe fame della divina gloria, ed osservando da lontano il fico pieno di foglie, vide subito in esso un’immagine di quello che aveva visto nel tempio. Andò non per trovarvi un frutto ma per continuare in un simbolo la sua profonda meditazione, e perciò rimase tanto addolorato dell’infecondità dell’albero che lo maledisse [...]». Che lezione sublime e che altissimi pensieri!
Siamo stati chiamati alla vita non per sfruttare la terra e le sue risorse come insetti parassiti egoisti e ripiegati su se stessi, ma siamo nati per conoscere, amare e servire l’Altissimo Dio e per amare il prossimo nostro come noi stessi. È la carità, l’amore, la santità, il frutto ubertoso che Dio si aspetta da noi. Indistintamente. Egli fece all’albero ciò che avrebbe dovuto fare ai sacerdoti sterili ed infedeli che aveva trovato nel Tempio, repellenti araldi dell’ingratitudine umana. Ripugna al Dio dell’Amore vedere trascinarsi le esistenze dei tiepidi, dei “mercenari” dello Spirito, di quelli che nonostante la cura premurosa del Creatore gli rispondono con frutti amari, con bacche legnose, con le apparenze ipocrite dei farisei e dei dottori della Legge: «Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!» (Mt 23,24). «Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Mt 15,8).
Ecco cosa si cela dietro il sorprendente episodio del fico di Betania, una realtà profonda che ci lascia sgomenti come lasciò sgomenti gli Apostoli e i Discepoli che seguivano il Redentore per le campagne di Gerusalemme... Gesù toglie di mezzo ciò che non produce, che è inutile, che non serve per l’Eternità e si avvia con passo risoluto a Gerusalemme dove l’attende un altro tronco fino ad allora rimasto secco, sinistro e maledetto: la Croce. Allora Egli stesso si fa frutto, diventa frutto di Redenzione; la Croce si trasforma d’incanto nell’Albero più prezioso e fecondo che sia mai esistito sulla terra: il Frutto che vi pende, l’unico possibile, è l’opposto di quello che fu colto nella disobbedienza nel Giardino di Eden, non è un frutto di morte ma è un Frutto di Vita. Al contrario di Gesù che non ha trovato frutti, il Padre che è nei Cieli si china dolente sulla terra devastata dal peccato e trova sulla Croce il Frutto che riapre all’umanità il cammino della Salvezza. Meravigliosa simmetria dell’Onnipotente! Un albero verde ma senza frutti è maledetto, dissecca e muore; un tronco d’albero, un patibolo infame ma intriso del Sangue innocentissimo di Gesù si trasforma nel Simbolo glorioso della vittoria di Cristo sul male. È proprio vero che «ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio» (Lc 18,27).

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