RELIGIONE
Gli esordi della Vita consacrata
dal Numero 10 del 12 marzo 2017
di Elena Nobis

Attorno a Gesù si raduna la prima comunità religiosa maschile, e parallelamente una femminile. La Vita consacrata, intesa prima come fedeltà fino al martirio e poi come professione, si estenderà dall’epoca apostolica fino a noi, e non verrà mai meno, secondo l’insegnamento della Chiesa.

Le prime esperienze monastiche della Cristianità

Alcuni sostengono che la Vita consacrata sorge nel III secolo. La questione è stata piuttosto dibattuta nel corso dei secoli fino al Vaticano II, con conseguenze non indifferenti anche in campo ecclesiologico. Su tale asserto, infatti, ci si basava per negare l’origine divina della vita religiosa. Il Vaticano II, in Lumen gentium (n. 44), e ancora più luminosamente Vita consecrata (n. 29) (1), invece, sostengono il contrario, affermando che essa è un’istituzione d’origine divina, e non umana, perché ripresenta la vita del Figlio di Dio. E Vita consecrata aggiunge che per questo motivo essa non potrà mai aver fine (n. 29).
Benché la Vita consacrata propriamente detta s’inauguri con Gesù Cristo, i Santi Padri ne rinvengono le radici già nell’Antico Testamento. San Girolamo, ad esempio, in una sua lettera fa riferimento ai «figli dei profeti, che erano chiamati monaci, nell’Antico Testamento» (Epist. CXXV). Altro esempio è la profetessa Anna, la quale, rimasta vedova in giovane età, aveva dedicato tutta la sua vita al servizio nel Tempio, meritando così di poter vedere il Salvatore (cf. Lc 2,25-38).
Con Gesù inizia la Vita consacrata: Cristo è il Consacrato del Padre, in cui le Scritture si compiono (cf. Lc 4,21). Attorno a Lui si raduna la prima comunità religiosa, formata dai Dodici, che lasciano tutto per seguirlo. Vi è anche, però, una comunità femminile primordiale, costituita dalle pie donne (cf. Lc 8,23), che assistono con i loro beni Gesù e i Discepoli e seguono il Maestro fino al Calvario (cf. Mt 27,55). Per primo, Gesù risorto appare ad alcune donne, che poi invia come “apostole”, ad annunciare la sua Risurrezione agli Undici. Emblematiche, poi, per la loro devozione verso Nostro Signore Gesù Cristo, sono: la peccatrice (cf. Lc 7,36-50) che lava i piedi di Gesù con le sue lacrime; Marta e Maria (cf. Gv 12,1-8); la Maddalena che cosparge i piedi di Gesù di nardo (cf. Mt 26,8); la vedova che offre nel Tempio la sua povera elemosina (cf. Mc 12,42-44); le donne cui accennano gli Atti: «Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù» (1,14). Come notano i Santi Padri, se Gesù lavò i piedi ai suoi Discepoli, nessuno di loro e nessun altro uomo rese mai un omaggio simile o altri servigi al Maestro divino, se non le donne.

Le vergini e le vedove consacrate

Nelle Lettere pastorali di san Paolo, si parla delle vergini consacrate e delle vedove, che sono le prime forme di Vita consacrata in epoca apostolica. Tuttora sono presenti nella Chiesa l’Ordo virginum e l’Ordo viduarum, che si rifanno a queste prime forme di Vita consacrata.
Nei primi secoli del Cristianesimo fino all’editto di Milano (313 d.C.), promulgato da Costantino, che oltre a garantire libertà di culto ai Cristiani proclamava il Cristianesimo come religione ufficiale, l’ideale della verginità si coniuga al martirio. Spesso molte vergini vanno incontro al martirio perché, oltre a professarsi Cristiane, hanno scelto di conservarsi illibate per Cristo, rifiutando le nozze terrene. Quindi, possiamo dire con certezza che, se dichiararsi Cristiani equivaleva ad andare incontro al martirio, questo era tanto più vero per le vergini che, rifiutando di maritarsi, venivano denunciate come Cristiane. Spesso erano i genitori, che avevano sperato in matrimoni convenienti per le loro figlie, ad accordarsi con le pubbliche autorità perché la figlia venisse giustiziata. La vergine cristiana, allora, rinnegando il primato dei vincoli di sangue, e in esso la morale pagana, andava incontro alla morte per conservarsi pura per Cristo, che considerava sposo della sua anima. La predilezione della vita verginale sulle nozze terrene diviene dunque emblematica della scelta tra Cristianesimo e paganesimo.
A partire dal II secolo si comincia a concepire la verginità come una professione e, nel III secolo, coloro che abbracciano tale scelta sono indicate con gli appellativi: vergini sante, vergini sacre, spose di Cristo, serve di Dio, donne di Dio e, infine, religiose. Alcuni Padri della Chiesa ne hanno un concetto così alto da assegnare, in Paradiso, alle vergini il posto più vicino al Cuore di Cristo. Si viene a creare una sorta di gerarchia: la pienezza della gioia è riservata alle vergini, alle vedove che si mantengono pure i due terzi, mentre soltanto un terzo toccherà alle donne che hanno scelto il Matrimonio. Nei primi secoli uomini e donne condividono il medesimo ideale della castità, ma la letteratura patristica lo identificherà soprattutto nelle vergini.
Per quanto riguarda le vedove non esisteva un rituale di consacrazione: s’imponeva loro soltanto d’indossare un velamen e non potevano più contrarre un nuovo Matrimonio. Le vergini, invece, emettevano un propositum virginitatis nelle mani del Vescovo che le consacrava e da cui ricevevano il velo (velatio) (2). Alcune vivevano in famiglia altre cominciarono a radunarsi per far esperienze di vita in comune.
Fin dai primi secoli alcuni Imperatori emanarono leggi volte a proteggere e tutelare nel loro propositum virginitatis le virgines sacrae, specie quelle che vivevano in famiglia, le quali, alla morte del padre e dei fratelli, si sarebbero potute trovare in serio pericolo. Ricordiamo, in particolare: il decreto emanato nel 343 da Costanzo, figlio di Costantino, che proibiva di offrire vergini consacrate alla prostituzione di professione; provvedimenti che riscontriamo sotto Costanzo, Gioviano (364ca.), Onorio (420ca.), Maioriano (458ca.), rivisti e resi ancor più severi da Giustiniano (528), contro chi avesse tentato di rapire una virgo sacra per farle contrarre matrimonio. Giustiniano comminava la pena capitale per il rapimento di una vergine consacrata; chi sorprendeva il rapitore in flagrante poteva ucciderlo direttamente, mentre chi gli avesse dato asilo sarebbe potuto andare incontro alla confisca dei beni e perfino alla pena di morte. Infine, la cosiddetta Sanctio Pragmatica, promulgata sempre sotto Giustiniano, sanciva la non validità di matrimoni contratti, durante il Regno ostrogoto, con donne dedite a vita ascetica. In quel caso le virgines avrebbero dovuto far ritorno alla propria comunità, anche se non lo desideravano più, mentre eventuali beni sarebbero tornati alla comunità o devoluti alla Chiesa. Altri decreti volti a proteggere le vergini riguardavano, inoltre, il diritto di proprietà e di successione.
Anche la Chiesa manifestava la propria vicinanza alle virgines sacrae, come si evince dal fatto che tale forma di vita veniva raccomandata e favorita da insigni personalità del mondo ecclesiastico, quali, sant’Ambrogio, Vescovo di Milano, san Zenone, Vescovo di Verona, san Massimo, Vescovo di Torino, e Papa Damaso a Roma. Essi non figurano soltanto come consecratores, ma sono autori anche di numerose prediche e scritti in cui sostengono l’ideale ascetico. Si rinviene, inoltre, una normativa con disposizioni canonistiche e papali in riferimento alle virgines sacrae, a partire da: Damaso I (366-384), Innocenzo I (401-417), Leone I (440-461), Gelasio I (492-496), Simmaco I (448-514), Hormisdas (514-523), fino a Gregorio Magno (590-604), in cui si determinava il grado e il tipo di pena in caso di mancata ottemperanza agli obblighi derivanti dalla consecratio.
All’inizio del Medioevo, però, venne meno la presenza di virgines consecratae viventi fuori dai Monasteri; le Monache venivano considerate come le uniche legittime eredi delle antiche virgines consacratae e gli Statuta generalia monialium dichiaravano che «le solenni antiche formule di consacrazione delle Vergini, che si trovano nel Pontificale romano, sono riservate alle monache» (3). Il Concilio Lateranense IV (1215), infatti, aveva proibito la consacrazione di vergini nel mondo, e tale rimarrà la situazione fino al Vaticano II che riporterà in auge l’Ordo virginum, l’Ordo viduarum e la vita eremitica. Scriveva, infatti, in proposito René Metz, uno dei maggiori studiosi della consecratio virginum, circa l’opportunità di accedere al rito: «Rare furono le vergini cristiane che vivevano nel mondo, che dopo l’XI secolo ricevettero la consacrazione. La cerimonia resterà in uso ancora qualche secolo nei monasteri [...]. Occorrerà attendere la seconda metà del XIX secolo perché il rito liturgico della consacrazione delle vergini ritrovi un risveglio di interesse. Ma questo ritorno della consacrazione delle vergini non riguarderà che le monache. Per le persone che condividono la vita degli altri fedeli, occorrerà attendere ancora qualche decennio» (4). In effetti, grazie al rinnovamento monastico a cui aveva dato impulso Dom Guéranger, il “Rito della Consacrazione delle Vergini” secondo il Pontificale romano fu di nuovo celebrato il 15 agosto 1868, ma solo per alcune Monache dell’Ordine di San Benedetto; si trattava di sette Monache. La pratica si diffuse tra i Monasteri. Il legame tra la consecratio virginum e la vita monastica fu riaffermato anche da Pio XII nel 1950 nella Costituzione Sponsa Christi.

Eremitismo e cenobitismo

Già nel II e III secolo vi sono alcuni uomini e donne che si ritirano in luoghi solitari per sfuggire alle persecuzioni: sono i primi asceti. Lo studioso Philibert Schmitz (5), cui si deve la storia dell’Ordine Benedettino dalle origini al Novecento, afferma, inoltre, che i Monasteri femminili sono più antichi rispetto a quelli maschili, riferendone la presenza in Egitto già a partire dalla metà del II secolo. Anche studi più recenti rilevano l’esistenza di comunità femminili anteriormente a quelle maschili.
Con il cessare delle persecuzioni i Cristiani si domandano come testimoniare la loro appartenenza a Cristo, come dare la vita per Lui. Nasce il concetto di martirio bianco, secondo il quale è possibile donarsi totalmente a Cristo consacrandogli tutta la propria vita. La Chiesa diventa progressivamente la Religione di Stato, la forma per professare la sola fede nell’unico Dio. Il passaggio dalle persecuzioni alla tolleranza, e poi alla legittimazione, porta in sé un inevitabile e latente rilassamento nei costumi, a cui tenta di porre un argine il movimento laicale del monachesimo, che si presenta nella storia come una protesta silenziosa ed eroica al clima diffuso della società, e quindi della Chiesa. Sono uomini e donne che si ritirano in zone desertiche dell’Egitto, Siria e Palestina per condurre vita eremitica in preghiera e penitenza. Si fa strada la concezione della fuga mundi come risposta concreta per sottrarsi alla corruzione dei costumi, ormai dilagante nella Cristianità, e per seguire Cristo in una vita rinnovata dalla preghiera e dalla penitenza. Non è nuova la vita ascetica, solitaria, dedicata ad alti ideali; se ne conoscono forme in tempi storici ancora più antichi (ad esempio Pitagorici ed Esseni), ma è nuovo piuttosto il riferimento assoluto a Gesù.
Inizialmente il monachesimo si configura come un fenomeno popolare non organizzato, e nemmeno voluto dalla gerarchia della Chiesa, che muove da iniziative personali secondo le circostanze e le ispirazioni dei singoli iniziatori.
Pur non esistendo ancora i voti, si può dire che di fatto si vivessero già i consigli evangelici. In particolare: Vergini consacrate, Anacoreti e Monaci vivevano una vita celibataria, preludio del voto di castità. Con la pratica dell’ascesi, volta a raggiungere il completo distacco dai beni terreni, si preannunciava il voto di povertà, mentre con la sottomissione di una comunità di Monaci al proprio Abate, e quindi a un’autorità, si anticipava il voto di obbedienza. Aspetti caratteristici della vita monastica, fin dai primordi, sono: la separazione dal mondo, l’obbedienza, i ritmi e gli orari della preghiera, la preghiera continua, la lettura e la meditazione, l’importanza del silenzio e della hesychia o silenzio integrale, cui si giunge attraverso la fuga del mondo e il silenzio.  

NOTE
1) Giovanni Paolo II esplicita e puntualizza ancora meglio tali concetti. «Alla luce del Concilio – scrive il Romano Pontefice – si è preso atto che la professione dei consigli evangelici appartiene indiscutibilmente alla vita e alla santità della Chiesa. Questo significa che la vita consacrata, presente fin dagli inizi, non potrà mai mancare alla Chiesa come suo elemento irrinunciabile e qualificante, in quanto espressivo della sua natura. [...]. La concezione di una Chiesa, composta unicamente da ministri sacri e da laici, non corrisponde pertanto all’intenzione del divino Fondatore, quale ci risulta dai Vangeli e dagli scritti neotestamentari».
2) PIO XII, Costituzione Apostolica Sponsa Christi, 21 novembre 1950, in AAS, 43 (1951) 5-24: «Questa mistica consacrazione delle vergini a Cristo e questa dedizione alla Chiesa, nei primi secoli del cristianesimo s’andava svolgendo spontaneamente, e più ancora nei fatti che nelle parole. Quando poi le vergini formarono non solo una classe, ma uno stato ben definito e un ordine riconosciuto dalla Chiesa, la professione della verginità cominciò a emettersi pubblicamente, e ad essere sempre più rafforzata da un vincolo ancora più stretto. In seguito la Chiesa, quando accettava il santo voto o proposito di verginità, consacrava la vergine come persona unita inviolabilmente a Dio e alla Chiesa con un rito così solenne, che giustamente viene classificato tra i più belli dell’antica liturgia; e la distingueva chiaramente da quelle che si offrivano a Dio solo con vincoli privati».
3) Entrambi questi documenti portano la data del 21 novembre 1950 per ristabilire nella disciplina di tutta la Chiesa gli elementi canonici essenziali della figura della vita contemplativa monastica.
4) René Metz, La consécration des vierges. Hier, aujourd’hui, demain, Paris, Éd. du Cerf, 2001, p. 121.
5) P. Schmitz, Histoire de l’ordre de saint Benoît, 7 voll., Maredsous, 1942-1956.

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