APOLOGETICA
Cicerone... un filosofo che preannuncia il Vangelo
dal Numero 33 del 28 agosto 2016
di Corrado Gnerre

Per essere dunque non solo informati sull’attualità – cosa che resta imprescindibile per chi voglia dedicarsi all’apostolato – è bene usare il tempo libero anche per l’approfondimento culturale (e spirituale) sia con i libri che con le riviste di formazione...

Tempo fa già parlammo di Cicerone come filosofo. Riparliamone, perché ciò che egli dice non solo è importante in sé, ma fa anche capire quanto la Provvidenza abbia preparato accuratamente il terreno per l’avvento del Cristianesimo. Non dimentichiamo che Cicerone visse a ridosso dell’Incarnazione: nacque nel 106 a.C. e morì nel 43 a.C.
Ritorniamo, dunque, su Cicerone, ma aggiungendo ovviamente qualcosa rispetto a ciò che dicemmo tempo fa.

Eclettico... ma fino ad un certo punto

I libri ci dicono che Cicerone fu un eclettico, scelse e fuse gli elementi migliori di tutti i pensatori greci (particolarmente di Platone, Aristotele e delle scuole a loro successive), ma non si limitò a questo. Egli scrisse nel De officiis: «Noi ci atterremo al nostro principio fondamentale e, per nulla vincolati ai princìpi d’una scuola particolare, cui necessariamente dovessimo in fatto di filosofia ubbidire, ricercheremo sempre quale sia in ciascuna cosa la maggiore probabilità». 

Dio esiste ed è la ragione di tutto

Ma Cicerone fece molto di più che ancorarsi all’eclettismo... e di questo pochi ne parlano.
Per lui l’eclettismo era solo un mezzo per raggiungere il fine e l’oggetto della sapienza, intesa come scienza di tutte le cose umane in intimo (e qui sta davvero la sua sapienza) rapporto con Dio. Egli era convinto che l’uomo venisse da Dio e attuasse la sua vita terrena nell’ansia naturale di ritornare a Lui. Una convinzione di questo tipo vale molto di più di tutte le cose scritte in migliaia e migliaia di libri.
Come gli stoici, Cicerone è convinto che Dio sia Ragione universale e Provvidenza e, sempre come gli stoici, concepisce il mondo ordinato finalisticamente... e così dà il ben servito tanto ad Epicuro quanto all’atomismo. Leggete cosa dice nel De natura deorum: «Come non dovrei meravigliarmi che vi sia un uomo capace di credere che elementi solidi e indivisibili, muovendosi di propria forza e aggregandosi a caso fra loro, diano origine a questo mondo pieno di tanta armoniosa bellezza? Chi crede possibile questo, non capisco perché non creda possibile pure che, seminando alla rinfusa una certa quantità di lettere dell’alfabeto, queste si disporrebbero per terra in modo da comporre leggibilmente il testo degli “Annali” di Ennio». E non basta, leggete ancora dal De natura deorum: «Mi pare, insomma, che chi tanto infondatamente sragiona sulla creazione del mondo non abbia mai gettato un’occhiata alla meravigliosa bellezza dei cieli. Per me io rinunzio ad ogni altro troppo elaborato tentativo di spiegazione: mi basta contemplare con gli occhi la bellezza del creato, quale prova della divina provvidenza che lo governa».

L’uomo? Anima e corpo

Cicerone ammette inoltre che l’uomo è costituito tanto di corpo quanto di anima, quest’ultima però divisa in due parti. Una irrazionale (cioè priva della ragione) che si identifica con l’anima vegetativa e sensitiva, pertanto legata al corpo e che muore con il corpo. L’altra invece razionale (intellettiva), infusa da Dio stesso e quindi immortale. C’è da dire però che Cicerone in questo discorso non si allontana (anzi!) dal platonismo, infatti sostiene che nell’anima albergherebbero le idee innate.
Cicerone afferma che l’uomo deriva da Dio e ha un insopprimibile desiderio di ritornare a Lui. Anzi: questo desiderio deve animare l’elaborazione di tutte le leggi positive, cioè fatte dallo Stato.

La legge naturale: non c’è capriccio che tenga!

Ma l’importanza di Cicerone è in ciò che intuì. Si tratta di un qualcosa che sarà importantissimo per la comprensione della filosofia successiva, specialmente quella medioevale, il Diritto di Natura (ius naturae). Il Nostro riconosce nell’anima umana un’intima “ragione”: la legge naturale, la quale è superiore ad ogni “capriccio individuale”, e che individua oggettivamente ciò che è bene e ciò che è male. Scrive nel De re publica: «Vi è certo una vera legge, la retta ragione conforme a natura, diffusa tra tutti, costante, eterna, che col suo comando invita al dovere, e col suo divieto distoglie dalla frode [...]. A questa legge non è lecito apportare modifiche né toglierne alcunché né annullarla in blocco, e non possiamo esserne esonerati né dal senato né dal popolo [...]; essa non sarà diversa da Roma ad Atene o dall’oggi al domani, ma come unica, eterna, immutabile legge governerà tutti i popoli ed in ogni tempo, ed un solo dio sarà comune guida e capo di tutti: quegli cioè che ritrovò, elaborò e sanzionò questa legge; e chi non gli  obbedirà, fuggirà se stesso e, per aver rinnegato la natura umana, sconterà le più gravi pene, anche se sarà riuscito a sfuggire a quegli altri che solitamente sono considerati supplizi».
Insomma, per Cicerone, Dio è il primo e infallibile legislatore che sapientemente governa il mondo e imprime nella natura umana le leggi di verità, di ordine e di giustizia universale. Altro che filosofo di serie B!

La legge naturale salva dalla dittatura del desiderio e dall’utilitarismo

Dalle legge deriva quel dovere che contrasta inevitabilmente la tirannia degli istinti. Altro che dittatura del desiderio così come domina nei nostri tempi!
Ma non basta. Cicerone condanna anche non solo l’immoralità, ma anche la stoltezza di qualsivoglia utilitarismo. L’utile – dice – non può smarcarsi dalla Verità e dalla Virtù. Un utile che sia solo un proprio tornaconto a discapito del Vero e del Giusto, non è più “utile” all’uomo, bensì diventa la sua condanna. D’altronde già lo abbiamo letto nella citazione tratta dal De re publica: colui che va contro la legge morale deve prepararsi alla più dura condanna eterna.
Ma, a proposito di come non può esserci utile senza Verità e Virtù, sentite cosa dice nel De officiis: «Molto spesso si erra nella cosa pubblica per l’apparenza dell’utile. Ma nessuna cosa crudele è mai utile; la crudeltà infatti è sommamente nemica dell’umana natura, a cui noi dobbiamo conformarci. Tanta è la forza dell’onestà che oscura qualsiasi apparenza di utile. Temistocle in un’assemblea pubblica disse di avere un disegno che era salutare per lo Stato, ma che era necessario non renderlo noto a tutti; e chiese che il popolo scegliesse qualcuno a cui egli l’avrebbe comunicato. Fu scelto Aristide; a questo egli disse che si sarebbe potuta incendiare a tradimento la flotta degli Spartani che era in secco a Giteo, con che la potenza lacedèmone sarebbe stata distrutta. Aristide, udito ciò, rientrò nell’assemblea, tra la grande aspettazione universale, e disse che il disegno di Temistocle era utilissimo ma assolutamente disonesto. E gli Ateniesi pertanto giudicarono che quello ch’era disonesto non era neppure utile e respinsero nettamente quel disegno che neppur conoscevano».

Padre del “senso comune”

E non finisce qui. Prima abbiamo detto che la sua novità fu aver intuito lo ius naturae, ma c’è nel suo pensiero una novità che è ancora più novità, la geniale intuizione del “senso comune”, da lui chiamato sensus communis o consensus gentium. La definizione è: l’insieme di quelle certezze di fatto e di principio che sono comuni ad ogni uomo e che non hanno bisogno di dimostrazione.
Nella natura umana vi sono princìpi e verità innate su cui nessun uomo può discordare. Per esempio, c’è bisogno di dimostrare che per rincasare e fare meno fatica conviene percorrere la strada più corta invece di quella più lunga? C’è bisogno di dimostrare che per versare il vino nel bicchiere bisogna piegare la bottiglia? C’è bisogno di dimostrare che l’acqua bagna e il sole asciuga?... e c’è bisogno di dimostrare che quando nego l’esistenza della verità oggettiva implicitamente ne ammetto l’esistenza?
Insomma, un ottimo filosofo... questo Cicerone!

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