RELIGIONE
La religiosità degli italiani
dal Numero 35 del 8 settembre 2013
di Fabrizio Cannone

Un recente saggio titolato “Il Vangelo secondo gli italiani” e la sua recensione su una testata cattolica ritraggono da un lato la situazione davvero preoccupante della religiosità in Italia e dall’altro la scarsa percezione della gravità di tale problema.

Abbiamo già scritto su queste pagine che la statistica, disciplina ormai pienamente scientifica e di rango accademico, non va, secondo noi, né demonizzata, né troppo esaltata. Non va troppo esaltata poiché essa può darci solo spiegazioni materiali delle realtà sociali prese in esame, e in nessun modo le ragioni profonde dei fenomeni: in tal senso essa non è una vera e piena conoscenza, ma un contributo alla conoscenza degli uomini. Ma non va neppure demonizzata, in nome dell’idea peregrina che i “freddi numeri” sarebbero incapaci di trasmetterci alcunché. Non è così. Se in un Paese, la pratica mostruosa e criminale dell’aborto aumenta (o diminuisce) drasticamente, questo significa qualcosa e il mero numero non può essere del tutto ignorato, in nome della profondità delle leggi morali che regolano la vita interiore degli uomini. Se in Italia, e ciò diciamo poiché usiamo la statistica non per riflessioni meramente sociologiche ma culturali e teologiche, negli anni ’20, ’30, ’40 e ’50 del ’900 si recava alla Messa domenicale la maggioranza della popolazione e nel 2013 lo fa solo una infima minoranza (10-15%), questo è uno dei segni più certi e tangibili della perdita della fede nei cittadini.
Un recente studio dei giornalisti Anfossi e Valli (Il Vangelo secondo gli italiani, San Paolo, 2013) è stato oggetto di una lunga recensione da parte del sociologo della Civiltà Cattolica, padre GianPaolo Salvini (La religiosità degli italiani, in Civiltà Cattolica, n. 3913, 6 luglio 2013, pp. 56-65). Nello stesso quaderno della rivista dei Gesuiti italiani, si legge dell’Udienza che papa Francesco ha concesso il 14 giugno al Collegio degli Scrittori della Civiltà, confermando il “vincolo” che ha sempre unito la rivista, fin dalla fondazione sotto Pio IX nel 1850, ai Successori di Pietro. Il Generale della Compagnia, padre Alfonso Nicolàs, presente all’Udienza, ha così ribadito il concetto: «L’amore e la fedeltà alla Chiesa spingono i padri scrittori a studiare e a scrivere con intelligenza e volontà di ricerca illuminata dalla fede, cercando e trovando Dio in tutte le cose [secondo la celebre espressione di sant’Ignazio]. è loro desiderio di servire soltanto il Signore e la Chiesa sua sposa, a disposizione del Romano Pontefice» (p. 7).
Ma torniamo alla religiosità degli italiani. Padre Salvini fa stato delle ricerche degli Autori di cui sopra, senza eccessivi patemi d’animo, come se la pratica religiosa, in netto declino dal Concilio in poi, fosse un elemento di osservazione sociologica, tra mille altri. Ma i dati citati sono comunque strabilianti e terrifici (per chi crede, ovviamente, che senza la fede è impossibile piacere a Dio).
Così, se «l’Italia già da tempo non può più dirsi un Paese cattolico» (p. 57), gli italiani «non hanno la vocazione al dissenso o allo scisma» (p. 57). Direi meglio che non ce l’hanno allo scisma sul modello dei Paesi del nord Europa, ma al dissenso, come dimostra l’articolo di padre Salvini, ce l’hanno e come. Alcuni dati sono chiari. Se «l’88% degli italiani si dichiara cattolico», soltanto «il 67% è convinto che ci sia una vita oltre la morte, il 55% va a Messa almeno una volta al mese [ma un mese contiene 4 domeniche!] e il 47% prega una volta al giorno» (p. 57).
D’altra parte è sui valori etici che il crollo della fede si fa sentire in modo plateale. «Ci si sposa sempre meno, e sempre meno in chiesa. Si è quadruplicato in 25 anni il numero dei divorzi e continuano a crescere le coppie di fatto» (p. 57). Padre Salvini non sembra particolarmente afflitto da questi dati e fa critiche solo a due tendenze peraltro microscopiche nel panorama culturale nostrano, in primis agli “atei devoti” sprezzantemente definiti come una «contraddizione in termini», di «coloro che si dichiarano non credenti, ma sono ossequienti dinanzi a una tonaca, alla gerarchia, all’autorità ecclesiastica» (p. 58). Lui invece ha fastidio di questo “ossequio” e preferirebbe l’insulto, come avviene ormai quotidianamente nei Paesi più secolarizzati (come la Francia, la Germania o l’Inghilterra) a quei rari sacerdoti che, contrariamente ai gesuiti, si ostinano a mostrarsi come preti cattolici. L’altro elemento negativo secondo Salvini sta nel «ritorno al senso religioso», «poiché esso trova espressione soprattutto in movimenti di tipo carismatico», e «si manifesta anche attraverso un’esperienza religiosa poco liberante, nella quale prevale spesso un bisogno di rassicurazione che non di rado sfocia nel fondamentalismo» (p. 59). Certo non vogliamo difendere il «fondamentalismo carismatico» stile USA, ma è strano che lo si giudichi più severamente dello stesso ateismo, e che gli unici atei ad essere presi di petto siano gli “atei devoti”, poiché tendenti a destra, ossia all’opposto di quella Compagnia che vorrebbe «servire soltanto il Signore»! Non mancano nemmeno, per essere fedeli a Rahner e a Theilard, esempi paradigmatici del Gesuita del XX secolo, gli attacchi alla Fede tradizionale, quella che però un tempo riempiva le chiese. La fede di allora infatti percepiva Dio «come despota arcigno e lontano» (p. 62). Meglio dunque la fede di oggi? Lo vedremo dalle idee dei fedeli adulti del 2013...
Contro l’evidenza comune, si arriva a scrivere che «la cultura della secolarizzazione [...] spesso non si presenta in forme esplicite, né con atteggiamenti aggressivi nei confronti della religione» (p. 59): può essere vero solo se si aggiunge ciò che si tace, cioè che ancor più spesso, il secolarismo assume oggi proprio i toni della violenza, del sopruso e della menzogna.
Altri dati citati da uno studio dell’Università Cattolica. Il «69% dei giovani considera normale la convivenza prematrimoniale, i contrari sono 7%. Ma quando è giusto avere il primo rapporto sessuale? Il 2,9% risponde “dopo il matrimonio”. Il 52% “solo quando si è innamorati”» (p. 60). «I favorevoli alla contraccezione sono l’82%. Per il 44,7% il ricorso alla pillola del giorno dopo [abortiva] non è per niente grave» (p. 61). E la fede degli italiani, che grazie al Concilio non vedono più Dio come «despota arcigno», è ridotta alla definizione che ne dà un francescano conventuale: «Due dita di nirvana, una spruzzata di animismo, una buccia di cattolicesimo, un pizzico di islam» (p. 62). Ma... non si era detto che il dialogo con le altre religioni, con l’ateismo, con la modernità e la stessa immigrazione (multiculturale) di massa avrebbero prodotto risultati magnifici, progressi inauditi e sviluppi luminosi? Sarà ora di tornare indietro?

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