I FIORETTI
“Avete misurato la febbre a Tonino?”
dal Numero 25 del 21 giugno 2015

Nel periodo in cui prestai servizio militare, feci sempre più attenzione alla voce interna che mi chiamava alla vita consacrata. Passavo il mio tempo libero nella chiesa di Santa Francesca Romana a pregare, a meditare, ad adorare. Parlai della mia vocazione all’abate Don Placido Lugano il quale mi assicurò che i Benedettini mi avrebbero accolto con piacere. Prima però di prendere la definitiva decisione, volli chiedere consiglio a Padre Pio che ormai avevo eletto a mia guida spirituale.
Attesi con ansia il giorno del tanto sospirato congedo. Feci ritorno in famiglia a Pietrelcina ma non trovai la disponibilità di mezzi per raggiungere San Giovanni Rotondo. L’unica possibilità che avevo era quella di usare l’asino di san Francesco, cioè di andare a piedi.
Iniziai dopo qualche settimana l’avventuroso viaggio in compagnia di altri cinque paesani pur desiderosi di andare a visitare Padre Pio. Impiegammo ben due giorni e mezzo soffrendo fame, sete, sonno, stanchezza ed ogni specie di disagi. Tutto però fu compensato dall’amore con cui ci accolse il Padre che, con l’entità del nostro sacrificio, valutò anche l’entità del nostro affetto per lui.
Rimanemmo quindici giorni nella cittadina garganica. A quel tempo Padre Pio era più libero perché la guerra non aveva favorito di certo gli spostamenti ed i viaggi.
Dopo aver ascoltato le Confessioni egli ci riceveva nel salone attiguo alla chiesetta e ci parlava di Dio, della Madonna, dell’Angelo Custode, della grandezza dell’anima. Noi attingevamo dalla sua parola e dal suo esempio preziosi insegnamenti di vita interiore. Poi, gli raccontavamo tutto quanto succedeva a Pietrelcina fornendo notizie di comuni conoscenze. Quegli incontri erano sempre avvolti da tanta, calorosa, intima familiarità. Ricordandoli, ancor oggi mi sento afferrare dalla nostalgia. Non ebbi mai l’opportunità o il coraggio di rivelare al Padre la mia decisione, in quei quindici giorni che rimasi vicino a lui.
Quando la nostra permanenza a San Giovanni Rotondo stava per volgere al termine, fummo colti dalla tristezza sia perché dovevamo lasciare Padre Pio, sia perché pensavamo che il ritorno avremmo dovuto farlo pure a piedi e con tutti i noti, esperimentati disagi. Padre Pio se ne accorse e, rassicurante ci disse: «Paisà, state tranquilli che la Provvidenza ci penserà».
Infatti la Provvidenza intervenne puntuale: fu preannunciato in serata l’arrivo di un camion da Pietrelcina che doveva trasportare tutto ciò che apparteneva al fratello di Padre Pio, zi’ Michele, il quale si trasferiva anche lui a San Giovanni Rotondo.
Giunse e l’autista promise che l’indomani ci avrebbe riportato a Pietrelcina. Eravamo tutti contenti per non dover più fare a piedi il viaggio di ritorno ma, in serata, all’autista, che per mancanza di soldi e di alberghi aveva preso posto nella cella n. 15 in convento, scoppiò un febbrone a 39 gradi. Noi cominciammo a dubitare circa la nostra partenza. Alla presenza di Padre Pio pensai: domani non si parte. Il Padre, come se avesse letto nel mio pensiero, mi rimbeccò dicendo: «Domani partirete».
A Padre Bernardo da Pietrelcina chiesi di misurare nuovamente la febbre a Tonino. Così infatti si chiamava l’autista. Era però sempre a 39 gradi. Mentre manifestavo a Padre Bernardo la nostra preoccupazione in quanto vedevamo svanire il ritorno, con il camion di Tonino, Padre Pio passò e si fermò sull’uscio sbirciando all’interno della cella. Poi chiese: «Avete misurato la febbre a Tonino?». Noi rispondemmo affermativamente aggiungendo: «Ha 39!». E lui: «Ma ci vedete o non ci vedete?!». Prese quindi il termometro, lo scaricò, lo rimise al braccio di Tonino e andò via imboccando il corridoio che porta al coro. Dopo cinque minuti su quel termometro il mercurio segnava 36,2 e non più 39.
Stupiti e sbalorditi ringraziammo il Signore per i doni concessi a Padre Pio. L’indomani partimmo.

Fra Modestino da Pietrelcina,
Io... testimone del Padre,
pp. 17-19

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