PADRE PIO
Padre Pio e l’identificazione con Gesù Eucaristico
dal Numero 37 del 24 settembre 2017
di Suor M. Immacolata Savanelli, FI

La vocazione di ogni cristiano è quella di essere, nell’identificazione con Gesù eucaristico, «pane spezzato per la vita del mondo». Questa realtà, ribadita dal magistero della Chiesa, San Pio l’ha fatta propria, vivendola nella sua persona e trasmettendola ai suoi figli spirituali.

Per chi conosce qualcosa della vita di San Pio da Pietrelcina, non è nuovo il nome di una sua figlia spirituale, Cleonice Morcaldi, famosa, soprattutto, per aver carpito, con i suoi modi semplici e immediati, alcuni segreti della vita spirituale del Santo del Gargano. Una volta, nel porgere a Padre Pio alcune domande sulla santa Comunione e nel sentire da lui definire la Comunione “fusione” dell’anima con Cristo eucaristico, gli domandò anche quale grazia desiderasse ricevere durante la santa Comunione. Padre Pio, senza esitazione, esclamò: «Che sia anche io un altro Gesù, tutto Gesù, sempre Gesù» (1). Il Santo mirava all’identificazione e imitazione di Cristo. Questa sua tensione interiore l’ha espressa anche quando, sempre a Cleonice Morcaldi, «che gli chiese “come doveva pensarlo”, rispose: “Pensami imitatore di Cristo”» (2). L’imitazione e l’identificazione con Cristo non doveva essere, però, una sua sola prerogativa. Soleva spesso ripetere, infatti, che il cristiano deve vivere in modo da poter ripetere con san Paolo: «Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1Cor 11,1; cf. 1Cor 4,16). E sull’argomento scrisse a Raffaelina Cerase: «Vivete in modo che il mondo ancora possa forzatamente dire di voi: “Ecco il Cristo”. Oh! Non trovate, per carità, esagerata questa espressione! Ogni cristiano, vero imitatore e seguace del biondo Nazareno, può e deve chiamarsi un secondo Cristo, del quale in modo assai eminente ne riporta tutta l’impronta. Oh! Se tutti i cristiani vivessero a seconda della loro vocazione, la terra stessa di esilio si muterebbe in un paradiso» (3).
A tal proposito ecco un gustoso episodio riportato da Padre Pellegrino Funicelli, confratello del Santo, che desiderava poter godere di qualcuna delle visioni dei personaggi celesti di cui beneficiava lo Stimmatizzato del Gargano.
«Appena arrivato a San Giovanni Rotondo, avevo intuito quanto Padre Pio amasse Gesù Eucaristia e sapevo che egli aveva tanto bisogno di vederlo amato anche dagli altri da sembrare, secondo me, il questuante di amore per Gesù; e, allora, non per indispettirlo e farlo soffrire, ma per preavvertirlo che avrei potuto dargli soltanto qualche piccola soddisfazione, dissi, in un lampo di sadismo e di malignità: “Io non ci credo a Gesù Eucaristia”.
La mia provocazione non era tanto spinta e paradossale, quanto potrebbe apparire a prima vista [...]. Con quella espressione ribadivo soltanto la mia poca devozione verso il Sacramento dell’altare. [...]. Di fronte alla mia spudoratezza più che sincerità s’infuocò nel volto ed emise qualche singhiozzo e qualche lacrima.
Si dominò subito, accettò, per asciugarsi le lacrime, un mio fazzoletto bianco ricevuto in regalo dalla mamma, se ne servì e me lo restituì. [...]. Passati alcuni attimi molto imbarazzanti per me e forse molto penosi per lui, finalmente aprì bocca per espormi in due parole la situazione e disse con la sua solita franchezza, prontezza e precisione: “Tu vuoi proprio vedere Gesù faccia a faccia, vero? E allore adda deventà pure tu cumme a Gesù Criste: pane profumate p’i dente de tutte quante e vine frische p’i cannarine d’amice e de nemice! (E allora devi diventare pure tu come Gesù Cristo: pane profumato per i denti di tutti e vino fresco per la gola degli amici e dei nemici!)”.
Con queste due parole mi aveva comunicato il prezzo necessario per le visioni; io però andavo in cerca di visioni senza spesa. Dopo una brevissima pausa, senza darmi il tempo di mettermi in atteggiamento difensivo, alzò il dito accusatore verso di me dicendo: “Tu mi hai criticato!”. Divenni un lampo di fuoco per la vergogna. Egli proprio in quei giorni aveva detto a una persona una espressione del seguente tenore: “Io sono Gesù”. E, dopo averla sentita ripetere quella stessa mattina, io, il solito sciocco che capisce le cose a metà, lo avevo criticato [...]. “Tu mi hai criticato”, continuò con un tono di voce molto dolce e con un certo indefinibile sorriso sulle labbra: sembrava che, invece di mollarmi un ceffone meritatissimo per l’abbaglio preso, volesse accarezzarmi e dirmi: “Quanto sei bello! Quanto sei grazioso!”. E sembrava anche che si sarebbe molto divertito, se, lì, su due piedi, si fosse sentito ripetere direttamente le accuse e le critiche da me fatte in sua assenza. Per poco non mi prese un colpo apoplettico. Continuò: “Eppure tutti dovremmo dire: ‘Io voglio essere e sono Gesù’; tutti dovremmo ripetere con Gesù: ‘Questo è il mio corpo, mangiate fratelli; questo è il mio sangue, bevete fratelli’; e tutti dovremmo offrire davvero la nostra carne e il nostro sangue come pane e vino sull’altare di Dio e sulla mensa dei fratelli. Soltanto così Gesù si manifesta a noi. Hai capito, cucciolone?”.
Più che una tesi dommatica, mi offrì con queste poche parole un po’ del suo intimo come radiografato e me lo offrì con una semplicità e una fiducia, di cui avrei dovuto e dovrei fare tesoro.
Tacque e tornò in chiesa. [...]. Il principio di credersi cibo e bevanda per tutti, da lui vissuto e sofferto, più che una visione fu per me la scoperta di una perla preziosa.
La sera, chiuso nella mia celletta, mi dicevo con amarezza: ora capisco perché chi lo vuol cotto e chi lo vuol crudo questo povero Padre Pio che si è fatto pane e vino per il Signore e per i fratelli; se ci provassi anch’io, non farei mica male; ma temo di essere troppo indigesto per i fratelli e poco gradito al Signore» (4).
Le parole di Padre Pio ricordano quelle di papa Benedetto XVI nell’esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis. In tale documento, infatti, il Papa, nel commentare la pericope evangelica «il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51), ha scritto: «Ogni Celebrazione eucaristica attualizza sacramentalmente il dono che Gesù ha fatto della propria vita sulla Croce per noi e per il mondo intero. [...]. Le nostre comunità, quando celebrano l’Eucaristia, devono prendere sempre più coscienza che il sacrificio di Cristo è per tutti e pertanto l’Eucaristia spinge ogni credente in Lui a farsi “pane spezzato” per gli altri, e dunque ad impegnarsi per un mondo più giusto e fraterno. Pensando alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, dobbiamo riconoscere che Cristo ancora oggi continua ad esortare i suoi discepoli ad impegnarsi in prima persona: “Date loro voi stessi da mangiare” (Mt 14,16). Davvero la vocazione di ciascuno di noi è quella di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo» (n. 88).
L’essere chiamati a vivere l’amore di donazione di Cristo, però, non significa contare sulle sole nostre forze. Tra noi e Cristo esiste un rapporto di partecipazione di carattere sacramentale. La grazia santificante ricevuta con il Battesimo e in particolare quella che si riceve con l’Eucaristia ci “abilita” a vivere la stessa carità di Cristo (5). La carità eroica esercitata da Padre Pio nell’espletamento del suo ministero sacerdotale, infatti, trova, si può ben dire, il suo fondamento nella fusione con Gesù Eucaristia che egli ancora giovane sacerdote descrisse a Padre Agostino: «Oh quanto fu soave il colloquio tenuto col paradiso in questa mattina! [...]. Il Cuore di Gesù e il mio, permettetemi l’espressione, si fusero. Non erano più due i cuori che battevano, ma uno solo. Il mio cuore era scomparso, come una goccia d’acqua che si smarrisce in un mare. Gesù n’era il paradiso, il re» (6).  


NOTE
1) Padre Tarcisio da Cervinara, La Messa di Padre Pio, San Giovanni Rotondo 1984, p. 36.
2) N. Castello - A. Negrisolo, Il Beato Padre Pio. Miracolo eucaristico, San Paolo, Cinisello Balsamo 2000, p. 68.
3) Epistolario II, p. 383, lettera del 30 marzo 1915.
4) Padre Pellegrino Funicelli, Padre Pio tra sandali e cappuccio, Leone Editrice, Foggia, pp. 86-89.
5) Cf. San Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, n. 107.
6) Epistolario I, p. 273, lettera del 18 aprile 1912.

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