I FIORETTI
Nella cella n. 5...
dal Numero 29 del 19 luglio 2015

La mia conoscenza del venerato Padre si è andata approfondendo durante gli anni di vita religiosa. Pur dimorando, infatti, in altri conventi, mi recavo in quello di San Giovanni Rotondo almeno due volte al mese, sempre con il permesso dei Superiori.
Ogni incontro con lui risultava sempre proficuo per la mia anima. Inoltre andavo dal Padre per portargli le preghiere di molti fedeli i quali, sapendo che io ero suo compaesano, confratello e figlio spirituale, si raccomandavano a me perché mi rendessi interprete presso di lui delle loro necessità.
Il ricordo di ogni incontro è rimasto indelebile nella mia mente per cui non mi è stato difficile annotare le esperienze più significative vissute alla sua ombra, i dialoghi intrecciati con lui, le sue confidenze sconcertanti.
Sempre nell’anno 1945 ebbi spesso occasione di entrare nella cella n. 5, all’epoca occupata da Padre Pio.
In questa cella ammiravo la francescana semplicità e povertà dell’arredamento, l’ordine, il mistico silenzio.
Vi entravo quando potevo per intrattenermi un po’ con il Padre.
Una volta lo trovai disteso sul letto. Aveva sul viso una smorfia di dolore. Gli chiesi se si sentisse tanto male. Mi rispose: «Figlio mio, sapessi che sofferenza. Ho le coliche renali e, se potessi, ficcherei piuttosto le dita nel muro. Sono insopportabili».
Provai una stretta al cuore vedendo lo stato in cui versava il venerato Padre. Riuscii solo a fargli una carezza senza dire una parola. In cambio, con gli occhioni lucidi, mi sorrise.

Un fuoco divino

Un’altra sera, sempre nella stessa cella, mi disse ancora: «Figlio mio, mi sento il ventre gonfio e dolente. Eppure oggi ho mangiato solo 30 grammi di cibo. Il più grande favore che mi potrebbe fare il Superiore sarebbe quello di dispensarmi dal mangiare».
Mi chiesi come il Padre riuscisse a vivere senza una sufficiente alimentazione, con tanto lavoro, tanta sofferenza e perdendo circa 50 grammi di sangue al giorno!
Quella sera, fuori nevicava, e nella cella non c’erano riscaldamenti. Ad un tratto Padre Pio diede un gran sospiro e disse: «Mio Dio, brucio in un gran fuoco!».
Commentai: «Padre, ma questo è un fuoco divino!».
Replicò: «Non lo auguro a nessuno. Sapessi quanto soffro! Siamo in pieno inverno e, pur stando coperto, di notte, solo col lenzuolo, mi sveglio in un bagno di sudore!».

Come i delinquenti... o peggio!

Nello stesso inverno mi capitò di accompagnare il Padre lungo il corridoio del convento. Giunti davanti alla sua cella Padre Pio si fermò e mi disse: «Figlio mio, che dolore quando debbo cambiarmi la maglia!». Pensai subito alla ferita del costato. Invece, solo nel gennaio del 1969, mentre sistemavo dopo la sua morte i suoi indumenti, compresi la fonte di quel dolore. Ma di questo parlerò in seguito.
Entrammo in cella e, appena seduto, mi chiese di chiudere la porta. Poi, poggiandomi lievemente una mano sulla spalla, si lasciò andare in uno sfogo paterno e disse: «Guagliò, mi sembra di essere il più grande delinquente. Mi pedinano ad ogni passo che fo. Vado in chiesa e trovo gente; per i corridoi trovo frati e borghesi... Chi vuol chiedere un consiglio, chi vuol sapere del suo avvenire, chi vuol curiosare... Mi si buttano alle mani per baciarle e mi procurano dolori di morte... C’è stato perfino chi ha ficcato le sue dita nel mio guanto per esplorare...!».
Mi ricordai allora della confidenza del dottor Cardone di Pietrelcina il quale mi raccontò che, per rendersi conto se le piaghe di Padre Pio erano aperte o si fossero rimarginate, fece entrare nella piaga della mano destra del Padre il pollice e l’indice, in modo che si toccassero l’un l’altro! Padre Pio ne provò un grande strazio ed esclamò: «Eh, dottore, sei come san Tommaso?... A me le ferite fanno male!».
Dopo una pausa di silenzio il Padre aggiunse: «Devi sapere che un delinquente, in carcere, ha la sua ora di libertà, un po’ di tempo per passeggiare in giardino... Ma a me non danno un minuto di tempo libero!... Mi pedinano e mi sorvegliano di giorno e di notte».
E mi accorsi che aveva proprio ragione.

Fra Modestino da Pietrelcina,
Io... testimone del Padre,
pp. 31-33

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