RELIGIONE
L’ordine della carità secondo San Tommaso
dal Numero 24 del 15 giugno 2014
Fabrizio Cannone

Il Santo d’Aquino, da sempre indicato quale teologo per eccellenza dal Magistero della Chiesa, insegna come anche nell’amare, analogamente a tutte le realtà create, vi sia un ordine preciso.

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Se c’è un punto in cui la teologia di san Tommaso si contrappone frontalmente alla teologia cattolica contemporanea, questo punto è nell’ordine della carità. Giova però fare una digressione circa l’autorevolezza di san Tommaso. Di per sé, ciò che scrive un teologo, anche illustre, non è, automaticamente, dottrina sicura e definitiva che la Chiesa deve accettare e fare propria. Gli storici dibattiti tra correnti teologiche avverse mostrano proprio questo: la Chiesa tollera opinioni teologiche differenti, laddove si è nel campo dell’opinabile, e non sempre decide quale sia l’opinione destinata a diventare la norma, la “verità” per tutti i credenti. Neppure un santo, i cui scritti passano al vaglio delle Commissioni vaticane (prima la sacra Congregazione dei Riti, ora la Congregazione per le cause dei santi), gode di una autorevolezza tale da imporsi a tutti, in tutto ciò che ha detto, fatto o scritto. Possiamo star sicuri che nessun santo abbia istillato eresie formali o dato scandalo, ma non tutte le sue idee e convinzioni sono per forza accettabili, sempre e comunque. Certi santi, non meno che certi teologi, ebbero idee, pensieri e formulazioni molto diverse tra loro. Quindi se san Tommaso fosse solo un frate domenicano canonizzato, questo discorso varrebbe anche per lui e le sue idee varrebbero e si imporrebbero nella misura in cui la Chiesa le indicasse come vere e giuste, ma non in forza di altro.

       Ma san Tommaso d’Aquino (1225-1274) è, in un certo senso, un santo diverso dagli altri o almeno speciale. A partire dalla sua morte fino ad oggi infatti, senza alcuna discontinuità, l’autorità infallibile della Chiesa docente lo ha indicato come il teologo per eccellenza, da preferirsi a tutti gli altri. Sarebbe incongruo e troppo lungo per i nostri spazi darne una prova. I documenti che attestano quanto detto sono centinaia, promulgati da moltissimi Pontefici dal 1300 ad oggi (si vedano in particolare l’Aeterni Patris di Leone XIII e la Studiorum ducem di Pio XI). Nello stesso periodo post-conciliare, periodo in cui il tomismo ha subito un notevole declino nelle Università cattoliche, sono molte e autorevoli le prese di posizione dei Pontefici in favore di san Tommaso. Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ne hanno parlato molte volte e sempre nel senso tradizionale di voler non tanto esaltare le virtù di un santo (tra i moltissimi che la storia conosce), ma nel senso di voler promuovere lo studio, la teologia e la stessa filosofia del Dottore Angelico. Mi è particolarmente caro un passaggio della Fides et ratio, in cui papa Wojtyla loda l’Aquinate in termini speciali. Parlando infatti del cammino secolare del pensiero filosofico cristiano, Giovanni Paolo II scrive: «Un posto tutto particolare in questo lungo cammino spetta a san Tommaso» (corsivo mio). Quindi, notando la sua perfetta ed equilibrata sintesi tra fede (sovrannaturale, propria dei soli cristiani) e ragione (naturale, posseduta da tutti gli uomini), il Papa scrive: «È per questo motivo che, giustamente, san Tommaso è sempre stato proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia» (n. 43, corsivo mio). Tra i molti Padri e Dottori della Chiesa, da sant’Atanasio a sant’Alfonso, la Chiesa dunque ha sempre proposto san Tommaso come Maestro...

       E così conclude il Pontefice polacco: «San Tommaso amò in maniera disinteressata la verità. Egli la cercò dovunque essa si potesse manifestare, evidenziando al massimo la sua universalità. In lui, il Magistero della Chiesa ha visto ed apprezzato la passione per la verità; il suo pensiero, proprio perché si mantenne sempre nell’orizzonte della verità universale, oggettiva e trascendente, raggiunse “vette che l’intelligenza umana non avrebbe mai potuto pensare” (Leone XIII). Con ragione, quindi, egli può essere definito “apostolo della verità” (Paolo VI). Proprio perché alla verità mirava senza riserve, nel suo realismo egli seppe riconoscerne l’oggettività. La sua è veramente la filosofia dell’essere e non del semplice apparire» (n. 44). Lo stesso papa Francesco, nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, tra i moltissimi dotti della cristianità, ha citato, e più volte, il Genio d’Aquino (cf. nn. 37 con 3 citazioni, 40 con 2 citazioni, 43 con 2 citazioni, 117 con 2 citazioni, 124, 150, 171, 199 con 3 citazioni, 242).

       Ma tornando ora al tema dell’ordine della carità, cosa fa difficoltà in esso? E anzitutto, cosa si intende per “ordine della carità”? Vediamolo. La carità cristiana è l’amor di Dio e l’amor del prossimo (e di noi stessi) per amor di Dio. Dunque «è necessario che negli esseri che sono amati con la carità si riscontri un certo ordine in rapporto al primo principio di questo amore, che è Dio» (a. 1). San Tommaso con il suo magnifico metodo razionale e sillogistico stabilisce alcune importanti acquisizioni teologiche in ordine a questo amore universale sì, ma né generico, né indifferenziato. Citiamole ora, mettendo tra parentesi per ogni sentenza tommasiana l’articolo della questione 26 in cui il Santo spiega la questione, per poi fare le riflessioni che si imporranno.

       Dio deve essere amato più del prossimo (a. 2). Dio deve essere amato più di noi stessi (a. 3). L’uomo deve amare se stesso più del prossimo (a. 4). L’uomo deve amare il prossimo più del proprio corpo (a. 5). Tra i prossimi alcuni sono da amarsi più di altri (a. 6). L’uomo deve amare più i propri congiunti che le persone più buone (a. 7). L’uomo deve amare più di tutti coloro che gli sono uniti per vincoli di sangue (a. 8). Il padre deve essere amato più del figlio (a. 9). Il padre deve essere amato più della madre (a. 10). I genitori devono essere amati più della moglie (a. 11). Il beneficato va amato più del benefattore (a. 12). L’ordine della carità rimane anche in Paradiso (a. 13).

       Ci vorrebbero tempo, spazio e capacità che noi non abbiamo per analizzare, spiegare e motivare tutte queste massime tomistiche. A noi preme difendere l’essenziale, ovvero l’esistenza di un ordine della carità, e questo proprio perché oggi esso viene frontalmente negato dalla teologia insegnata nelle Università e nei centri di cultura cattolica. Così ci limiteremo alla spiegazione dell’articolo 1, sull’esistenza dell’ordine della carità, e all’articolo 6 che è il fondamento dei restanti articoli.

       Oggi, l’uguale natura umana tra gli uomini, porta moltissimi ad immaginare che essi siano per questo tutti assolutamente uguali e che l’uguaglianza sia, specie nella visione cristiana del mondo, sinonimo di giustizia. Ma il possesso della stessa natura umana, che ci rende fratelli, non ci fa né totalmente uguali, né identici, né di pari autorità e dignità (morale) davanti a Dio. Tutte le differenze che Dio stesso ha stabilito tra uomo e uomo debbono essere ben considerate quando si parla di queste cose. E così, per esempio, il padre non è uguale al figlio, né la madre uguale alla figlia, e neppure il padre è uguale alla madre. Il laico non è uguale al sacerdote, né il bambino è uguale all’anziano, né il santo è uguale al peccatore. E così via.

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