RELIGIONE
“Finché morte non ci separi"
dal Numero 31 del 2 agosto 2015
di Fulton J. Sheen

Vi è una via per amare Dio attraverso l’amore per le creature. Il sacramento del Matrimonio è l’espressione più elevata di quest’amore, in virtù del quale lo sposo e la sposa sono resi una sola carne. La natura stessa dell’amore esige che il patto nuziale sia permanente.

Nascere ad una forma di vita superiore, la vita divina, è possibile solo mediante la disciplina. La forma più elevata di disciplina individuale è rappresentata dalla vita religiosa. La disciplina comunitaria, nella sua forma più diffusa è rappresentata dalla vita matrimoniale, e questo benché siano assai pochi coloro che la concepiscono in tale modo. È una forma di disciplina in quanto richiede tanto al marito quanto alla moglie, lealtà, fedeltà e spirito di sacrificio: nella salute come nella malattia, nella gioia come nella sofferenza, nella povertà come nell’agiatezza, fin quando morte non li separi. Tutti sanno come la Chiesa prenda molto seriamente le parole di Nostro Signore: «Ciò che Dio ha unito, l’uomo non lo separi». Ma sono pochi coloro che comprendono la sua insistenza riguardo alla sacralità del legame coniugale. Due sono le ragioni di tale enfasi, l’una di ordine naturale, l’altra soprannaturale.

Amore “per sempre”: l’ordine naturale

Nel contesto della natura umana, l’amore è permanente e stabile. Nel linguaggio dell’amore ci sono due soli termini: tu solo e per sempre. Nella simbologia dell’amore umano c’è un solo simbolo: due cuori trafitti e congiunti a formare qualcosa di stabile e duraturo, come una quercia. Nella storia dell’amore umano c’è una sola forma suprema di dedizione: l’amore per la prole. È un fatto ben noto e riscontrabile che la cura della prole si protrae molto più a lungo negli animali superiori rispetto a quelli inferiori. Questi ultimi possono abbandonare la prole subito dopo la nascita. Nel caso di un padre ed una madre, uomo e donna, la situazione è però ben differente. Il bambino non deve essere accudito solo per crescere fisicamente, ma anche intellettualmente. Tanto più sono le nozioni che egli ha da apprendere, tanto più a lungo deve frequentare quella scuola naturale dove esse sono trasmesse, ed i suoi insegnanti tanto più a lungo devono differire lo scioglimento del rapporto docente-discente.
Vanamente si afferma che il compito di insegnare può essere adeguatamente svolto dallo Stato, poiché questi non può essere la bambinaia di ogni nido d’infanzia, né il governo sovrintendere ad ogni stanza dei giochi. C’è un solo posto dove i fondamenti dell’educazione umana possono essere trasmessi ed è l’ambito della famiglia; ci sono due sole persone che possono amare coloro che lo Stato non ritiene degni d’essere amati e sono il padre e la madre. Una volta compreso che il bambino può realizzarsi pienamente – cuore, mente e spirito – solo per l’azione di coloro che lo amano come genitori, e non con un’opera di semplice sorveglianza, come quella attuata dallo Stato, risulta chiara la necessità di una relazione sponsale stabile e permanente.
Anche quando l’educazione del figlio è stata completata ed egli prosegue autonomamente la propria esistenza, si sviluppa in lui un vivo senso di rispetto e riverenza verso coloro che lo hanno generato ed educato. Chiunque si rende conto di quanto sia costato ai propri genitori in fatto di sollecitudine e sacrifici. Alcuni peraltro non se ne rendono pienamente conto fin quando non hanno essi stessi dei figli. Sebbene in misura diversa, tutti sentono però il bisogno di “tornare alla casa paterna” per offrire un tributo d’amore ad un padre affettuoso e ad una madre amorevole. I genitori, anche nella loro vecchiaia, si aspettano che i propri figli, nutriti con il latte materno e cresciuti con i frutti del lavoro paterno, ricambino l’amore ricevuto al tempo dell’infanzia e dell’adolescenza. Così, tanto il senso di riverenza e gratitudine nel bambino consapevole del suo debito d’amore nei confronti dei genitori, quanto il bisogno di affetto dei genitori che anelano ad un tributo di amore da parte dei figli, suggeriscono che solo un’unione che dura fino alla morte di un coniuge risponde pienamente alle attese del cuore umano.



L’ordine soprannaturale

Nell’ordine naturale, questa è la ragione per cui il legame matrimoniale è e deve essere permanente. A livello soprannaturale, la Chiesa, seguendo Nostro Signore, fa proprio il carattere permanente del legame sponsale nell’ordine naturale ed eleva la promessa contenuta nel “Sì” alla dignità di Sacramento. Quell’amore, che sempre si esprime in termini di eternità, con frasi come “finché dura il sole”, è acquisito e purificato dalla Chiesa associandogli un simbolo d’amore più duraturo del sole. Essa si rivolge all’unione più perfetta quanto ad intimità, perennità, indissolubilità che il mondo abbia mai conosciuto e cioè l’amore di Cristo per la natura umana; nella solennità della Messa nuziale, essa ricorda alla giovane coppia che il loro reciproco amore deve essere indissolubile come il legame che ha unito in Cristo la natura divina a quella umana assunta nel Grembo della Beata Vergine Maria. Per quell’amore che desidera esprimersi come definitivo, la Chiesa prende come modello la sublime unione ipostatica fra Dio e l’uomo, l’Incarnazione del Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Quando Dio, velata la sua tremenda gloria, discese in quel paradiso che fu il Grembo di Maria, assumendo la natura umana, non lo fece temporaneamente, per la sola durata della sua vita terrena, ma in modo definitivo, perpetuo, mediante la sua gloriosa Risurrezione ed Ascensione al Cielo per assidersi alla destra del Padre.
Ora, poiché il Matrimonio cristiano fra due creature umane, è modellato sul connubio permanente fra Creatore e creatura, la Chiesa afferma che anch’esso, finché dura la vita terrena, deve avere carattere definitivo ed indissolubile. Come il Grembo della Beata Vergine Maria fu il crogiolo dove la natura umana e quella divina del Verbo furono fuse assieme dalla fiamma pentecostale dello Spirito Santo, nell’unità di una sola Persona, così l’altare, nella Celebrazione delle nozze, diventa il crogiolo dove i due cuori che si amano sono fusi e congiunti dalla fiamma della grazia sacramentale nell’unità di una sola carne.
Certamente questo ideale di permanenza è il solo capace di trasformare un mero desiderio fisico in qualcosa di più nobile di un impulso freudiano, elevando la definitività pretesa dall’amore naturale a livello di legame indissolubile come vuole l’Amore divino, spingendo i giovani cuori a pronunciare le parole di Tobiolo: «Poiché siamo figli di santi, non dobbiamo unirci come i pagani che non conoscono Dio». Avendo ricordato alla giovane coppia che la loro unità è modellata sull’unione inseparabile fra Dio e l’uomo, la Chiesa procede a chiedere quali garanzie gli sposi daranno che il loro amore sia definitivo come quello del loro modello, Gesù Cristo. Essi potrebbero rispondere: “Diamo la nostra parola”. Ma la Chiesa risponde: “Nazioni intere hanno mancato alla loro parola, mariti e mogli, in passato, hanno violato la loro premessa”. Potete dare una garanzia migliore che il vostro amore reciproco durerà fino alla morte? Allora gli sposi risponderanno come la Chiesa esige da ogni coppia che intenda sposarsi con il Matrimonio religioso: «Diamo in pegno la nostra salvezza eterna». Poniamo sul nostro legame nuziale il sigillo della consapevolezza che la promessa che ci facciamo reciprocamente è fatta davanti a Dio stesso e chi la violerà, perderà ciò che di più prezioso ha al mondo e cioè l’anima immortale.
Quando questo pegno, l’eterna salvezza dell’anima, è stato offerto, la Chiesa vi appone il sigillo, non quello rosso di ceralacca, ma quello del medesimo colore, ma infinitamente più prezioso del Corpo e Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, con la Comunione della Messa nuziale. Con il loro amore così fuso assieme ai piedi della Croce, ed il pegno dell’eterna salvezza offerto come garanzia che il loro amore, nella malattia come nella salute, nell’agiatezza come nella povertà, durerà fino alla fine dei loro giorni in comune, la Chiesa li dichiara marito e moglie. Quando il Sacerdote li osserva mentre lasciano l’altare, le due anime unite l’una con l’altra, il Sangue di Cristo posto a sigillo di quest’unione, prima ancora che siano uniti i loro corpi, non può far a meno di considerare come l’amore umano, nella sua forma più sublime, sia qualcosa di divino sceso sulla terra. Gli stessi sposi, iniziando la vita quotidiana in comune, si rendono conto che il fondamento della loro unione non è l’amore, ma il consenso. L’amore li ha spinti a sposarsi, ma è il loro reciproco impegno, sigillato dal pegno dell’eterna salvezza, che li rende marito e moglie.
Al cospetto della Chiesa perciò, il Matrimonio è un’unione definitiva, modellata sull’amore fedele di Cristo per la sua Chiesa, non un contratto a termine fra passioni egoistiche, che duri solo fin quando sussiste la passione. Mantenendosi fedele a questo ideale, esigendo una così elevata garanzia ed insegnando la sacralità dell’impegno assunto, la Chiesa fa del Matrimonio una cosa molto seria. Praticamente dice alla coppia di sposi ciò che dice il cartello posto allo sportello di ogni cassiere di banca: «Controllate ora l’importo, perché eventuali errori non saranno corretti dopo che avrete lasciato lo sportello». Nessuno al mondo più della Chiesa ama coloro che si amano, ma solo coloro che, amandosi, sono consapevoli di ciò che fanno. Quindi la Chiesa rifiuta a chiunque la facoltà di rescindere quel vincolo che ha unito regolarmente milioni di persone e non consente a nessuno, uomo o donna, che si siano messi in una condizione matrimoniale difficile, di uscirne per una via che mina le fondamenta stesse dell’intera società. Essa ritiene che a coloro che non sono capaci di vivere il proprio ménage matrimoniale, la cui essenza è la fedeltà, non deve essere concesso di intervenire nel ménage di altre coppie e della loro prole. Per essa il senso di sollievo e liberazione che accompagna il divorzio assomiglia a quello di chi scava fosse per seppellire i morti in una città colpita dalla pestilenza. Si oppone al divorzio, non per una sua mentalità antiquata, ma perché il Matrimonio unisce gli sposi in una sola carne, così da non poter essere separati più di quanto si possa farlo del capo da un corpo. È ben noto alla Chiesa che un uomo che non sia leale verso la propria nazione, non lo sarà verso nessun’altra; che se non persevera nell’amare la prima donna, che ha scelto fra tutte le altre, si deve sospettare che anche alla seconda farà le stesse vane promesse. Essa proclama al cospetto del mondo intero che nessun fedifrago deve essere considerato rispettabile, nel momento in cui rompe il rapporto con sua moglie per stabilirne uno con un’altra donna. La Chiesa concede la facoltà della separazione in casi gravi, ma richiede al separato di accontentarsi dell’esperienza che ha vissuto, senza cercare di stabilire nuovi rapporti matrimoniali.

Una questione di onore

C’è una parola che ha poco significato per coloro che non sono fedeli alla parola data, che non dice nulla a quelli che hanno tradito le loro solenni promesse nuziali. Ma questa parola è densa di significato per coloro che si uniscono in Matrimonio nel nome di Nostro Signore, Colui che è la Verità venuta in questo mondo, ed essa è: onore. Per coloro che ancora ci credono, il nuovo giorno non porta con sé il peso di un’unione forzata, ma l’armonia fra cuore e cuore, anima ed anima. Proprio come due pezzi di ferro sono saldati con la fiamma, così, nel cuore e nella mente, marito e moglie sono fusi assieme in una cosa sola dall’azione purificatrice del sacrificio e della tribolazione che li conduce a Dio. Il succedersi degli anni non vede i loro cuori trasformarsi in due violini con le corde aggrovigliate ed allentate, ma come un unico strumento, così perfettamente accordato che le abili dita dell’amore al solo sfiorarle ne estraggono le dolci armonie che nasconde. Per essere stati fedeli alla scintilla che lo accese, la fiamma del loro amore si ravviva costantemente ed essi constatano che – come declama un poeta: «Il pieno compimento dell’amore non consiste nel matrimonio, benché questo possa esserlo nella sua dimensione terrena e temporale». Infatti, come può l’amore, che è mutua attrazione fra due anime, ottenere soddisfazione dalla congiunzione fra due corpi? Sarebbe cosa assai misera, se tutte le promesse racchiuse nell’amore consistessero in ciò, nell’unione fra la luce prodotta dalle fiamme di due distinte lanterne. Perciò Dante, e tutti i più nobili poeti dopo di lui, cantano l’amore in questo mondo come pellegrino, viandante diretto verso la nuova Gerusalemme; l’abisso dell’amore non sarà colmato su questa terra, in cui il prologo dell’unione fra le due anime è chiamato Matrimonio, ma oltre la barriera della morte, dove questa unione troverà la sua perfetta realizzazione, il definitivo ed eterno epilogo, immerso nello Spirito di Dio.

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