RELIGIONE
La Valle della Decisione
dal Numero 44 del 8 novembre 2015
di Antonio Farina

Si parla della Valle della Decisione (o di Giosafat) come il luogo prestabilito per il Giudizio Universale che attenderà ogni uomo. La realtà del Giudizio è certa, cerchiamo allora di comprendere cosa ci attenderà in quel fatidico momento. A volte uno sguardo al futuro è più salutare di uno sguardo al passato.

Quando si parla della Valle di Giosafat può venire in mente la frase che il Manzoni fa pronunciare al famoso Dottor Azzeccagarbugli nel capitolo III de I Promessi Sposi: «Non se ne scappa: ci son tutti: è come la valle di Giosafat»; con la chiara allusione all’opinione corrente che Dio in questa valle giudicherà, alla fine del mondo, tutte le genti e quindi non ne scapperà neanche uno.
Il Profeta Gioele, che ne parla diffusamente, adopera due denominazioni distinte: “Valle di Giòsafat” ma anche la “Valle della Decisione” e molti esegeti (tranne qualcuno un po’ pignolo) le hanno identificate come lo stesso luogo. Gioele si esprime così: «Si affrettino e salgano le genti alla Valle di Giosafat, poiché lì siederò per giudicare tutte le genti all’intorno. Date mano alla falce, perché la messe è matura; venite, pigiate, perché il torchio è pieno e i tini traboccano... tanto grande è la loro malizia! Folle e folle nella Valle della Decisione, poiché il giorno del Signore è vicino nella Valle della Decisione. Il sole e la luna si oscurano e le stelle perdono lo splendore. Il Signore ruggisce da Sion e da Gerusalemme fa sentire la sua voce» (Gl 4,12).
Adesso che la Valle di Giosafat sia la stessa cosa della Valle della Decisione oppure no, non ha molta importanza. Quello che conta è che cosa rappresenta tale luogo “escatologico”. È il luogo (fisico) in cui avverrà il Giudizio Universale. Tra le altre cose (o chiose) pure l’identificazione geografica è affetta da una certa vaghezza perché nella toponomastica di Gerusalemme la Valle di Giosafat (o Valle di Giosafatte) è una valle identificata oggi con una parte del Cedron che si trova esattamente tra il monte del Tempio e il monte degli Ulivi. Questa valle che Gesù attraversava spesso e il cui nome significa “oscura”, è alquanto angusta e riflette in modo allegorico la “porta stretta” attraverso la quale l’umanità deve passare per raggiungere la Salvezza. Vi saranno raccolte folle oceaniche. Si stima infatti che tutto il genere umano supererà certamente, tra vivi e morti, le centinaia di miliardi di persone... e tutti dovremo comparire al cospetto del Giudice Supremo chi per un destino di Gloria imperitura, chi per una risurrezione di perdizione. La verità, questa sì certissima, è che vi sarà il ritorno di Nostro Signore Gesù Cristo sulla terra (Parusìa) al quale seguirà il Giudizio Universale. Qui iniziano a tremare i polsi...
Bè, prima di affrontare il tema del Giudizio ci si può chiedere ancora chi era Giosafat e perché il suo nome è legato a questo posto particolare. Innanzitutto l’etimologia: Giosafat (in ebraico Yehü-è?phat) significa proprio “Dio giudica”. Ma non basta, egli fu Re di Giuda per 25 anni, dall’871 all’846 a.C. e fu un Re illuminato e di successo, benvoluto dal popolo e amico del regno di Israele. Lottò e vinse contro le tribù pagane dei Moabiti, Ammoniti ed Edomiti. Nel campo religioso (i Re di quei tempi erano anche capi religiosi) fu un riformatore “jahvistico” nel senso che si adoperò per estirpare dal suo regno l’idolatria e il sincretismo (la teoria secondo cui tutto fa brodo) e riportò il popolo all’autentica fede nel vero Dio dell’Antico Testamento.
Altre testimonianze sul valore umano e sull’ardimento di quest’uomo sono contenute nel Secondo Libro delle Cronache: «Giosafat si inginocchiò con la faccia a terra; tutto Giuda e gli abitanti di Gerusalemme si prostrarono davanti al Signore per adorarlo... Giosafat si fermò e disse: “Ascoltatemi, Giuda e abitanti di Gerusalemme! Credete nel Signore vostro Dio e sarete saldi; credete nei suoi profeti e riuscirete”. Quindi, consigliatosi con il popolo, mise i cantori del Signore, vestiti con paramenti sacri, davanti agli uomini in armi, perché lodassero il Signore dicendo: “Lodate il Signore, perché la sua grazia dura sempre”» (20,18ss). Pertanto il nome è appropriato e richiama simbolicamente il Valoroso, il Vittorioso, il Salvatore per eccellenza: Nostro Signore che ha riscattato l’Umanità intera dalla schiavitù sotto il principe di questo mondo, dalla prigionia del peccato, dalla corruttibilità e dal dolore con la sua Passione e Morte in Croce.
Ebbene, di primo acchito, si potrebbe pensare che tutte queste cose non ci interessano minimamente, ma non è così: lì, in quel luogo un po’ misterioso e conturbante, ci saremo anche noi! L’ultimo pellegrinaggio sul suolo tristo della madre terra, del nostro esilio nello spazio-tempo, lo faremo proprio lì, nella Valle della Decisione. Forse sarà l’ultima volta che contempleremo un fiume, una montagna, dei fiori terrestri o ciò che sarà rimasto in piedi di Gerusalemme, la Città Santa.
Certamente i salvati non vedranno l’ora di tornare in Paradiso al contrario dello stuolo dei perduti che cercheranno inutilmente di sfuggire alla Pena eterna dalla quale sono stati temporaneamente sottratti. Ci incontreremo tutti, buoni e cattivi, santi e reprobi, giusti e iniqui, amici e nemici. Se saremo (come non augurarcelo!) tra le fila dei morti in grazia di Dio, guarderemo il mondo con altri occhi... Sì, ci saranno restituiti dalla potenza creatrice del Signore i nostri occhi, quelli e non altri, le nostre mani quelle e non altre, il volto che avevamo a trent’anni ripulito, emendato, rigenerato, ringiovanito senza più traccia degli anni, dei tormenti, delle lacrime, dei mali che ci hanno afflitto, delle malattie che lo potrebbero aver deturpato. Non potremo fare a meno di sobbalzare di gioia: un corpo glorioso riveste di nuovo l’anima nostra. Seminato corruttibile «All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne» direbbe il Foscolo, «risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale» (1Cor 15,42). Questo sarà lo spettacolo che si offrirà ai nostri occhi nella Valle della Decisione e non ci sembrerà vero.
Lasciando correre la fantasia possiamo adesso immaginare che il nostro spirito si turberà quando noteremo, magari rincantucciate in un anfratto o malcelate dietro uno stipite, coperte da un’ombra sfuggente, le figure indistinte di creature mostruose... uomini o bestie? Esseri umani o animali feroci? Senz’altro dei mostri. Si tratta di coloro che hanno fallito nella vita, che hanno fatto naufragio col vascello che li avrebbe dovuti portare in salvo, in Cielo, e sono invece precipitati nell’Abisso. «Scenderemo nel gorgo muti», disse Cesare Pavese, e difatti gli sfortunati, l’orda immane dei dannati, i perduti che hanno lasciato temporaneamente gli inferi assistono, rabbiosi, al Giudizio di condanna... che orrore! Che Dio ci scampi. “Meglio per loro se non fossero mai nati!” esclamò Nostro Signore dinanzi al destino assurdo degli emuli di Giuda. Come dei demoni dal loro aspetto è stata cancellata ogni traccia di umanità, sono sfigurati dall’odio e dal terrore, digrignano le fauci come cani arrabbiati, bestiali, inumani, irragionevoli. Che il Signore ci risparmi il dolore di intravedere, di discernere, di ravvisare nei loro volti deformati, rivoltanti, i tratti noti di una persona conosciuta o, peggio, di quello che una volta era stato un nostro caro, un parente, o altro...
Ahimè, questo è uno scenario nient’affatto improbabile ma realistico e plausibile di ciò che potrebbe avvenire nella Valle della Decisione: «Poiché, ecco, in quei giorni e in quel tempo, quando avrò fatto tornare i prigionieri di Giuda e Gerusalemme, riunirò tutte le nazioni e le farò scendere nella valle di Giosafat, e là verrò a giudizio con loro...» (Gio 4,1). A detta del Profeta tutto ciò si svolgerà in una natura sconvolta dall’ira di Dio: «Tremino tutti gli abitanti della regione perché viene il giorno del Signore, perché è vicino, giorno di tenebra e di caligine, giorno di nube e di oscurità... il cielo si scuote, il sole, la luna si oscurano e le stelle cessano di brillare» (Gl 2,1ss).
È bene per noi prendere coscienza di tali realtà remote, future, forse lontane ma pur certe ed effettive. La cosa peggiore che possiamo fare è vivere la vita, dono del Signore, privi della consapevolezza di ciò che essa rappresenta veramente: noi siamo gladiatori in un’arena, combattenti in un circo, soldati di Cristo con l’armatura della Fede, da una parte siamo chiamati a conoscere, amare, servire e glorificare Dio l’Onnipotente compiendo la Sua Volontà e dall’altra parte troviamo l’inciampo, lo scandalo, la deviazione da parte di forze che ce lo vogliono impedire a tutti i costi. Questa è la prova: «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde...» (Mt 12,30).
Cosa fare in attesa che l’orologio col quale è scandita la nostra esistenza terrena batta l’ultima ora? Cosa mettere in atto per non trovarci miserevolmente fra i capri ma fra gli agnelli, per non far parte della zizzania ma del buon grano? Ancora una volta si alza la voce stentorea di Gioele: «Cingete il cilicio e piangete, o sacerdoti, urlate, ministri dell’altare, venite, vegliate vestiti di sacco, ministri del mio Dio, poiché priva d’offerta e libazione è la casa del vostro Dio. Proclamate un digiuno, convocate un’assemblea, adunate gli anziani e tutti gli abitanti della regione nella casa del Signore vostro Dio, e gridate al Signore: Ahimè, quel giorno! È infatti vicino il giorno del Signore e viene come uno sterminio dall’Onnipotente» (1,13ss). Dunque vigilanza attenta, vita di Grazia e serena speranza nell’infinita Misericordia del Signore. Questa è la meravigliosa visione che ci offre la Parola di Dio per mezzo dei Profeti: contemplando il futuro si impara di più che nel rimirare distratti le sbiadite rimembranze del passato.

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