FEDE E CULTURA
Come ombre cinesi
dal Numero 10 del 6 marzo 2016
di Antonio Farina

Il ricorso alla chirurgia per modificare la propria immagine è sempre più in voga, ennesima espressione della consuetudine ormai consolidata di affermare la propria volontà a spese di “madre natura”. Le nuove “formulazioni” estetiche, che in casi estremi pendono verso il mondo animale o demoniaco, sono le ultime folli espressioni della rivolta umana contro Dio.

Ormai è accertato, anche la Scienza ne ha fornito un indizio probante, tutto il genere umano discende da una prima coppia di “umani”: un uomo e una donna. Si tratta della cosiddetta ipotesi “mono-genista” della specie Homo sapiens (1). La presenza, in quel piccolo organo cellulare che si chiama mitocondrio, di una porzione di DNA (mtDNA dall’inglese mitochondrial DNA) che è identico per ogni essere umano indipendentemente dal luogo in cui vive, dalla razza e dall’etnia, suggerisce che tutti discendiamo da una prima donna: Eva. Infatti secondo la teoria biologica detta della “Eva mitocondriale” ogni individuo eredita i mitocondri solo dalla propria madre. E questo assunto implica che tutti gli esseri umani abbiano una “linea di discendenza femminile” derivante da una unica donna che i ricercatori hanno soprannominato Eva mitocondriale.
Si è così trovata (con una certa malcelata irritazione da parte degli atei) una conferma genetica delle Verità contenute nel Libro della Genesi: a quanto pare Dio non mente. D’altronde la inter-fecondabilità tra esseri umani, senza distinzione di razza o provenienza, dimostra a sua volta che il “ceppo” umano è unico e, particolari esterni, come il colore della pelle, quello degli occhi o la conformazione dei lineamenti non vogliono dire proprio niente.

Mutazione estetica e disagio sociale

Forse non vorranno dire niente per genetisti ma nelle società moderne, fino a qualche decennio fa, c’era una grossa discriminazione razziale. È emblematico il caso degli Stati Uniti: gli scontri violenti tra «afroamericani» e «caucasici» (cioè i discendenti dei primi colonizzatori europei) o tra questi ultimi e gli «ispanici» o «asiatici» o «nativi» riempivano le pagine dei giornali. Solo negli anni ’60 con Martin Luther King, politico e attivista di colore, gli USA si liberarono (ahimè solo in parte) dell’odiosa scorza di razzismo che permeava la società statunitense fin dalla sua fondazione. Pertanto non è una sorpresa apprendere, scorrendo la storia della chirurgia plastica, che: «Oltre che per un miglioramento estetico, la chirurgia estetica fu vista, soprattutto nell’America di fine Ottocento e inizi Novecento, come possibilità di assimilazione sociale. Il desiderio di eliminare i segni fisici della razza o dell’appartenenza etnica era largamente diffuso. Gli interventi motivati dall’appartenenza ad una determinata etnia si concentravano essenzialmente sui tratti più identificabili: per gli ebrei si trattava del naso, per gli asiatici degli occhi e per gli afroamericani del naso e delle labbra» (2).
Tutti ricorderanno il caso di Michael Jackson riconosciuto come The King of Pop (il re del pop) entrato nel Guinness dei primati per essere l’artista con il maggior successo commerciale di tutti i tempi (3), ebbene da esordiente si presentava come ragazzo di colore con pelle scura, naso rotondetto e capelli lanosi. Improvvisamente nel 1986 subì una sorta di “mutazione genetica”: il suo corpo diventò bianco-cereo, il naso affilato, i capelli stirati. Era irriconoscibile anche ai suoi fans ma, anche con questa esteriorità, continuò ad avere un successo strepitoso, travolgente. Michael Jackson però non aveva affatto scelto di diventare bianco, vi era stato costretto da una malattia della pelle chiamata vitiligine, una malattia del sistema immunitario che attacca i melanociti produttori della melatonina che regola la pigmentazione dell’epidermide. Anche a causa del massiccio (addirittura esagerato) ricorso alla chirurgia estetica tutti, allora, pensarono che si trattasse di una sua ben precisa volontà di diventare bianco e – in qualche modo – di rinnegare la sua natura di afroamericano. Sulla stessa “impronta estetica”, si pose anche sua sorella La Toya Jackson che, manifestamente, non soffriva di vitiligine ma che praticamente si costruì, passo per passo a suon di bisturi, un look, un’immagine di sex symbol europeo-occidentale a dispetto delle sue origini di ragazzina di colore nata nella Contea di Lake (nello stato dell’Indiana). Tutto ciò è fortemente sintomatico dell’atmosfera di tensione-conflitto razziale che si respirava negli States agli inizi degli anni ’90.

“Trasformismo” verso la follia

Quello che sta succedendo oggi è invece del tutto nuovo e sconcertante: non ci si opera più per il desiderio di essere “omologati”, inseriti e non emarginati in una società più o meno discriminatoria, ma per il puro gusto di diventare simili ad un personaggio famoso, per avvicinare il proprio aspetto fisico a quello di un inarrivabile modello di bellezza spaparazzato sulle riviste di fitness o di glamour, per diventare il “sosia” vivente di Marilyn Monroe o di Elvis Presley, ecc., ecc. Non bastava il transgenderismo, cioè gli interventi fisici mirati ad adeguare il viso ed altro alla percezione che si ha della propria identità sessuale, ora si ricorre al chirurgo in modo dissennato: per diventare “giapponese” come il tal personaggio del “Manga” o “caucasoide” come il tal altro eroe del fumetto preferito oppure – sentite sentite – per assomigliare ad un animale! Cosicché esiste l’uomo-gatto, l’uomo-serpente, la donna-pantera e così via. Ribaltare ciò che ha fatto madre natura è ormai una consuetudine consolidata, e lo si fa a cuor leggero: si può cambiare aspetto col 100% di accuratezza. Non è un caso raro quello di persone che si sono sottoposte ad una martoriante successione di interventi chirurgici per assomigliare... al demonio! 
Senza insistere eccessivamente su un giudizio personale si può cercare di inquadrare il fenomeno in una cornice non sociologica o psicologica ma spirituale. Ci si chiede: da dove proviene tutto ciò? Per quale oscuro motivo una bella (e sana) ragazza si è fatta trasformare a colpi di protesi in un demone urlante? Ha ancora senso parlare della chirurgia estetica come una branca della Scienza medica? La Medicina non è forse il mezzo che Dio ha donato agli uomini per guarire dalle malattie? E che dire del chirurgo che si è prestato ad eseguire gli interventi? Gli interrogativi si moltiplicano, diventano più pressanti e conturbanti. I futili motivi, le pulsioni inconsce, la bieca ricerca della risonanza mediatica a tutti i costi riescono solo in parte a giustificare questa nuova moda.
Nella Bibbia l’Ecclesiaste esclamava sconfortato: «Nihil novi sub soli» (Qo 1,9), “niente di nuovo sotto il sole”; certamente non c’è niente di nuovo nella inclinazione insita nella natura umana di scivolare verso il male o di indulgere (anche con spirito d’emulazione, purtroppo) verso il maligno, ma è altrettanto innegabile che le “formulazioni” o le declinazioni estetiche di tali tendenze sono del tutto innovative. Si può essere tentati di sminuire il fenomeno, di dire che è irrilevante, che si tratta in fondo di intemperanze giovanili da parte di qualche testa calda, ma ahimè le sentenze liquidatorie non rendono mai un buon servigio alla verità. Indubbiamente il Rock satanico, i complessi musicali “dark”, personaggi come Marilyn Manson e perfino il già citato Michael Jackson in alcuni videoclip [Thriller del 1982 (4)] hanno contribuito non poco alla diffusione del trasformismo scenografico, ma comunque si trattava di trucchi, di messe in scena – per dire così – reversibili. Al contrario una volta che il chirurgo è intervenuto pesantemente, demolendo intere parti del corpo o sostituendole con protesi (impiantare le “corna”, innestare denti da vampiro e tatuare la pelle all’80%...) non è praticamente possibile riacquistare le sembianze umane. Un incubo che diventa realtà.

Provocazione o disperazione?

È un dato di fatto che spesso i giovani (ed anche i meno giovani) a causa di una vita disordinata, di problemi familiari, di consumo di droga, di sesso e a causa dell’azione corrosiva ed instancabile del tentatore vengono trascinati, proiettati, catapultati – per così dire – in una sorta di dimensione parallela, in un mondo onirico, spaventoso, popolato di figure mostruose e di incubi angosciosi. Riaffiorano così nella vita di relazione e con effetti devastanti, tutti i fantasmi evanescenti che albergano nella loro mente inconscia. Il loro aspetto esteriore può sembrare una provocazione ma in realtà è un grido d’aiuto.
Come uscire dal vortice senza fondo che attanaglia l’anima? Come staccarsi una volta per tutte dal gorgo oscuro di una esistenza lucida e allucinata consumata nella lontananza da Dio? Per costoro la vita diventa un evento inesplicabile, un viaggio insopportabile verso il nulla, un’avventura indecifrabile verso l’ignoto, un gioco d’ombre cinesi perfino.
Solo la Fede può salvarli, solo l’incontro con Dio può ridare senso alle loro esistenze travagliate. In genere quando si è toccato il fondo di una vita dissoluta si fa sentire nel profondo dell’anima una voce flebile, debole, lontana ma ben distinta: è la voce della coscienza che sembrava assopita, sopraffatta, annichilita dai mille errori ed invece è ancora straordinariamente presente e vitale. È la voce della Grazia di Dio, il richiamo imperioso del Bene, l’ultimo anelito dello Spirito Santo che si rivolge verso l’Alto. Ed allora avviene qualcosa di meraviglioso ben descritto dall’episodio evangelico del figliol prodigo: «Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: “Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”» (Lc 15,18).
Siamo Figli di Dio e non delle tenebre, nel gioco delle ombre cinesi non si vedono né la Sorgente della Luce, né il Burattinaio, si vedono solo ombre indistinte proiettate su un lenzuolo tremolante. «La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà... Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!» (1Cor 13,9).  

Note
1) Vedi M. Pera, Does Science interfere with Ethics and Religion?,1989.
2) Haiken Elizabeth, L’Invidia di Venere: Storia della Chirurgia Estetica, Odoya, 2011, p. 202.
3) Music Executive Shot In Hollywood Rampage Dies - FreddyO.co
4) L’album musicale più venduto nella storia della musica, con all’attivo oltre 115 milioni di copie vendute.

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