APOLOGETICA
La teoria del caso non regge alla prova dell’intelligenza
dal Numero 39 del 5 ottobre 2014
di Corrado Gnerre

La creazione non può essere frutto del caso. A confermarlo sono numerosi “Premi Nobel” i quali, con efficacissimi esempi di seguito riportati, rendono evidente l’assurdità di una simile tesi.

Che la realtà naturale sia ordinata nessuno lo può negare. Che – per esempio – il corpo umano sia ordinato e finalizzato nessuno lo può negare. A meno che non si voglia calpestare l’evidenza, ma ciò si porrebbe nell’anormalità e nel patologico.
      Quale la spiegazione dell’ordine? Può l’ordine venir fuori dal caso? Ovviamente no. Provate a gettare camicie e golfini alla rinfusa e vedete se vanno da soli a riporsi ordinatamente nel guardaroba. Per originare l’ordine oc­corre l’intervento dell’intelligenza, che, prevedendo il fine, ordina un oggetto al suo giusto posto. Per costruire i palazzi occorre l’ingegnere che fa il progetto, poi questo viene consegnato al direttore dei lavori e così gli operai costruiscono l’opera. I mattoni da soli non si mettono gli uni sugli altri per comporre palazzi, ponti e quant’altro. Lo ripeto: ordinare un oggetto al suo giusto fine implica prevedere il fine e quindi applicare sull’oggetto stesso una progettualità che può essere frutto solo dell’intelligenza.
Dicevamo prima che un esempio per capire quanto sia ordinata la realtà è il corpo umano. Do delle cifre: in una sola cellula sono contenuti all’incirca 53 miliardi di molecole proteiche, 166 miliardi di molecole lipidiche, 2.900 miliardi di “piccole molecole” (tra le quali i glicidi e vari altri composti) e 250.000 miliardi di molecole di acqua e in più gli acidi nucleici. In un corpo umano esistono ben 60.000 miliardi di cellule. Niente male... verrebbe da dire. Un altro esempio, prendiamo l’occhio umano e leggiamo cosa a riguardo riporta Ravalico nel suo famoso La creazione non è una favola (Milano 1987, pp. 135-136): «Dal fondo di ciascun nostro occhio escono 60 milioni di fili conduttori. Chiunque accoglierebbe con una risata una simile affermazione se non provenisse dal prof. John Wilson della Harvard University, oftalmologo di fama mondiale, notissimo proprio per questa scoperta, ed altre nell’ambito dell’organo della vista dell’uomo e degli animali. Ecco quanto egli ci dice nel suo libro “Eye and vision”: “I fili conduttori che escono da una centrale telefonica riuniti in cavi, possono essere alcune decine di migliaia. Sono poco o nulla di fronte a quelli che escono da ciascun nostro occhio. Per averne un’idea, bisognerebbe immaginare di riunire tutte insieme le centrali telefoniche esistenti nel mondo intero”. [...] “Benché siano sessanta milioni, ciascuno di quei fili è accuratamente ricoperto con due strati di isolante, proprio come i fili conduttori delle linee telefoniche e quelli della rete-luce” [...]. “Se non fossero isolati, bene isolati l’uno dall’altro, quei sessanta milioni di fili non servirebbero a nulla, proprio a nulla”.
C’è un esempio che è ormai diventato famoso. È quello della scimmia che digita sulla testiera di un computer. E sentite questa: “È più facile – si dice – che una scimmia, battendo a casaccio su dei tasti, componga una frase sensata piuttosto che si formi per caso una sola cellula”. Ovviamente c’è chi obietta che ciò, se pur difficile, non è impossibile e che quindi nessuno può negare con certezza che il caso sia all’origine dell’Universo. Ebbene, il fisico israeliano Gerald Schroeder ha calcolato che la probabilità che una scimmia, pestando a casaccio con le dita su una tastiera, riesca a formare un sonetto di Shakespeare, è di “una su 10 seguito da 689 zeri”. Per capire quanto sia elevato questo numero, si pensi che dal Big Bang fino ad oggi, cioè da 15 miliardi di anni fino ad oggi, è trascorso un numero di secondi pari a 10 seguito da appena 18 zeri. Anche la matematica, stando a quel fisico, prova che all’origine dell’universo c’è la Creazione».
Il celebre scienziato Carlo Rubbia, premio Nobel nel 1984, non crede affatto al caso. Egli ha esplicitamente detto (cf. Il Timone, n. 1): «L’ordine troppo preciso che si scopre guardando la natura, osservando il creato, studiando la sua struttura non può essere il risultato di un caso».
Un altro premio Nobel (1966), il fisico Alfred Kastler (1902-1984), così argomentava sull’ipotesi del caso all’origine dell’Universo (cit. in Il Timone, n. 1): «Supponiamo che nel corso di uno dei prossimi voli lunari venga esplorata la faccia sconosciuta della Luna, quella che ci è opposta e che non vediamo mai, ma che gli astronauti possono raggiungere. Fino ad oggi, essi sono sempre atterrati sulla parte visibile dalla Terra perché le comunicazioni via radio rimangono possibili, mentre non lo sono più quando ci si trova sull’altra faccia». E prosegue: «Supponiamo che essi abbiano la sorpresa di scoprire una fabbrica automatica che produce alluminio: esistono attualmente sulla Terra fabbriche completamente automatiche. Essi vedrebbero da un lato delle pale che scavano il suolo e raccolgono l’allumina; dall’altro le barre di alluminio che ne escono. Essi vi troverebbero apparecchiature tipiche della fisica, processi di elettrolisi, poiché l’alluminio viene prodotto mediante elettrolisi di una soluzione di allumina nella criolina. In altre parole, dopo aver esaminato questa fabbrica, essi constaterebbero solo il verificarsi di normali fenomeni fisici perfettamente spiegabili con le leggi della causalità. Essi ne dovrebbero concludere che il caso ha creato tale fabbrica, oppure che degli esseri intelligenti sono discesi sulla Luna prima di essi e l’hanno costruita? [...] Ebbene in un essere vivente troviamo un sistema infinitamente più complesso di una fabbrica automatica. Voler ammettere che il caso ha creato tale essere mi sembra assurdo. Se esiste un programma, non posso ammettere programma senza programmatore».
L’astronomo e matematico Fred Hoyle così ha detto (cit. in Il Timone, n. 1): «Basta una piccola serie di calcoli al computer per rendersi conto che la probabilità che questo sia avvenuto casualmente [sta parlando della possibilità che nel brodo primordiale di cui si favoleggia si sarebbero prodotti anche solo gli oltre duemila enzimi necessari al nostro corpo] è pari alla probabilità di ottenere sempre 12, per 50.000 volte di fila, gettando due dadi di fila sul tavolo».
Un altro esempio convincente è quello che fece John Carew Eccles, premio Nobel per la fisiologia e la medicina nel 1963 (cit. in Il Timone, n. 1): «Supponiamo l’esistenza di un magazzino immenso di pezzi aeronautici, tutti nelle loro casse o sugli scaffali. Un edificio enorme, mettiamo di mille chilometri per lato. Arriva un ciclone che, per centomila anni, fa roteare e scontrare tra loro quei pezzi. Quando finalmente si placa, dove c’era il magazzino c’è una serie di quadrimotori già con le eliche che girano... Ecco: stando proprio alla scienza, le probabilità che il caso abbia creato la vita sono più o meno quelle di questo esempio. Con, per giunta, un’aggravante: da dove vengono i materiali del magazzino?».
E ancora quello del biochimico molecolare Bucci (cit. in E. Samek Lodovici, Dio esiste, in Quaderni de Il Timone, Milano 2007, pp. 33-34): «Supponiamo che in una grotta preistorica si trovi incisa su una parete, una scritta, per esempio: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in una selva oscura ché la diritta via era smarrita” e che io dica ai miei colleghi: in quella grotta, a causa dell’erosione dell’acqua, della solidificazione dei carbonati e dell’azione del vento, si è prodotta per caso la prima fase della “Divina Commedia”. Non mi prenderebbero per matto? Eppure non avrebbero nulla da ridire se dicessi loro che si è formata per caso la prima cellula vivente, che ha un contenuto di informazione equivalente a 5.000 volte l’intera “Divina Commedia”».
A proposito del caso va risolta comunque una questione che è legata ad una possibile obiezione che può essere mossa al finalismo. Si dice: è possibile che tutto sia frutto del caso per il semplice fatto che nella natura tante produzioni avvengono per puro caso. Basterebbe pensare al sistema riproduttivo: se due determinati esseri viventi non si incontrassero (e molto spesso l’incontro è del tutto casuale) non si avrebbe quella ben precisa generazione. Come rispondere a questa obiezione? Certamente in natura sono possibili combinazioni casuali fra le varie realtà, ma tali combinazioni possono avvenire tra realtà che già esistono. Un conto è dire che un determinato evento è accaduto casualmente, altro affermare che sia avvenuta casualmente l’origine della realtà dal nulla. Facciamo un esempio: prendo due dadi, li tiro ed esce un determinato numero. Ebbene, quel numero è casuale; ma senza i dadi quel numero non si sarebbe potuto ottenere. Se i dadi non esistessero, il numero non si potrebbe ottenere. L’origine dei dadi è casuale? Assolutamente no, perché essi hanno delle caratteristiche ben precise e sono finalizzati per quel determinato gioco. Ecco dunque che un conto è parlare di combinazioni casuali, altro di caso. 
Per concludere è bene ricordare ciò che Isaac Bashevis, premio Nobel 1978 per la letteratura, ha detto: «Parecchi pensatori materialisti hanno attribuito al cieco meccanismo dell’evoluzione più miracoli, improbabili coincidenze e prodigi di quanti ne abbiano mai potuto attribuire a Dio tutti i teologi del mondo».
Insomma, la teoria del caso può essere scelta dagli stolti, ma non certo dagli intelligenti.

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