APOLOGETICA
Per capire la post-modernità
dal Numero 25 del 21 giugno 2015
di Corrado Gnerre

Tra le numerose correnti filosofiche ve n’è una che ci riguarda più da vicino: la “post-modernità”. Per comprendere questa corrente dobbiamo rifarci alla precedente, la “modernità”. Vediamone le preoccupanti conseguenze...

Nei miei interventi su questo Settimanale mi occupo di apologetica. L’apologetica è, come abbiamo detto più volte, la difesa razionale della Verità cattolica. In questa difesa (e per questa difesa) devono essere coinvolti vari campi. Prima di tutto quello “teologico”, poi “quello storico”... ma non solo, ce ne sono anche altri. Per esempio, quello “filosofico”. Ecco perché in non pochi miei articoli l’ho buttata anche in filosofia... come si suol dire.
Nell’apologetica filosofica non solo è opportuno parlare dei singoli filosofi, ma anche delle correnti filosofiche. Ve ne è una molto importante per capire i nostri tempi: la cosiddetta “post-modernità”. Talmente importante che i nostri tempi sono per l’appunto anche detti “postmoderni”. In realtà in passato abbiamo avuto modo più volte di fare qualche riferimento a questa tematica, ma è giusto dedicarle un po’ più di tempo per farne un’analisi più precisa.

Dalla “modernità” alla “post-modernità”

L’essenza della modernità è l’antropocentrismo radicale, definizione difficile che sta a significare la volontà di rendere l’uomo fondamento di tutto, dio-di-se-stesso. Pertanto, possiamo dire che la “modernità” si traduce in un disconoscimento ed in un rifiuto del reale. Infatti che pretesa più irrealistica vi può essere se non considerare l’uomo fondamento di tutto? La realtà lo dice chiaramente: l’uomo è creatura. Per affermare il contrario occorre immergersi in un delirio immaginifico: malgrado ciò che mi impone la realtà, voglio pensarmi diverso, voglio pensami onnipotente.
Ecco perché nacque il “razionalismo” che è la vera essenza della “modernità”. Esso (il razionalismo) è la pretesa di includere il reale nel pensiero umano. La verità non è più nell’adeguamento del pensiero all’oggetto (realismo filosofico), ma il contrario: è l’oggetto che deve adeguarsi al pensiero.
Da qui una delle tante definizioni della categoria della “modernità” che dice che questa (la modernità) è consistita nella sostituzione delle certezze religiose con certezze di tipo scientifico. Volendo essere più precisi certezze di ordine metafisico con certezze di ordine razionalista e scientista. Faccio una premessa importante. Un conto è parlare di “scienza” altro di “scientismo”. La scienza è la comprensione del reale, una comprensione però che è a servizio dell’umile conoscenza senza la pretesa di trasformarsi in “ideologia”; lo scientismo invece è il tentativo di esaurire qualsiasi mistero con il linguaggio scientifico e in questo ambito il metodo scientifico da “mezzo” diviene “fine”. Insomma, ciò che non può essere espresso con il linguaggio scientifico e ciò che non può essere codificato attraverso il metodo scientifico automaticamente è come se non esistesse. La scienza, nella “modernità”, assurge a potere dell’uomo di annullare qualsiasi mistero nel reale.
Si pensi a Francesco Bacone (1561-1626), il quale era convinto che la scienza potesse costituire il ristabilimento dato da Dio all’uomo e perso con il peccato originale. La restaurazione del «paradiso perduto» non la si doveva attendere più dalla fede, bensì dalla relazione «scienza-prassi».
Ma con questo disconoscimento del reale e con questa pretesa di divinizzazione dell’uomo, prorompe nella modernità anche una fascinazione per il magico e per l’irrazionale. E anche questo si spiega con il desiderio di realizzare una sorta di antropocentrismo radicale. Come il razionalismo è la pretesa di includere il reale nel pensiero (ciò che non è pensato è come se non esistesse), così nella magia l’uomo si pone al di sopra del divino servendosi di esso nell’illusione di essere lo stesso Dio. Antropocentrismo nel primo atteggiamento, antropocentrismo anche nel secondo.
Ma la modernità ha fallito, perché l’uomo non può diventare fondamento di se stesso. Paradigma di questo fallimento è il celebre quadro del norvegese Munch (1863-1944), L’urlo, del 1893. A proposito di questo dipinto, Munch stesso scrisse: «Una sera passeggiavo per un sentiero: da una parte stava la città e sotto di me il fiordo. Ero stanco e malato. Mi fermai e guardai al di là del fiordo. Il sole stava tramontando. Le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo». Dunque, la natura non rasserena più l’uomo, bensì lo spinge a cogliere il dramma della propria solitudine. Quella realtà fattuale che, positivisticamente intesa (nel senso di filosofia positivista che sperava che la scienza potesse risolvere tutto), doveva costituire la soluzione affinché l’uomo potesse raggiungere chissà quale soddisfacimento, ora «grida», «urla» in maniera assordante e costringe l’uomo a riflettere sulla propria disperata situazione. 
A riguardo viene in mente l’immagine della favola di Biancaneve in cui la regina cattiva si sente dire per la prima volta dallo specchio di non essere più lei «la più bella del reame». Qual è la reazione della regina? Ella non accetta il nuovo verdetto, non si rassegna, ma reagisce irrazionalmente mandando in frantumi lo specchio. Se al posto della regina cattiva si mette la «modernità» si capiscono tante cose. La «modernità» si è sviluppata sulla pretesa di rendere l’uomo fondamento di tutto, di realizzare la perfezione totale, il paradiso su questa terra. Avendo però constatato il fallimento di questa pretesa, la «modernità», invece di rivedere le proprie posizioni e ammettere l’errore, decide di distruggere ciò che ha impedito la realizzazione del suo sogno: ovvero il reale e le sue leggi. La «modernità», così come la regina cattiva della favola, ascolta il terribile verdetto (nella favola non a caso dato dallo specchio, oggetto che si limita a riprodurre il reale) e, invece di accettarlo con umiltà, manda impietosamente in frantumi lo specchio.
Ed eccoci al punto da dove siamo partiti. Se la “modernità” era consistita nella sostituzione del tipo di certezza, la “postmodernità” è la negazione del concetto stesso di certezza.
Il passaggio dalla «modernità» alla «post-modernità» ha creato due “fiumi” che conducono verso lo stesso mare: il «fiume del nulla» e il «fiume del caos». Poi specificheremo qual è il «mare».  

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