APOLOGETICA
Appassionarsi alla magia è fallire esistenzialmente
dal Numero 8 del 22 febbraio 2015
di Corrado Gnerre

Religione e magia non si alimentano a vicenda ma sono al contrario in rapporto inversamente proporzionale: è un dato di fatto che laddove vien meno il senso religioso, aumenta l’interesse per il magico, a danno della vera felicità e realizzazione umana.

È da tempo che dati sociologici ci dicono che sempre più persone si lasciano affascinare dal “magico”. Studi di cartomanti e fattucchiere non conoscono crisi, millantano di liberare da qualsiasi fattura... di certo da quelle fiscali perché – pare – che con il fisco i rapporti non siano proprio idilliaci... ma lasciamo perdere.
Recentemente la Conferenza Episcopale della Sicilia ha organizzato un convegno di esorcisti dove è stato lanciato un allarme: sempre più giovani si danno a pratiche esoteriche ed occultiste causando l’insorgere di influenze straordinarie del maligno sulle loro persone.
Ne abbiamo già parlato più volte: il tutto ha una logica. Religione e Magia non si alimentano a vicenda così come ha sempre creduto e affermato un’interpretazione “positivista” del sacro, bensì sono in un rapporto inversamente proporzionale: quando la religione viene meno, il fascino e la fruizione del magico aumentano. Non a caso in Italia le città più “magiche” non sono quelle del profondo Sud, bensì città emancipate come, per esempio, Bologna e Torino. Sì: Bologna... sarebbe il caso di dire: da Marx ai maghi!
Ma – dicevo – di questo abbiamo già parlato in vecchi articoli. Piuttosto una riflessione nuova la possiamo fare. Una riflessione che nasce da un interrogativo: a quali conseguenze esistenziali porta l’appassionarsi alla magia? L’uomo che cerca una risposta nella magia alle sue ansie e ai suoi problemi si sente più o meno felice?
La risposta ce la fornisce la Sacra Scrittura. Precisamente l’episodio di Caino e Abele: «Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso» (Gen 4,3-4). Tra i due fratelli vi era una sostanziale differenza: Abele riconosceva realisticamente l’appartenenza al Signore e, attraverso i frutti migliori, offriva a Dio l’intera sua vita. Caino, invece, non potendo non riconoscere Dio (l’insegnamento del peccato dei suoi genitori era ancora stampato lì nella sua mente a vincolarlo) relegava il Signore in un cantuccio della sua esistenza, e tutto questo era significato dal dono dei frutti peggiori o perlomeno non completi. Ebbene, l’esperienza magica non è altro che relegare il soprannaturale in un cantuccio della vita (anche se di fatto può avere un’esplicazione integrale e fanatica nelle sua manifestazioni) per manipolarlo tecnicamente a proprio uso e consumo. 
Ma il racconto biblico non finisce qui: «Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto» (Gen 4,4-5). Dunque Caino, per il suo deliberato atteggiamento, non provò solo irritazione, ma anche abbattimento; e questo è facilmente spiegabile. La tentazione magica di potere per cui l’uomo manipola il sacro creaturalizzandolo, fino ad arrivare ad esaurire il mistero, è una tentazione che contraddice la struttura fondamentale dell’essere uomo. Oltre ad un’impossibilità di tipo logico, il cuore dell’uomo, esistenzialmente, non è fatto per esaurire il mistero. Nel momento in cui pretende farlo si condanna al vuoto, all’insoddisfazione, al rammarico dell’impotenza. L’homo magicus è un uomo costretto a dover fare i conti solo con se stesso. Dopo essersi proclamato artefice e manipolatore del sacro, non deve nel sacro e nel mistero (quindi al di fuori di sé) trovare le risposte a quelle domande fondamentali che strutturalmente e costitutivamente porta nel suo cuore. È costretto a ricercare esclusivamente nel suo io, nel suo finito, delle risposte che non colmano la grandezza del suo desiderio; e la conseguenza di questa sproporzione è l’insoddisfazione, e quindi il vuoto esistenziale.
Questo è il fallimento di un atteggiamento che disconosce il limite umano, che disconosce il giudizio del mistero sull’uomo. È l’atteggiamento che caratterizza la magia, l’antropocentrismo moderno, il nichilismo... e perché no?, anche (e non esagero) un certo modo di vivere il cristianesimo oggi, per cui sembrerebbe quasi che Cristo sia un optional a cui occasionalmente fare riferimento soprattutto a livello interiore, soggettivo ed intimistico, ma senza che Egli fondi integralmente, come persona viva, la nostra persona e le manifestazioni sociali della nostra persona. Quando sentiamo dire frasi come: L’identità cristiana non deve entrare nella vita con gli altri, non deve entrare nel mondo del lavoro, nel sociale, nelle scuole, nelle università, non deve entrare nella vita economica e politica... Quando sentiamo tali affermazioni di chiaro stampo laicista, per giunta avallata da tanti cristiani, non certo ci troviamo di fronte ad un atteggiamento di tipo religioso, bensì di tipo “magico”.
O Cristo è tutto per l’uomo o non è nulla.

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