FEDE E CULTURA
Cosa disse Napoleone quando parlò di Cristo
dal Numero 24 del 27 giugno 2021
di Paolo Risso

Quest’anno si compiono 200 anni dalla morte di Napoleone, la cui intelligenza è considerata “superiore” da ammiratori e detrattori. Grazie alle conversazioni tenute in esilio con lo scettico generale Bertrand – annotate e pubblicate postume – apprendiamo cosa l’Imperatore sconfitto pensasse di Cristo e come, infine, venne vinto anche da Lui.

Il 5 maggio 2021 si sono compiuti 200 anni dalla morte di Napoleone Bonaparte, in esilio da sei anni a Sant’Elena, un’isoletta dell’Atlantico. Quando alcune settimane dopo (non c’era internet!) lo seppe Alessandro Manzoni, ancor giovane di 36 anni, chiese all’amatissima sposa Enrichetta Blondel di mettersi al pianoforte e di suonare in sua memoria. E lui, “il gran Lombardo”, compose l’ode civile Il 5 maggio, che abbiamo studiato a memoria in terza media.

 

«Ei fu. Siccome immobile / dato il mortal sospiro, / stette la spoglia immemore, / orba di tanto spiro. / Così percossa, attonita, / la Terra al nunzio sta...».

 

La notizia suscitò scalpore dovunque. Com’era possibile la fine, a soli 51 anni, di colui che per circa 20 anni aveva dominato l’Europa e, per così dire, era pronto a dominare il mondo? Manzoni, alla domanda: «Fu vera gloria?», rimanda «ai posteri l’ardua sentenzia», e si china sull’anima del condottiero, passato quasi dalla gloria dell’altare, alla polvere, tra gli sconfitti della terra, lui che a momenti sembrava essere onnipotente.

 

L’ode civile del Manzoni nostro si chiude con la vittoria della Fede cattolica nella sua anima, prima dell’incontro definitivo con Dio.
 

Davanti al Nazareno 

Nato ad Aiaccio in Corsica, il 15 agosto 1769 da famiglia cattolica, fu battezzato, comunicato e cresimato, ma crebbe dai 14 anni in poi, nelle scuole militari di Francia, illuminista, laico, al massimo teista, per non dire quasi ateo. Al culmine della gloria terrena, quando aveva sottomesso la Francia e quasi tutta l’Europa, provò a sottomettere il Papa e la Chiesa Cattolica. Di lì, i suoi guai, la sua rovina, come scrisse un suo pressoché contemporaneo, il pensatore Joseph de Maistre: «Qui a mange du Pape, en meurt» (= chi mangia del Papa, ne muore!).

 

Pio VI morì a Valence il 29 agosto 1799, prigioniero di Napoleone, ma non si era piegato a lui che stava per arrivare alla vetta del potere. Pio VII gli resistette da solo, quando l’Europa si inginocchiava davanti alle sue malefatte, ai suoi delitti. Fu prigioniero e impedito, nelle sue mani sacrileghe, per 4 anni, tra Savona e Fontainebleau. La scomunica lanciatagli dal Papa fece cadere le armi dalle mani dei suoi soldati. La Massoneria lo aveva appoggiato nella sua ascesa, lo abbandonò quando non serviva più ai suoi progetti. E fu Lipsia (1814), e fu Waterloo (1815). La fine, esule e prigioniero degli inglesi a Sant’Elena. 

 

A colui cui non bastava l’Europa, ora era dato uno scoglio, sotto continua sorveglianza. Solo, abbandonato da tutti, eccetto che da pochi fedelissimi, che si contavano su una mano, lui che era stato detto “il primo anticristo della storia” dovette “fare i conti” con quel Gesù, il Nazareno, che egli aveva perseguitato e offeso come pochi, colpendo il suo Vicario e la sua Chiesa. La sua mamma, Letizia Ramolino, che era rimasta vedova a giovane età, con un nugolo di figli, che li aveva visti sui troni di Europa, ora nel bisogno era stata accolta a Roma, da papa Pio VII. Ella e il Papa, considerato giustamente un martire, pregavano per lui.

 

Così giunse l’ora del suo incontro con Gesù. Si legge nelle Memorie che Napoleone, ormai in ginocchio davanti a Gesù, disse di Lui al generale Bertrand (1): «Io conosco gli uomini, e le dico che Gesù non era solo un uomo. Gli spiriti superficiali vedono una somiglianza tra il Cristo e i fondatori degli imperi, i conquistatori e le divinità delle altre religioni. Questa somiglianza non c’è, tra il Cristianesimo e qualsiasi altra religione, c’è la distanza dell’infinito. 

 

Nessuno tra di noi che consideri, con spirito analitico, ciò che sappiamo dei diversi culti delle diverse nazioni, non può fare a meno dal dire in faccia a questi personaggi: “No, non siete né dèi né agenti della divinità; no, non avete alcuna missione dal cielo. Siete piuttosto i missionari della menzogna, e perciò vi fu riservata la stessa sorte che agli altri mortali, perché siete della stirpe di Adamo.

 

Il paganesimo non fu accettato come verità assoluta dai saggi della Grecia, come Pitagora, Socrate, Platone, Anassagora e Pericle. Al contrario, gli spiriti più nobili dopo la comparsa del Cristianesimo hanno avuto la fede in esso, una fede sostanziale nei misteri e nei dogmi del Vangelo. Perché si è verificato questo fatto singolare? Che un credo misterioso, il simbolo degli Apostoli sia stato accolto con un rispetto profondo dagli uomini più illustri, mentre le teogonie derivate dalle leggi della natura, non si sono imposte ad alcun sapiente?

 

Gli dèi e i legislatori dell’India, della Cina, di Roma, di Atene, non hanno niente che possa imporsi al mio cuore. Per me, questi dèi e questi grandi uomini sono solo degli esseri umani come me, perché la loro intelligenza non si discosta poi di molto dalla mia. Nel loro tempo, essi hanno primeggiato, e svolto un grande ruolo, come del resto, io nel mio tempo. 

 

Lo stesso non si può dire di Cristo, perché il suo spirito mi supera, e la sua volontà di stupisce. Tra Lui e qualsivoglia altro nel mondo non può esserci un possibile termine di paragone. Egli è un essere a parte».
 

Incomparabile Gesù

Per Napoleone a Sant’Elena è “un tipo a parte” Gesù, che non si può paragonare con alcun altro, è sommamente nuovo, originalissimo, è unico e insuperabile. Non si può inventare da parte di nessuno, è Lui e basta a se stesso: il Nuovo, l’inedito assoluto. E allora è Dio.

 

Conclude Napoleone: «La nascita di Gesù, la storia della sua vita, la profondità del suo dogma che raggiunge il massimo della difficoltà, dogma che è al contempo la più ammirevole spiegazione della sua vita, il suo Vangelo, la singolarità di questo essere misterioso, la sua apparizione, il suo regno, la sua vittoria sul tempo, i secoli e le civiltà, tutto ciò per me è un prodigio, un mistero insondabile... che mi proietta in una meditazione estatica da cui non riesco a tornare.

Del resto, tutti sappiamo che le scienze e la filosofia non servono in alcun modo per la nostra salvezza, e Gesù viene nel mondo per rivelare i segreti del Cielo, e le leggi dell’anima. A Lui l’anima basta, come Egli basta all’anima; prima di Lui l’anima non era niente, poiché la materia e il tempo erano i padroni del mondo. Dopo di Lui, tutto è stato riportato al posto giusto, e la scienza e la filosofia sono state riportate al loro ruolo secondario del destino dell’uomo. Con Lui, l’anima ha riconquistato la propria sovranità, e tutta l’impalcatura della speculazione filosofica crolla, per la forza di una sola parola sua: la Fede».

E si giunse all’aprile del 1821. Napoleone ha solo 51 anni, ma la sua salute andava disfacendosi. Racconta il generale De Montholon che lo assistette fino all’ultimo: «Il 29 aprile, avevo già trascorso 39 giorni e notti al capezzale dell’imperatore... La notte tra il 29 e il 30 aprile mi chiese di far venire l’abate Vignali, perché prendesse il mio posto. La sua insistenza mi fece capire che qualche altro pensiero lo stava guidando e con sincerità filiale glielo dissi che capivo la ragione di questa sua richiesta pressante, ed egli: “Sì, chiedo don Vignali perché prete, non certo perché viene dalle montagne della Corsica. Mi lasci solo con il prete e non ne parli con nessuno”.

 

Obbedii e gli condussi subito l’abate Vignali, a cui comunicai il desiderio da parte dell’imperatore. Quando mi ripresentai alle quattro del mattino, l’imperatore mi disse: “Generale, sono felice; ho compiuto tutti i miei doveri e le auguro la mia stessa felicità al momento della sua morte. Ne avevo bisogno, mi creda: sono italiano, figlio della Corsica e gioisco quando incontro un prete. Non avrei voluto dirlo, ma adesso non ha più senso ormai, perché io voglio, devo rendere gloria a Dio”».

 

Il medico personale, dottor Francesco Antonmarchi: «Il 3 maggio 1821, tutti si ritirano alle due pomeridiane; l’abate Vignali resta solo con il malato... quindi ci annuncia che ha amministrato il Santissimo Viatico all’imperatore».

 

Napoleone, “il fatal dagli occhi d’aquila”, colui che teneva in pugno i regni, si era inginocchiato al Crocifisso del Golgota e lo aveva ricevuto come Pane di Vita eterna. Quel che avvenne in quei giorni sullo scoglio di Sant’Elena in mezzo all’Atlantico, lo cantò il Manzoni, con il suo genio di cattolico, di storico e di poeta, nell’ode Il 5 maggio, nel suo finale, mentre la dolce Enrichetta Blondel, angelica sua sposa, suonava al pianoforte: «Ahi forse a tanto strazio / cadde lo spirto anelo, / e disperò: ma valida / venne una man dal cielo, / e in più spirabil aere / pietosa il trasportò; / e l’avviò, pei floridi / sentier della speranza, / ai campi eterni, al premio / che i desidéri avanza, / dov’è silenzio e tenebre / la gloria che passò. / Bella Immortal! benefica / Fede ai trionfi avvezza! / Scrivi ancor questo, allegrati; / chè più superba altezza / al disonor del Golgota / giammai non si chinò. / Tu dalle stanche ceneri / sperdi ogni ria parola: / il Dio che atterra e suscita, / che affanna e che consola, / sulla deserta coltrice / accanto a lui posò».

 

Quel 5 maggio 1821, duecento anni fa, fu un mirabile trionfo del Cristo Salvatore e Re: sì, Nazareno, hai vinto! A te l’onore, la potenza e la gloria. 

 

 

Nota

1) Il 15 ottobre 1815 Napoleone, sconfitto a Waterloo, sbarca a Sant’Elena insieme ad alcuni ufficiali rimastigli fedeli ai quali confiderà le sue più intime convinzioni sulla fede, che saranno poi fedelmente trascritte. I colloqui avuti dal generale Bertrand, scettico e positivista, con Napoleone si possono leggere in italiano in: Napoleone Bonaparte, Conversazioni sul cristianesimo, prefazione di Giacomo Biffi, ESD, pp. 90.

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