Ricorderò sempre il Natale del 1963, vissuto accanto a Padre Pio, mio amato e venerato Padre spirituale.
L’espressione di attesa, che era in tutta la sua persona, mi è impressa nella memoria. Come pure indelebile è nella mia mente il suo profondo raccoglimento e la sua estatica preghiera. Ma soprattutto è ancora vivo davanti ai miei occhi il colore delle sue guance arrossate, quando il canto del Te Deum diede l’annuncio della Nascita del Salvatore.
Alle ore 23 mi recai in coro, insieme con i confratelli, per recitare, e in parte cantare, il divino Ufficio in nocte nativitatis Domini.
Eravamo tutti presi dall’alone di spiritualità che emanava dalla persona del venerato Padre. E la preghiera era più sentita e più fervorosa, ricolma di una indicibile gioia spirituale. Il cuore godeva per la Nascita del Bambino divino e per la vicinanza di colui che, nel profondo dell’anima, ritenevamo – e tuttora riteniamo – uno spirito eletto, dotato di speciali carismi divini.
Mai, come in quella Notte, ho gustato così deliziosamente le letture del profeta Isaia, che parlano della nascita di un «Pargolo», di un «Figlio», chiamato «Ammirabile, Consigliere, Dio, Forte, Padre del secolo futuro, Principe della pace».
Mai più risuonerà alle mie orecchie così solenne ed appropriato il richiamo del papa san Leone: «Riconosci, o cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna».
Aleggiano ancora nella mia anima le parole sublimi dei santi Dottori della Chiesa: Gregorio Magno, Ambrogio ed Agostino vescovi.
Dopo l’ultima lettura, la statuina di Gesù Bambino fu posta sul leggìo ed incensata. Iniziò, poi, al canto del Te Deum, la lunga e misteriosa processione dal coro alla chiesa, attraverso i corridoi e il chiostro del convento.
I frati osannanti con i ceri in mano, le volute e il profumo dell’incenso, i sacri paramenti scintillanti di oro, nella penombra claustrale, suscitavano nella mia fantasia immagini metastoriche e atemporali. Quella processione mi sembrava il corteo di tutta l’umanità, che da sempre va incontro al Cristo che viene.
Mentre passavamo, tra due ali di folla, lieta e chiassosa, notai che gli occhi di tutti erano rivolti a Lui: al Pargolo divino tra le braccia del Padre stigmatizzato. E le mani si protendevano a toccarlo: mani delicate di bimbi innocenti, mani gentili di donne devote, mani incallite di operai dei campi. Tutti volevano vedere e toccare Colui «per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte».
Arrivati all’altare maggiore, la statuina del Bambino Gesù fu collocata al di sopra del tabernacolo, ai piedi del Crocifisso, e iniziò la Messa, la meravigliosa Santa Messa in nocte nativitatis Domini.
Ricordo che, al Vangelo, il sacerdote incaricato di tenere l’omelia, sviluppò per lungo e per largo il seguente pensiero: il Verbo di Dio si era incarnato per amore, quel Bambino divino era nato per amore, il Salvatore era venuto nel mondo per amore. Era la provvidenziale e misteriosa risposta ad una mia segreta domanda, che si chiedeva la ragione ultima di tutta quella solenne e radiosa Liturgia.
Con quel pensiero nella mente passai tutta la notte e tutto il giorno di quell’indimenticabile Natale.
Il sigillo doveva essere apposto a sera. Recatomi nella camera del Padre amato, per fargli per l’ultima volta gli auguri natalizi, mi sentii misteriosamente attratto verso di lui. Egli, con le guance arrossate come al canto del Te Deum durante la notte e con gli occhi sfavillanti di gioia e di luce, mi recitò, in latino, il versetto del Vangelo di san Giovanni: «“Sic Deus dilexit mundum”: così Dio ha amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito».
Grazie, Padre! È questa la consolante certezza nella quale io vivo dalla Notte Santa di quel Natale di grazia 1963.
di Padre Gerardo Di Flumer