FEDE E CULTURA
Santi avventurieri francescani in Cina /1
dal Numero 26 del 11 luglio 2021
di Carlo Codega

Nonostante i primi sfortunati tentativi di penetrazione missionaria in terra cinese, il buon Dio volle premiare, con una svolta provvidenziale, lo sforzo inesausto e sacrificale dei suoi Frati Minori concedendo successi inaspettati alle missioni francescane in Cina. Seguiamone l’azione provvidente attraverso il corso degli eventi.

Non passarono molti anni dalla sfortunata vicenda di fra’ Guglielmo da Rubruck, che la Provvidenza divina creò, inaspettatamente e in maniera grandiosa quanto alle proporzioni, le condizioni storiche per favorire l’annuncio missionario cattolico in Cina, di cui ancora furono decisivi protagonisti i missionari francescani, spinti dall’ansia evangelizzatrice del loro Fondatore. A ben vedere qui, come in tante altre vicende della storia, vale la famosa massima del filosofo danese Kierkegaard, secondo cui ciò che dal nostro punto di vista si chiama storia, dal punto di vista di Dio si chiama provvidenza.
 

Il preludio: la missione dei Polo

 

Credo che a nessuno dei nostri Lettori risulti estraneo il nome di Marco Polo, il grande viaggiatore veneziano, le cui vicende furono messe per iscritto da Rustichello da Pisa in quel capolavoro della letteratura di viaggio medievale chiamata Il Libro delle Meraviglie, meglio conosciuto come Il Milione. È necessario in effetti, per introdurre il tema di questo e dei prossimi articoli, risalire all’impresa del viaggiatore veneziano, o meglio, ancor prima, a quella di quindici anni precedente del padre, Nicolò, e dello zio, Matteo o Maffeo. I due fratelli, poco dopo la nascita di Marco, si erano stabiliti a Costantinopoli, infoltendo la già numerosa schiera di mercanti veneziani presenti in città dopo la cacciata dei sovrani orientali e la creazione del Regno Latino d’Oriente, avvenuta durante la famosa quarta e “incompiuta” Crociata del 1204. I veneziani, grazie al contributo dato in quella Crociata, avevano ottenuto ingenti sgravi fiscali nell’iniziare attività commerciali in quelle lande. Con presago fiuto politico, i due fratelli in realtà intuirono il cambiamento che stava per avvenire e non vollero prolungare oltremodo il loro soggiorno a Costantinopoli, lasciandola già tra il 1259 e il 1260, appena in tempo per schivare il ritorno dei Paleologhi – la dinastia orientale spodestata dai crociati – che nella loro violenta ritorsione, se la presero soprattutto con i veneziani, ritenuti per la loro avidità la causa principale degli eventi di alcuni decenni prima: coloro che vennero catturati furono accecati, mentre gli altri tentarono di fuggire su imbarcazioni sovraccariche, che furono anche la loro tomba. 

 

I due Polo, invece, avevano preso per tempo la via dell’Oriente: a Soldaia, città sul Mar Nero, prima; poi in Crimea, a Saraj, capitale del Khanato dell’Orda d’Oro, e infine a Bukhara, in Uzbekistan, dove rimasero per tre anni. Qui nel 1264 seppero che Hulagu, fratello del gran khan Kublai, stava preparando un’ambasciata diretta al gran khan, perché intervenisse nella contesa tra lui e l’allora khan dell’Orda d’Oro. I due Polo, desiderosi di visitare la nuova capitale dell’immenso impero mongolo, Khambaliq (l’attuale Pechino), si unirono all’ambasciata e, per una serie di colpi provvidenziali, non solo ebbero opportunità di parlare con il gran khan Kublai, ma furono ricevuti con grande simpatia e benevolenza dal sovrano, incuriosito da questi due viaggiatori. 

 

Il gran khan, il quale aveva una certa simpatia per il Cristianesimo – che proveremo a spiegare –, a sua volta, incaricò i due mercanti veneziani di recarsi in Occidente, presso il Papa, insieme a un suo ambasciatore, un tale Koeketei, con una lettera, in cui si richiedeva l’invio di 100 missionari per l’annuncio del Cristianesimo nelle sue terre e un po’ di olio proveniente dalle lampade che perennemente ardevano presso il Santo Sepolcro. Per compiere ciò, affidò ai suoi “ambasciatori” una tavoletta d’oro, che serviva come lasciapassare e per ottenere ovunque, nell’immenso impero mongolo, vitto e alloggio gratuito. Siamo nel 1269, ma la richiesta del gran khan avrebbe tardato a realizzarsi...
 

Un’occasione perduta

 

Prima di interrogarci sui motivi che spinsero il gran khan Kublai a questa singolare quanto inaspettata richiesta, che non solo dimostrava benevolenza e apertura al Cristianesimo, ma preludeva persino alla sua conversione, dobbiamo dire che per il momento la sua richiesta non ebbe seguito. Dopo la morte di papa Clemente IV nel 1268, infatti, i cardinali tardarono a trovare un successore: la lunga sede vacante di tre anni dimostrava i primi segni di schricchiolio interno della Christianitas medievale, che, dopo il violento scontro tra papato e impero nel periodo di Federico II, vedeva allora anche una certa politicizzazione della figura del papa, tirato per il pallio dalla fazione filo-francese degli angioini e dilaniata dalle lotte tra Colonna e Orsini. Non a caso, dunque, i due fratelli Polo, giunti ad Acri in Terra Santa, videro immediatamente frustrate le loro speranze di adempiere presto le richieste del khan. 

 

Mentre l’ambasciatore mongolo si era dato alla macchia durante l’itinerario, i fratelli veneziani, nell’ultimo avamposto crociato in Palestina, poterono a lungo disquisire con l’arcidiacono Tebaldo Visconti, legato del Sommo Pontefice in Egitto. Questi, evidentemente entusiasta della possibilità, nutriva dubbi circa la sua immediata realizzazione, dal momento che ben sapeva quanto quel Conclave si stesse prolungando tra le mura del Palazzo apostolico di Viterbo per mere problematiche politiche. Consigliò dunque ai mercanti di tornare a Venezia, dove Niccolò poté riabbracciare il figlio Marco, ormai quindicenne, e pronto ad accompagnare gli zii nella prossima impresa. 

 

Grazie all’intervento perentorio di san Bonaventura di Bagnoregio – che secondo la tradizione convinse i viterbesi a togliere cibo ai cardinali in Conclave e, forse, addirittura a scoperchiare il tetto del palazzo in cui abitavano per accelerare la scelta del Pontefice –, finalmente nel 1271 si arrivò all’elezione di Gregorio X, il quale non era altri che l’integerrimo e cavalleresco piacentino Tebaldo Visconti. I mercanti veneziani pertanto ritornarono presso il Sommo Pontefice che, con grande compiacimento, benedisse la loro ripartenza verso la Cina in compagnia di due domenicani, Guglielmo da Tripoli e Niccolò da Vicenza, con diversi regali per il khan, tra cui l’olio del Santo Sepolcro. Il motivo della designazione dei due frati predicatori ci è oscuro – anche se sicuramente è da ricollegarsi all’affetto che legava la famiglia Polo all’Ordine di san Domenico –, ma la scelta non fu felice: i due a metà viaggio abbandonarono l’impresa, lasciando proseguire i mercanti veneziani con i doni del Pontefice, ma privando ancora la Cina dell’annuncio della parola salvifica di Cristo. Un’altra occasione sprecata, considerando quanto – come ne è testimone Il Milione – la missione dei mercanti veneziani, e in particolar modo la figura del giovane Marco, fece breccia nel cuore del gran khan Kublai. 
 

L’apertura verso il Cristianesimo

 

Si dovette così attendere oltre 20 anni perché effettivamente le richieste del gran khan avessero risposta, e non certo nelle proporzioni immaginate dal sovrano mongolo, che aveva chiesto ben 100 missionari, a cui avrebbe lasciato ampie opportunità. 

 

Ora però è opportuno interrogarsi sull’interessamento del sovrano verso il Cristianesimo. In primo luogo va ricordato che sin dall’inizio della nostra narrazione ci siamo incontrati con sovrani mongoli che dominavano sul territorio e sulla popolazione cinese. È vero che tra tutti i khan mongoli, Kublai fu il più innamorato della cultura cinese, ma in ogni caso, come i predecessori, non solo non condivideva la tradizionale xenofobia cinese, bensì amava proprio avvalersi di stranieri piuttosto che di collaboratori indigeni. Anche Marco Polo, secondo quanto lui stesso racconta, divenne un importante funzionario imperiale (una sorta di governatore, forse), nonostante nemmeno sapesse la lingua cinese, ma fosse pratico solo della lingua “franca” persiana. Inoltre – ed è particolare di non secondario rilievo –, la madre dell’imperatore Kublai Khan, Sorgaqtani Beqi, era stata in effetti cristiana nestoriana, favorendo così nei suoi figli Möngke e Kublai una certa apertura verso la religione di Cristo e il contatto culturale con la Cristianità. Tale fattore, in realtà, non è però così sicuramente interpretabile, nel senso che spesso questa fazione nestoriana, giunta così a ridosso dei gangli del potere dell’immenso impero mongolo, era gelosamente attaccata al suo status secolare in quelle terre, e mal tollerava invece l’arrivo dei cattolici, vedendo in essi un pericolo per il potere e il prestigio acquisito.
 

Un altro invito

 

Eppure proprio dalla fazione nestoriana provenne la nuova scintilla, destinata questa volta ad accendere il fuoco missionario francescano in Terra Santa. Tra le molte visite che il Papa riceveva ogni anno, non era difficile contare – in quegli anni in cui si tentava una riunificazione con le varie Chiese orientali – anche emissari e religiosi delle varie Chiese separate da Roma. Del tutto peculiare fu però la visita di un monaco, tale Bar Sauna, che nel 1287 o 1288 si recò presso Niccolò IV (1288-’92), al secolo Girolamo da Ascoli, ovvero il primo francescano nella storia eletto al Sommo Pontificato. Questo monaco nestoriano infatti non proveniva da alcuna località del vicino o medio Oriente, e nemmeno dalla Persia – ove la Chiesa nestoriana aveva la sua sede – bensì da Kambaliq, ovvero da Pechino stessa. Qui infatti nell’etnia turcofona degli Ongut, o Tatari Bianchi, numerosi avevano conservato la fede cristiana nel trascorrere dei secoli, e, negli ultimi anni, l’avevano vista arrivare vicino al soglio imperiale. Ad ogni modo diversi anni prima Bar Sauna con un confratello, tale Marqos, era partito da Pechino per un pellegrinaggio a piedi al Santo Sepolcro in Terra Santa ma volendo prima di tutto visitare il patriarca nestoriano, che aveva il titolo di Katholikos, giunsero in Persia. Sorpresa fu che pochi giorni prima il Katholikos era morto e, ancor più sorpresa fu che, per motivi sepolti sotto la polvere della storia, lo stesso monaco pellegrino Marqos fu eletto Katholikos di tutta la chiesa nestoriana. . 

 

A questo punto Marqos decise che il suo compagno di pellegrinaggio, Bar Sauna, dovesse recarsi a Roma dal Sommo Pontefice, non solo per una riunificazione delle Chiese, ma soprattutto per chiedere l’invio di missionari in Cina. La comparsa di questa singolare figura destò l’attenzione del Papa – da sempre attento a queste voci provenienti da Oriente – il quale lo fece ascoltare ed esaminare da una commissione cardinalizia. Ottenuto un parere favorevole sulla fede di questo monaco, lo invitò a partecipare alle funzioni della Settimana Santa del 1288, in modo da verificarne e suggellarne la perfetta comunione con la Chiesa Cattolica, la quale dimostra nell’unità liturgica proprio l’unità di fatto del Corpo mistico di Cristo.

 

/ continua

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