APOLOGETICA
Il dono della Sapienza... per gustare Dio
dal Numero 20 del 21 maggio 2017
di Corrado Gnerre

ìLa “Sapienza”, quale dono dello Spirito Santo all’anima che vive nella Carità, è come una chiave che apre immediatamente il mistero di Dio, ne intuisce i molteplici riflessi nel mondo creato, abbraccia intuitivamente le Verità della Fede. I Santi, dotti e semplici, possedevano in abbondanza questo dono che permetteva loro di “amare e gustare” Dio.

C’è un dono che riesce a portare la Carità alla massima perfezione. È quello della Sapienza. Se, infatti, la Carità è la più grande delle virtù, la Sapienza è il più grande dei doni1.
Quale definizione dare alla Sapienza? Prendiamo quella che ci offre Antonio Royo Marín nella sua famosa Teologia della perfezione cristiana: «Il dono della sapienza è un abito soprannaturale inseparabile dalla carità, per cui giudichiamo rettamente di Dio e delle cose divine nelle loro ultime e altissime cause, sotto uno speciale istinto dello Spirito Santo che ce le fa gustare per una certa connaturalità e simpatia»2.
Come tutti i doni, la Sapienza è inseparabile dallo stato di Grazia ed è dunque incompatibile con il peccato mortale: «La sapienza non entra in un’anima che opera il male né abita in un corpo schiavo del peccato» (Sap 1,4).
È per questo che ci sono molti intellettuali, cioè persone avvezze a leggersi libri e libri, che sanno molte cose, le quali però non riescono a cogliere la logica e la bellezza della Fede. Spesso ce ne stupiamo e pensiamo: Ma è possibile che quell’uomo che sa tante cose, che ha un’intelligenza così spiccata, che possiede talenti intellettuali notevoli, non riesca a capire quanto è bella la Verità cattolica?... La spiegazione sta proprio nel fatto che avere grande intelligenza non significa automaticamente possedere grande Sapienza.
Ed è anche per questo che ci sono anche tanti conoscitori di Teologia (molti sacerdoti e consacrati) che dicono enormi sciocchezze in tema di Fede, e che non riescono a capire quante convinzioni che oggi vanno per la maggiore siano distruttive per la Fede stessa. Quante volte succede di sentire sacerdoti che di fatto negano le fondamentali Verità della Fede, pur continuando ad essere sacerdoti. Verrebbe da dire: Ma a che pro? Perché rimanere nella Chiesa se si nega la Chiesa?
Ebbene, tutto questo può essere spiegato dalla perdita del dono della Sapienza, dono che – come abbiamo detto – ha bisogno dello stato di Grazia ed è incompatibile con il peccato mortale. San Tommaso d’Aquino (1225-274) scrive: «[...] la sapienza importa una certa rettitudine del giudizio secondo le ragioni divine. Ora la rettitudine del giudizio deriva o dal perfetto uso della ragione o da una certa connaturalità tra chi giudica e le cose che deve giudicare. E così vediamo che mediante la ragione discorsiva giudica rettamente delle cose che riguardano la castità colui che possiede la scienza morale; ma, per una certa connaturalità di questa virtù, giudica rettamente anche colui che pratica abitualmente la castità. Così pure giudicare rettamente delle cose divine mediante la ragione discorsiva appartiene alla sapienza, in quanto è una virtù intellettuale; ma giudicare rettamente delle cose divine per una certa connaturalità con esse, appartiene alla sapienza in quanto dono dello Spirito Santo [...]»3.
Ma in cosa si distingue il dono della Sapienza?
Ecco la risposta: mentre il dono dell’Intelletto è un intuire profondamente le Verità della Fede, ma sul piano della semplice conoscenza senza giudicare, il dono della Sapienza è la capacità di giudicare ciò che si conosce, un giudicare riguardo le cose divine. In realtà, anche il dono della Scienza e quello del Consiglio sono un giudicare, ma per il primo il giudizio riguarda le cose create, per il secondo riguarda le nostre azioni.

Non solo giudicare... ma anche gustare

Non dobbiamo però credere che questo dono si limiti a farci giudicare ciò che si conosce delle cose di Dio e di Dio stesso. No, la Sapienza è un giudicare che si apre al gustare le cose di Dio e soprattutto Dio stesso.
Approfondiamo questo discorso perché è importante. Quando si conosce veramente Dio non si può mai rimanere su un piano puramente conoscitivo. Dio non è un’“idea”, bensì una Persona e a contatto con la sua Persona, deve scaturire l’amore. È questo il motivo per cui i Santi Dottori, studiando Dio, non solo avvertono crescere il loro amore per il Signore, ma si sentono inebriati di dolcezza e di gusto. E non riescono a capire come si faccia da parte di molti a non capire quanto è bello “studiare” Dio e le sue cose.
È risaputo che san Tommaso d’Aquino soleva studiare e scrivere dinanzi al Santissimo Sacramento. Molti dicono ch’era per prendere lumi, cioè per farsi ispirare dal Signore, per rendere più facile e più efficace il proprio studio. Sì era anche per questo, ma quasi sicuramente c’era anche dell’altro: per evitare che quello studio si riducesse a puro esercizio intellettuale e non fosse sostanziato dall’amore e dall’invocazione della presenza di Dio.

Non tanto dedurre... quanto intuire

La conoscenza teologica si basa fondamentalmente sulla deduzione, quella della Sapienza, invece, fondamentalmente sull’intuizione.
La Sapienza è come una sorta di “chiave” che apre immediatamente tutto. Senza che sia necessaria una previa preparazione. Quante volte succede d’incontrare delle anime semplicissime, che non hanno studiato Teologia, eppure palesano una capacità di cogliere immediatamente il senso delle cose; non solo di dare dei consigli utilissimi sul piano spirituale, ma anche di comprendere saggiamente le Verità della Fede. Un caso celebre fu quello di san Crispino da Viterbo (1668-1750) che prima di entrare in convento era un umile calzolaio. Entrò in Religione, non divenne sacerdote perché non aveva la possibilità di studiare, e rimase un semplice frate, ma aveva tanta di quella Sapienza che divenne un ricercato consigliere di preti, Vescovi e perfino Papi. Santa Faustina Kowalska (1905-1938) lo dice chiaramente: «Una parola di un’anima unita a Dio procura più bene alle anime che eloquenti dibattiti o prediche di un’anima imperfetta»4.
È per questo che tutte le anime sante hanno sempre manifestato un’affezione alla Tradizione senza lasciarsi influenzare da mode teologiche inopportune... e, per i nostri tempi, la capacità di cogliere la tragedia della crisi della Fede e della Chiesa.

Non solo Dio... ma anche ricondurre tutto a Dio

I medioevali concepivano il sapere come reductio ad unum, ovvero come capacità di studiare sì autonomamente i vari settori della realtà, ma nello stesso tempo di “leggere” la realtà come qualcosa che rimandasse oltre, cioè alla sua ultima origine, quindi a Dio.
Per loro tutto aveva una valenza simbolica. Ogni cosa che formava la quotidianità doveva ricondurre ad un senso che ne imponeva in un certo qual modo la scoperta. Si pensi a generi letterari come i bestiari, i floreari, gli erbari... Insomma, ogni cosa non esiste a caso, ma rimanda ad un significato che è oltre se stessa.
Ebbene, tutto questo altro non era che la diffusione in un ambito generale del dono della Sapienza. Un dono che è dato sì alle singole anime, ma che veniva richiamato anche da una cultura permeata della Verità cattolica. (Continua)

Note
1) A. Royo Marín, Teologia della perfezione cristiana, n. 262
2) Ivi, n. 263.
3) Ibidem.
4) Santa Faustina Kowalska, Diario, n. 1595.

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