RELIGIONE
Parliamo dei Novissimi / Alla sera della vita: il Giudizio
dal Numero 44 del 15 novembre 2020
di Padre Stefano M. Manelli, FI

Il Nuovo Testamento parla a più riprese di un’immediata retribuzione che sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede, dopo la morte e il “Giudizio particolare” che metterà l’intera vita dinanzi a Dio Giudice Onnisciente.

«Dio citerà in giudizio ogni tua azione, anche ciò che è occulto, bene o male» (Qo 12,14).
Possiamo farci subito una domanda: dove avverrà il Giudizio particolare, alla nostra morte? Secondo sant’Alfonso M. de’ Liguori «è sentimento comune dei teologi, che nel luogo e all’ora stessa in cui avverrà la separazione dell’anima dal corpo s’innalzerà il tribunale di Cristo; lì si farà il Giudizio e Dio pronunzierà la sentenza».

Appare chiaro che la cosa più importante per un migliore incontro con Dio subito dopo la morte è la preparazione (sia prossima che remota) con l’assistenza alla persona inferma che muore.

Chi è vicino alla morte deve ricordare le parole di Gesù che dice: «Beati i morti che muoiono nel Signore» (Ap 14,13), ossia che muoiono con la grazia di Dio nell’anima (e non con la “disgrazia” del peccato mortale nell’anima!). «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!» (Mt 7,13-14). «Se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà» (Mt 24,43-44). «Vegliate dunque perché non sapete né il giorno, né l’ora» (Mt 25,13).

Queste parole di Gesù, questi insegnamenti e questi richiami così importanti che Egli ha fatto scrivere agli Evangelisti non possono lasciare indifferente soprattutto chi si trova infermo, al terminale della propria esistenza, preoccupato, senza scampo, della penosa resa dei conti di tutta la vita, da sottoporre al Giudice supremo, Cristo Gesù nostro Signore.

Si sa che san Francesco d’Assisi, grandissimo predicatore evangelico, scrisse nella Regola serafica che tutti i suoi frati predicatori evangelizzassero le anime predicando costantemente sulle cose più fondamentali per la vita cristiana e per la salvezza eterna delle anime, ossia la predica sui «vizi e le virtù, la pena e la gloria».

Quanta sapienza divina in questa norma del Serafico Padre e quale immensità di grazie si avrebbe se venisse sempre messa in pratica da tutti i predicatori francescani! La predica sui “vizi”, da combattere e sradicare, infatti, fa capire bene che a causa di essi si meriterà la “pena” (che potrà essere anche quella dell’Inferno eterno!). La predica sulle “virtù”, da acquistare e praticare invece, fa capire bene che con esse si merita la gloria del Paradiso con la beatitudine eterna.

Questa è la vera, l’autentica formazione cristiana, che san Francesco d’Assisi dava con la sua predicazione e che stabilì anche per tutti i suoi frati, volendo appunto che tutti possano conoscere il Vangelo della salvezza per la vita cristiana genuina, che è quella vissuta lottando contro i vizi che portano alla perdizione eterna e sforzandosi, al contrario, di acquistare le sante virtù che fanno meritare la gloria eterna del Paradiso di Dio.

Capire queste cose è di primaria importanza e di massimo interesse per ogni uomo, mentre non capirle e trascurarle può farci vivere con il rischio della rovina di una vita intera vissuta per nulla o per le miserie di questo mondo che sta tutto «sotto il potere di satana» (1Gv 5,19), come ha scritto san Giovanni l’evangelista.

Guai a chi è vissuto secondo il mondo di Satana e dovrà affrontare il Giudizio di Dio! Beato, invece, chi vive secondo la vita e il Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo!
A questo proposito, riportiamo qui due episodi storici, davvero impressionanti, per capire bene come disporsi alla morte santamente.

San Cipriano, vescovo e martire...

Il mattino del 14 settembre 258, il santo vescovo Cipriano venne martirizzato nel campo Sextio. Il proconsole del tribunale, Galerio, lo interrogò: «Sei tu, Tascio Cipriano?». «Sì, sono proprio io», rispose san Cipriano. «Sei tu il vescovo di questi uomini sacrileghi?». «Sì, sono io il loro vescovo». «Gli imperatori santissimi ti ordinano di sacrificare». «No, io non sacrificherò». «Sta’ attento a quello che ti potrà sicuramente capitare». «Fa’ pure ciò che vuole la legge. La mia scelta è definitiva». «Ebbene, Tascio Cipriano sia decapitato», sentenziò il proconsole. «Deo gratias!», esclamò san Cipriano. Ma quando i soldati stavano per eseguire la sentenza, quando i fedeli stesero i pannolini per raccogliere il sangue del martire, san Cipriano ebbe un fremito e, coprendosi gli occhi, disse: «Povero me, che sto per presentarmi al Giudizio di Dio!».

Se anche un martire, nella sua umiltà, ha temuto il Giudizio di Dio, come potremo non tremare noi così miseri?...

San Bruno...

Nell’anno 1082, in una grande cappella presso la chiesa di Notre-Dame, a Parigi, si celebravano i funerali di un dottore dell’università, Raimondo Diocrés. Secondo il costume dell’epoca, si fece giacere il morto nella bara, in mezzo alla chiesa, coperto da un velo. Ora, avvenne che durante l’Ufficio dei defunti, alle parole: «Rispondimi, quante sono le tue iniquità?», il morto si levasse a sedere, dicendo: «Per giusto Giudizio di Dio, sono stato accusato...». Poi, tra lo spavento degli astanti, il morto tornava disteso, cadavere freddo e rigido.

Si riprese l’Ufficio, ma alle parole: «Rispondimi...», il morto si levò di nuovo, dicendo: «Per giusto Giudizio di Dio sono stato giudicato...», e ricadde nuovamente disteso nella bara.

Si riprese una terza volta, tra lo spavento e il terrore di molti, l’Ufficio, ma alle parole: «Rispondimi...», il morto si alzò un’ultima volta, esclamando con voce terribile: «Per giusto Giudizio di Dio sono stato condannato!». Immediatamente furono sospesi i funerali.

Fra i presenti, vi era anche uno dei grandi maestri del tempo, il quale rimase così scosso che lasciò subito l’università e il mondo, ritirandosi in un luogo isolato presso Grenoble, ove visse in solitudine, preghiera e penitenza fino alla morte. Si tratta di san Bruno, il fondatore dei Certosini, morto nel 1101.

Vogliamo anche noi imparare a vivere cristianamente da san Francesco d’Assisi, da san Cipriano martire, da san Bruno fondatore dei Certosini? O vogliamo subito dimenticare quanto essi ci hanno insegnato con i loro esempi e con i loro comportamenti alla scuola dei santi Padri?... Per carità, approfittiamo dei loro insegnamenti, saggiamente e santamente: saremo beati anche noi!

Sant’Agostino...

Al Giudizio di Dio – secondo sant’Agostino – insieme all’Angelo custode, che ci difenderà, ci sarà anche il demonio che ci accuserà, dicendo: «Quest’anima ha osservato i miei comandamenti e non i tuoi. Dunque, Signore, essa appartiene a me».

L’anima balbettando risponderà: «Seguire il demonio costava di meno, Signore... la tua legge è troppo dura!»...

«Al contrario – ribatterà il demonio – io ti facevo lavorare anche di domenica, senza lamentarti, mentre la Legge di Dio ti concedeva il riposo... Io ti facevo bere vino anche quando non avevi più sete e tu, con l’ubriachezza, ti abbassavi al di sotto delle bestie... Io ti facevo segnare un appuntamento equivoco e tu lasciavi la tua famiglia, anche se pioveva o nevicava... Io ti facevo sprecare nei vizi il guadagno del lavoro per il sostentamento della famiglia e tu consumavi tutto nei ritrovi o discoteche... Altro che leggero il mio giogo... e tu l’hai preferito a quello di Dio!».

Diceva molto bene il papa Benedetto XVI affermando che al Giudizio particolare di Dio noi resteremo interamente «ammutoliti» di fronte alla limpida verità del Giudizio di Dio!

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