RELIGIONE
La punizione per la negligenza
dal Numero 27 del 5 luglio 2015
di Fulton J. Sheen

Perché spesso si incontrano anime in cui l’anelito all’eternità sembra spento e ogni facoltà spirituale atrofizzata? Perché non hanno mai colto seriamente l’appello divino ad intraprendere la lotta per conseguire la Vita eterna. Salvo cambiamento di rotta, ogni loro “capacità spirituale” andrà irrimediabilmente perduta.

Dio ci diede una mente per conoscerlo, una volontà per amarlo ed un corpo per servirlo. Se queste facoltà corporali e spirituali non sono esercitate elevandole nell’adorazione del Padre, dal quale proviene ogni bene, la natura si prende una terribile vendetta. Ci accade allora qualcosa di simile a ciò che si verifica agli animali inferiori, ossia la perdita della capacità di usare tali facoltà e di conseguire i fini per cui esse avrebbero dovuto essere impiegate. C’è un certo consenso a livello scientifico sul fatto che la talpa non è sempre stata cieca. Avendo però scelto di vivere sotto terra, senza usare quindi della facoltà della visione, la Natura, come un magistrato giudicante, in pratica ha detto alla talpa: “Poiché non usi la facoltà della visione che ti ho dato, te la tolgo rendendoti cieca”.
E così, la punizione per la trascuratezza è addirittura la perdita delle facoltà ricevute in dono e non esercitate. È questo l’insegnamento che Nostro Signore ci ha rivelato con la parabola dei talenti. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo le sue capacità. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Invece colui che aveva ricevuto un solo talento andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Quando il padrone volle regolare i conti con loro, colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque e colui che ne aveva ricevuti due, altri due. Essi furono ammessi alla beatitudine del loro Signore. Ma a colui che aveva ricevuto un solo talento e lo ebbe nascosto sottoterra il padrone rispose: «Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ne ha dieci». La perdita del talento fu la naturale conseguenza della sua ignavia. Come il braccio dell’uomo che non lo esercita mai s’indebolisce progressivamente, perdendo massa muscolare, così le facoltà che Dio ci ha dato, se non vengono utilizzate, regrediscono fino a scomparire. «Perché a chiunque ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che crede di avere».
Il mondo è pieno di uomini che hanno trascurato i loro talenti, le cui facoltà spirituali per mera indifferenza si sono atrofizzate, che non pensano a Dio più di quanto non s’interessino della turbolenta situazione politica di un paese dell’Africa centrale. L’anelito all’eternità delle loro anime è spento, ogni via verso il Cielo sbarrata, ogni talento ricevuto dissipato, ogni facoltà spirituale, destinata ad orientare al Divino, talmente rivolta verso le realtà terrene da aver perduto ogni legame con quelle celesti. Ogni giorno trascorso, ogni ora che passa, si riduce la loro sensibilità riguardo al vasto regno dello spirito. Diventano insensibili, proprio come il sordo nei confronti dei suoni armoniosi della vita, del rumore di una cascata o della melodia di una canzone, come il cieco di fronte alle bellezze della natura, ai colori di un arcobaleno o al sorriso di un bimbo. Allo stesso modo queste anime atrofizzate sono sorde al dolce sussurrare dello Spirito Santo, cieche di fronte alla visione abbagliante di Gesù. È di queste anime, che trascurano di ascoltare la Parola di Dio e di fissare lo sguardo su Gesù, che Nostro Signore parlava dicendo: «Guardano senza vedere, odono senza ascoltare, e a questo modo non comprendono».
Se allora il castigo per la negligenza e l’indifferenza è così terribile, non dovremmo forse disporci con tutte le nostre energie morali alla battaglia? I più vigilanti devono sentirsi come se non ci fosse un’ora da perdere, come gli Apostoli nell’Orto degli Ulivi; i più zelanti come se puntassero la loro freccia con un arco snervato ed indebolito; coloro che più anelano alla Vita eterna, come coloro che devono entrare per la porta stretta e salire per il sentiero ripido e disagevole. La salvezza non è un passatempo con cui occupare il tempo libero. Quando la mente è stanca e sovraffaticata, ingolfata nelle abitudini del mondo, deve continuamente rammentarsi che la salvezza non è destinata a coloro che seppelliscono i loro talenti avvolti in un fazzoletto. Lungo tutto il corso della storia si ode l’appello rivolto a uomini di carattere perché intraprendano la lotta, prendano la loro croce e perseverino fino alla fine. Dall’alto dei Cieli, con soavi ispirazioni e copiosa grazia, viene l’esortazione a sviluppare e perfezionare i doni che il Signore ci ha dato, sempre con il timore che, trascurandoli od usandoli male, ci vengano tolti. Le mani non rimangano inoperose, ma siano abituate a spezzare il pane per il povero, in nome di Cristo. I piedi non restino fermi, ma come il Nazareno, siano sempre pronti a condurci per le vie del mondo a compiere il bene. Lo sguardo non si distragga nel contemplare le bellezze naturali, ma sia rivolto interiormente all’anima, laddove sta la bellezza della figlia del Re. Le orecchie vengano abituate a percepire il delicato sussurro della Santissima Trinità che, prendendo dimora nell’anima in grazia, la rende realmente tempio di Dio. Le mani non siano fiacche, usate per frugare in quei tesori che la ruggine consuma, la tignola rode e i ladri rapinano, ma si diano da fare, come quelle della donna cananea, per giungere a toccare la frangia del mantello di Nostro Signore. Il gusto non si limiti ad assaporare il cibo che perisce, ma sia abituato ad apprezzare il Pane della vita ed il Vino che germina i vergini. L’odorato non sia lasciato ottundersi dai raffinati profumi mondani, ma impari ad aspirare l’odore di santità che effonde ogni anima toccata dalla grazia. Infine il cuore non sia assorbito dall’amore per ciò che il tempo un giorno ci toglierà, ma sia interamente rivolto a quell’Amore che supera ogni altro, a quella Bellezza, al cui cospetto ogni altra bellezza scompare. Insomma, ogni fibra del corpo, ogni sua energia, senso e facoltà devono essere impiegate per conquistare la corona eterna.
Non ci accada per disgrazia che la nostra indifferenza per quei doni e quelle grazie che Dio ci ha offerto, in questi giorni ed in quest’epoca, procuri a Nostro Signore maggior dolore, tormento e sofferenza della crudeltà di coloro che lo inchiodarono sulla croce. Come disse un poeta inglese: «Quando Gesù salì sul Golgota, lo inchiodarono ad una croce, enormi chiodi gli trapassarono le mani ed i piedi, un vero tormento. Gli cinsero il capo con una corona di spine, aprendo ferite profonde da cui scendeva copioso il sangue. Era gente crudele in un tempo di crudeltà, quando ben poco valeva la vita umana.
Quando Gesù venne a Birmingham, la gente Gli passava accanto senza degnarlo di alcuna considerazione. Non Gli fecero alcun male, solamente Lo lasciarono morire di fame e di freddo. Gli uomini erano diventati meno crudeli, non Gli avrebbero arrecato alcun dolore fisico, solamente passavano oltre noncuranti, lasciandolo fradicio di pioggia.
Ora come allora, Gesù continua a gridare: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

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