Don Raffaele Bove [...] racconta qualcosa che ha dell’incredibile: «Con padre Pio ho scoperto la funzione dell’Angelo custode. Ne ho sempre avuto una grande devozione, ma che potessi impiegarlo a fare servizi, no. Ecco come è successo.
Da diversi giorni mi trattenevo a San Giovanni Rotondo; a refettorio sedevo alla sinistra di padre Pio. Potevo così constatare quanto lui mangiasse. Per non sentirsi ripetere dal padre guardiano “Pio, mangia!”, lui dava una giratina di forchetta al piatto o di cucchiaio alla minestra, l’accostava alle labbra, toccava qualcosa d’altro e basta...
Un giorno gli dissi: “Padre Pio, domani riparto”.
“Dove vai?”, mi chiese.
“A Campobasso”, risposi.
“Ma che vai a fare? Statti qua. Voi canonici non fate niente...”.
“No – aggiunsi – devo avvisare un ingegnere di iniziare un lavoro alla mia chiesa».
“Lo devi solo avvisare?”.
“Sì”.
“E allora – disse, dandomi una gomitatina – questo servizietto fallo fare all’Angelo custode, e tu resta qua”.
Rimasi un po’ perplesso, senza parola. Lui se ne avvide e, guardandomi negli occhi, disse: “Ah! Tu non usi farti fare i sevizi dall’Angelo custode, eh? Ebbene, questo servizio fattelo fare!”.
“Va bene”, risposi timidamente.
Cominciai a pensare quando e come dovevo parlare all’Angelo custode, come se non fosse sempre il momento. Ma, mentre celebravo la Santa Messa, mi fermai al “memento dei vivi” del Canone romano, e pensai: attorno all’altare, durante la Santa Messa, sono presenti gli angeli e i santi, tanto più c’è il mio Angelo custode. E dissi: “Angelo custode, mi ha detto padre Pio – mi feci forte con il nome del Padre – di avvisare quell’ingegnere che iniziasse il lavoro. Vedi tu, ora...”.
Dopo alcuni giorni tornai a Campobasso. Scendendo alla stazione, vidi in lontananza l’ingegnere. Lo raggiunsi e gli dissi: “Eccomi tornato: puoi cominciare il lavoro”.
E lui: “L’ho già cominciato; mi venne in mente di farlo l’altro ieri mattina uscendo da casa”.
“Scusa, che ora era?”.
“Perché ti interessa l’ora?”, chiese.
“Così, per una cosa mia...”, risposi.
“Come ogni mattina, io esco alle 8.15”, precisò. Era il momento esatto in cui io parlavo all’Angelo custode! Allora dissi tra me: mi ha proprio fatto il servizio!
Ma di ciò ne ebbi la conferma. Una settimana dopo avvisai padre Gabriele, mio fratello, che sarei arrivato a San Giovanni a tarda ora, verso le 21.30; ma lo pregai di non dire ad alcuno del mio arrivo, neanche a padre Pio, per non dovermi scusare dell’ora tardi.
Così avvenne. Giusto al convento, Gabriele, zitto zitto, venne ad aprirmi la porticina; in punta di piedi salimmo le scale per non svegliare i frati, e, trattenendo anche il respiro, stavamo passando davanti alla cella di padre Pio, quando dall’interno egli gridò: “Ué guagliò, si’ riminuto: a vist comm ti fa li servizi l’Angelo custode...?! (Eh, ragazzo, sei tronato! Hai visto come ti fa i servizi l’Angelo custode?!)”».
Padre Marcellino IasenzaNiro,
“Il Padre!”. San Pio da Pietrelcina.
La missione di salvare le anime,
pp. 550-552