APOLOGETICA
L’illegittimità del pacifismo
dal Numero 15 del 14 aprile 2013
di Corrado Gnerre

Se per un cattolico la pace è un valore importante, non è però un valore assoluto. La giustizia, ad esempio, va anteposta a questa e dunque è permesso, in determinate circostanze, usare la forza.

    Che rapporto c’è tra Cristianesimo e guerra? È possibile per i cristiani l’uso delle armi? Oppure essi dovrebbero sempre perseguire la pace, costi quel che costi?
    Sono domande, queste, che spesso vengono poste. E purtroppo anche su questo punto tanti cattolici non hanno le idee chiare.
    Vediamo come deve essere impostata la questione.
    Prima di tutto va detto che per il Cristianesimo la pace è un valore molto importante. Molto importante, ma non il più importante. Prima della pace viene il valore della giustizia. E quando cristianamente si parla di giustizia si deve intendere non solo quella sociale ma anche e soprattutto quella relativa al rispetto della verità e della dignità della persona umana. Ebbene, quando il valore della giustizia viene messo in pericolo, bisogna fare di tutto perché torni ad essere rispettato. Ovviamente bisogna utilizzare la soluzione meno dolorosa, ma quando la soluzione meno dolorosa non risolve, allora non solo è possibile ma in un certo qual modo è doveroso l’uso delle armi. Quando ci si accorge che non c’è altra possibilità, come extrema ratio (rimedio estremo) si può combattere.
    A riguardo, però, vanno fatte due precisazioni. La prima: il cristiano quando combatte è tenuto a rispettare regole importanti come quelle di non fare violenza gratuita né tantomeno infierire sulla popolazione e sugli individui inermi come donne, bambini, anziani... La seconda: un tempo quando le soluzioni diplomatiche fallivano, si poteva più facilmente passare all’uso delle armi, perché il guerreggiare coinvolgeva molto meno la popolazione. Oggi, invece, quando le soluzioni diplomatiche falliscono, bisogna pensarci più volte prima di usare le armi a causa dell’esistenza di armi micidiali che inevitabilmente coinvolgerebbero le popolazioni.
    Detto questo, ribadiamo la completa legittimità per il cristiano di usare le armi, fatte salve le condizioni di cui sopra. D’altronde (ed è questa una considerazione che molti cattolici non riescono a capire) il pacifismo è una resa dinanzi alla violenza. Immaginiamo questa situazione: una ragazza sta camminando in una strada isolata. Sopraggiungono dei malintenzionati che vogliono insidiarla. La vittima inizia a gridare chiedendo aiuto. Uno di noi passa di là e le dice: mi dispiace, si arrangi, sono pacifista... Sarebbe una grave ingiustizia. In questo caso è doveroso intervenire. E quando s’interviene non è che si dice agli aggressori: chiedo scusa, ma mi sembra che il loro comportamento sia poco consono alla buona educazione... Si deve utilizzare la forza, una forza che non si trasforma in violenza ma rimane forza perché a servizio della giustizia. Quando invece la forza è a servizio dell’ingiustizia diviene violenza. Violenza, infatti, viene da “violare”, cioè da “violare un diritto”.
    Poniamoci adesso questa domanda: Gesù cosa ha detto o cosa ha fatto intendere a riguardo? I riferimenti potrebbero essere molteplici, ma ricordiamone due, indiretti. Quando dei soldati andarono da Giovanni Battista chiedendogli cosa dovessero fare per avere la vita eterna, questi rispose di non maltrattare, di non estorcere niente a nessuno e di accontentarsi della paga (cf. Lc 3). Dunque, non fece alcun cenno di dover abbandonare le armi. E Gesù loda la dottrina del Battista. Pietro, come ci attesta il Vangelo di san Giovanni, colpì il servo Malco che era tra le guardie che andarono a catturare Gesù nel Getsemani. L’Apostolo sfoderò un gladio che portava con sé. Dunque, Pietro girava armato.
    E nel corso della storia? Quanti santi militari ci sono stati? Tanti. Basterebbe leggere un interessante libro di Rino Cammilleri, intitolato proprio Santi militari. L’esempio di santa Giovanna d’Arco è emblematico. Certo, la Pulzella d’Orleans (come venne definita la Santa) di fatto non combatteva, la sua era una presenza simbolica che galvanizzava i soldati francesi a testimonianza che Dio li aiutava in quella guerra giusta, la Guerra dei Cento anni tra francesi e inglesi. Ma è indubbio che ella era a servizio della guerra. Poniamoci una domanda. Ma Dio è filo francese ed anti inglese? Ovviamente no. Il fatto è però che in quell’occasione gli inglesi erano gli sfruttatori e i francesi gli sfruttati. E Dio sta dalla parte di chi subisce ingiustizia. Ecco perché intervenne dicendo a santa Giovanna d’Arco di muoversi, di non rimanere indifferente senza far nulla per aiutare il suo popolo che gemeva sotto il dominio degli oppressori. Piuttosto una riflessione può essere fatta. Perché Dio scelse, nel caso di santa Giovanna d’Arco, una donna e non un uomo; e per giunta non una donna di corte avvezza a vedere sfide e duelli, ma addirittura un’analfabeta e perfino umile guardiana di oche? I motivi sono due. Primo: Dio vuol far capire che la guerra (come abbiamo già avuto modo di dire) non può mai essere una passione, un gioco, non può mai soddisfare un desiderio, ma è sempre un qualcosa che va praticato come estremo rimedio. Secondo: Dio vuol far capire che la guerra giusta non può mai essere condotta fidando sulle proprie forze, ma unicamente affidandosi a Lui. Si pensi al famoso episodio di Davide. Per sconfiggere l’invincibile Golia, Dio scelse non un uomo d’armi ma un pastorello fulvo di capelli. E quando a Davide gli fecero indossare l’armatura, egli non si sentì a suo agio. Preferì liberarsene affidandosi totalmente a Dio (cf. 1Sam 17). E Dio gli permise ciò che era umanamente impossibile: sconfiggere il gigante.

Casa Mariana Editrice
Sede Legale
Via dell'Immacolata, 4
83040 Frigento (AV)
Proprietario: Associazione CME Il Settimanale di Padre Pio. Tutti i diritti sono riservati. Credits