I FIORETTI
L’importanza della meditazione
dal Numero 45 del 20 novembre 2016

Una sera di maggio del 1959, dopo un intimo colloquio, il venerato Padre mi disse: «Figliuolo, la meditazione è molto importante per le anime consacrate».
Aveva ragione! Necessaria la preghiera ma importante la meditazione perché la mente si unisce a Dio più intimamente senza parlare.
Padre Pio, in un frammento di Diario che riguarda il periodo dal 21 luglio al 15 agosto 1929, scritto dietro esortazione del suo Confessore, Padre Agostino da San Marco in Lamis, annotò: «Devozioni particolari giornaliere: non meno di 4 ore di meditazione, e queste d’ordinario su la vita di nostro Signore: nascita, passione e morte».
Si può immaginare come egli s’immergesse nella meditazione dei misteri del Verbo fatto carne... della sua agonia, della sua flagellazione e coronazione di spine... della sua crocifissione e morte.
Prima e dopo la Santa Messa passava molto tempo nella «orazione mentale». Al termine della stessa il suo volto sembrava di fuoco.
Sembrava Mosè che scendeva dal monte dopo il colloquio con Dio.
Il Padre Fortunato mi diceva che Padre Pio meditava a lungo e molte volte la sera lo sentiva gemere e sospirare davanti al Crocifisso del coro.
Per Padre Pio, la notte era il tempo più adatto per l’incontro con Dio. Tempo di assoluta intimità in cui si accostava ai divini misteri. Quando celebrava la Messa, poi, era eccezionale. Io m’incantavo a guardarlo. Sembrava un serafino e non solo edificava me, ma tutti i presenti.
Al suo Confessore Padre Pio, il 18 aprile 1912, scrisse: «Il cuore di Gesù ed il mio, permettetemi l’espressione, si fusero. Non erano più due i cuori che battevano, ma uno solo. Il mio cuore era scomparso, come una goccia d’acqua che si smarrisce in un mare. Gesù n’era il paradiso, il re. La gioia in me era sì intensa e sì profonda, che più non (mi) potei contenere; le lagrime più deliziose mi inondarono il volto» (Epistolario I, 273).
Ai fotografi che rimproverava perché troppo invadenti Padre Pio diceva: «Le foto fatele durante la Messa perché allora io non vedo più nessuno».
Chi sa quando ci sarà dato scoprire tutta la ricchezza interiore di Padre Pio!


“Sono un morto ambulante”

Nella sacrestia del Santuario, a San Giovanni Rotondo, il signor Giuseppe Canaponi, due mesi prima di morire, mi disse: «Padre, sono un morto ambulante ma, grazie a Padre Pio, vivo ancora».
Ricordai di aver letto qualcosa al riguardo, ma per saperne di più chiesi che mi raccontasse personalmente la sua storia.
«Il 21 giugno 1946 – cominciò –, mentre andavo in motocicletta, fui investito da un camion sulla strada Sarteana, presso Chiusi, in quel di Siena. Trasportato all’ospedale di Sarteano mi riscontrarono la frattura del femore sinistro e commozione cerebrale. Dopo quaranta giorni, non avendo avuto alcun miglioramento, cominciò per me il calvario dell’ospedale da Chiusi a quello di Montepulciano, poi a Siena e infine all’ospedale ortopedico di Bologna. Molti dolori, tanta disperazione, nessun risultato positivo. Non potevo camminare ed ero senza lavoro.
Mia moglie Gilda aveva sentito parlare di Padre Pio come di un uomo di Dio che pregava ed otteneva grazie. Venni a San Giovanni Rotondo con mia moglie e con mio figlio Augusto, di l0 anni, il 26 dicembre 1947. A piedi dal paese al Convento, con la stampella ed il bastone. Che pena quel giorno! Non gliela facevo più. Quando arrivai in chiesa, Padre Pio stava confessando le donne. Mi guardò e subito avvertii come una scossa elettrica che mi dava sollievo. Alle ore 16 mi accostai per confessarmi e mentre ero in ginocchio compresi di trovarmi dinanzi ad un uomo straordinario. Una seconda scossa provocò in me un grande benessere.
Il Padre alzò gli occhi al cielo, mi dette l’assoluzione e mi sentii benissimo. «Prometti di mutar vita – mi disse –, diversamente, a che serve la grazia?”.
“Sì, Padre – risposi –, lo prometto”.
Baciai la mano, raccolsi la stampella ed il bastone e cominciai a camminare speditamente. Mia moglie, nel vedermi guarito, mi venne incontro col figlioletto e piangemmo commossi. Ringraziammo il Signore e andammo all’albergo “Villa Pia” dove osservammo la scomparsa dei segni delle operazioni.
Tornammo a ringraziare Padre Pio il quale ci disse: “Non l’ho fatta io la grazia. L’ha fatta il Signore. Ringraziate Lui”.
A casa, dove tornai il 31 dicembre, trovai la lettera di licenziamento da parte delle ferrovie dello Stato per inabilità al lavoro.
In un congresso internazionale di stomatologia tenutosi a Roma, più di cinquanta medici potettero osservare in me ciò che era avvenuto. Rimasero sbalorditi nel vedere le lastre: il ginocchio fuori posto, il femore storto con tessuto calloso intorno alla rotula del ginocchio. Ciononostante camminavo speditamente.
Mi hanno osservato anche all’estero, e sono stati tutti concordi nel definire prodigioso quanto mi era accaduto. Ecco perché mi ritengo un morto ambulante».

Padre Paolo Covino,
Ricordi e testimonianze,
pp. 143-144; 235-236

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