IL PENSIERO
Non ho tempo da perdere con te! Le esperienze di un Padre Domenicano
dal Numero 34 del 1 settembre 2013
di Padre Arcangelo Dossena

Un Domenicano bussa alla porta del convento di San Giovanni Rotondo: vuole conoscere Padre Pio. Osserva il Padre in sacrestia, in confessione, gli serve la Messa, gli bacia le stimmate… Ecco la sua testimonianza.

Ho conosciuto la prima volta Padre Pio nel maggio del 1949; l’ho rivisto altre volte, sono stato ospite nel suo convento, suo commensale, ho avuto con lui brevi ma significativi colloqui, l’ho osservato in ogni suo modo di parlare e di agire e ne sono rimasto fortemente impressionato, per sempre.
Mi è apparso più volte in sogno, benevolo e confortante. Son divenuto suo sincero e premuroso fedele, al punto da guidare per oltre vent’anni pellegrinaggi alla sua tomba, parlare di lui innumerevoli volte, nella «sua chiesina», presso la sua tomba, in tutti i luoghi del suo passaggio: Pietrelcina, Foggia, Benevento, ecc.
Ho formato vari gruppi di preghiera e li ho seguiti finora, con tutto il fervore; ho letto assiduamente, si può dire, ogni rivista e libro su di lui, ho presenziato alla sua beatificazione, pur essendomi costato parecchio sacrificio tutto questo. Pertanto, credo di essere in grado di rispondere alla richiesta che mi è stata fatta di narrare dei miei incontri con lui, con sufficiente competenza.
Ma, sono un domenicano, e come tale, sulla scia di quanti mi hanno preceduto nel predicare la «verità», mettendola innanzi a tutto e a tutti, non intendo farmi condizionare da prudenzialismi di sorta. Quale l’ho conosciuto, Padre Pio, ante et post mortem, e nella visuale umana e in quella cristiana, tale lo presento.

Primo incontro

Fu come ho già detto nel 1949, sulla fine di maggio. Ero di ritorno dal Cile, in Sud America, ove ero stato per una breve missione affidatami dai superiori, ed ero piuttosto giù di salute; una visita a Fatima, nel viaggio avventuroso, mi aveva ottenuto un miglioramento. Avevo bisogno però di riposo, e chiesi al mio superiore di fare un pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo.
Ci arrivai di sera, ed era già buio. San Giovanni Rotondo non era allora quale si presenta adesso. Tutt’altro. Era un borgo di paesani del sud, del Gargano, e il convento con la chiesetta, lontani, poverissimi, in fondo a una interminabile stradicciola-tratturo, che mi costò tanto a percorrere. Ci arrivai non preavvisato, alla ventura, com’è un po’ nel mio stile.
Tirai la corda della campanella, con timore di essere ricevuto come san Francesco alla Porziuncola quella famosa immaginaria notte della parabola a frate Leone, «della perfetta letizia», e invece fui accolto subito da un fraticello laico con tanta bontà. Mi riconobbe subito dall’abito come domenicano, e in omaggio all’antica amicizia fra i due Ordini, mi offrì senz’altro vitto e alloggio, con una cordialità commovente. Fatto coraggioso da questo, gli chiesi se avrei potuto l’indomani incontrare Padre Pio: «Ma gli dormirà accanto! – mi rispose – E domattina presto, verso le quattro, lui uscirà, borbottando le sue preghiere; si fermerà all’orologio, per vedere l’ora e scenderà verso la chiesa; si faccia trovare lì!». Non dico la gioia e la commozione per tanta premura e... fortuna!
La mattina dopo, alle tre e mezzo (avevo dormito poco, per l’emozione e l’attesa), eccomi accanto all’orologio a pendolo! Pregando con fervore che tutto andasse bene.
Alle quattro circa, sento un sommesso ciabattìo e un confuso brontolìo. Eccolo. Non mi vede. Si ferma davanti all’orologio, guarda, e s’accorge di me. Tra il faceto e il burbero mi chiede, con spiccata cadenza napoletana: «E voi, da dove venite?». «Dall’America, Padre!» risposi, alquanto orgoglioso. «Oh! Oh!» fece lui, con aria di benevolo stupore. E s’avviò verso la porta della scala che metteva in sagrestia (ora non saprei più dove ritrovarla, tanto è cambiato il convento!). Giunti lì, si volse con incredibile amabilità a me, e con gesto d’invito, mi fece: «S’accomodi!» (“Ma guarda un po’ come è garbato! – dissi dentro di me –. E allora chi lo dice altrimenti lo fa proprio per avversione!”).
      Scendemmo le scale; io gioiosamente e superbamente, allato. Si percorre il corridoio; io allato. A un tratto, si volge verso di me brusco e iroso: «Ma insomma, ti vuoi levare di tra i piedi?». Per poco non sobbalzai; ma pensai subito: “Ahi, Ahi! comincian le dolenti note”! E prendo a cambiar opinione; ma taccio, anzi sorrido.
Si entra in sagrestia, io stavolta dietro; lui si dirige all’inginocchiatoio, e lì tra inginocchiato e seduto, ma tutto raccolto da non avvedersi affatto della turba che lo circonda, fa la preparazione alla Messa; una mezz’ora almeno!
Si alza e si dirige in un angolo, preparato a confessionale aperto per gli uomini. Mi faccio avanti, con sua sorpresa e m’inginocchio. Preliminari penitenziali, poi, lui: «Da quanto è che non ti confessi?». «Da pochi giorni, veramente, Padre». «E che ci vieni a fare; non ho tempo da perdere con te!». Fulmine! Ma ormai non più a ciel sereno! Incasso. «Almeno mi dia la sua benedizione!», «Ah, questa sì!» (nota: m’hanno raccontato che stessa risposta la ebbe un certo monsignor Ursi, divenuto poi arcivescovo di Napoli e cardinale!).
Mi benedice e mi congeda. Immaginate il mio stato d’animo, ma pensai, allora per la prima volta, lo penserò altre volte, e scusatemi la sfacciataggine: “Hanno ragione, è proprio un rustico sannita!”. Con l’animo sconcertato tentai un’altra sortita. Feci chiedere per mezzo del sacrestano che al Padre, venuto al banco per pararsi, offriva i primi indumenti, se potevo servirgli la Messa. Risposta energica: «Chi la serve la serve!». Si avvicina allora un pover’uomo piagnucolando, e presentando un bambino, supplica «Padre Pio, guarite questo bambino! È sordo, è muto!». E il Padre, infastidito, ad alta voce: «È sordo, è muto! E io che ce posso fa’?». Il poveretto desolato s’allontana! (“Accidenti che santo!” ripensai io).
Il Padre, si toglie i guanti che coprono le stimmate (prescrizione liturgica nel caso).

Mi guardò di nuovo e... mi sorrise

Le vedo benissimo. Che orrore! Tutta una crosta rosso-bruna sulla palma e il dorso delle mani. Ne rimasi sconvolto. O allora? Santo davvero, o mistificatore?
Allora feci un gesto, di cui mi pentirò sempre: gli presi con forza la mano destra e la baciai: profumo indescrivibile! Diede quasi un urlo! Lasciai la mano e lo guardai con aria profondamente pentita. Mi riguardò e... mi sorrise, quasi a ringraziarmi del dolore!
Non sapevo più cosa pensare, ma cominciai davvero a dubitare più di me che di lui. Osservai con quanta cura si adattava i paramenti: con vera pietà liturgica. Lo sentii come un rimprovero, e ne avevo bisogno, quanto ne avrebbero bisogno tanti preti e frati con me. Parato a modo – io lo ero da chierichetto col mio abito bianconero (sempre portato anche «post concilium» e tuttora, con santo orgoglio!) – il Padre si mosse piano piano, attraversando la porticina della chiesa e, fatta la genuflessione all’altare maggiore, varcò il cancelletto e sempre preceduto devotamente da me, si recò all’altare di san Francesco, ove soleva celebrare. Sale i gradini dell’altare, sistema il Calice sulla mensa, dopo aver steso il corporale, volge uno sguardo devotissimo al suo santo Patriarca; si volge e scende un gradino... Sorpresa! Una donna, forse un po’ incosciente, stava facendo confusione, per chissà che cosa. Il Padre le si rivolge perentorio: «Vuoi stare zitta? Siamo in chiesa, siamo alla Santa Messa!». Segue un silenzio di tomba! E il Padre inizia il santo rito e io rispondo. Mi metto però in posizione di osservare ogni suo movimento. Con quanta compunzione recita il Confiteor! Con quanta devozione, il Gloria, l’Oremus! Con quanta attenzione, chino sul messale, legge, scruta la divina Parola dell’Epistola! Come si commuove al Vangelo! Neppur io so più dove mi trovo: tra Cielo e terra, o piuttosto: nell’Orto del Getsemani, o sul Monte delle Beatitudini?
Lo servo con gioia all’offertorio, al lavabo. Cosa curiosa: pare che faccia apposta quando gli offro qualcosa, ampolline, manutergio... a porgermi la mano piagata, perché la baci!
Non parliamo poi del prefazio e delle preci eucaristiche: quasi si contorce, suda, sospira, lacrima. E per quanto tempo! Alcune cerimonie della consacrazione durano quarti d’ora, in un clima di vero Calvario! Mi confondo; mi turbo io stesso.
Ah! Una cosa: ogni volta che il suo sguardo si posa sull’animetta (un quadratino inamidato), per toglierla o riporla dal Calice, e che porta l’immagine d’un Gesù sofferente... estasi! Poi, mi par di vedere al «Pater Noster», che recita singhiozzando, un rigagnolo grosso di sangue che gli scende sulle mani. Non so più cosa pensare! E mi sento spezzare le reni dalla stanchezza e i ginocchi mi bruciano: è più di un’ora di questa Passione! Mi è valsa per tutti gli esercizi spirituali, che debbo fare ogni anno.
Finita la Messa, torna normalissimo, serenissimo.
Rientra all’altare maggiore, per fare le Comunioni. Una scenetta; giunto di fronte a una donna, le toglie il piattino per la Comunione e passa oltre. Sgomento in tutti. E la donna in ginocchio lo rincorre, bussandolo alla tonaca! Il Padre ritorna un passo e la comunica! Liturgia tutta sua!
E Morale anche un po’ sua. Sì, debbo dirlo, a proposito, perché nel modo di confessare, Padre Pio appariva come il più diligente pretino, ligio alla Morale manualistica. Il visitatore papale, monsignor Maccari, che papa Giovanni – proprio lui, perché non gli andava il modo con cui Padre Pio trattava certi penitenti – aveva inviato, riferirà al Papa che «Padre Pio teologicamente era mediocre!». Ma si ricrederà, quando più tardi capirà che i «carismatici» sono sopra ogni testo morale, liturgico e giuridico, tanto più Padre Pio che i «carismi» li aveva proprio tutti. Averlo conosciuto!

Fine prima parte

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