APOLOGETICA
La letteratura di Camus
dal Numero 18 del 8 maggio 2016
di Corrado Gnerre

La poetica di Camus si fonda sull’assurdo e invalicabile abisso che separa l’io e il mondo determinando l’insensatezza del vivere. Se così è, occorre allora un Significato che dia senso al vivere umano, cioè che faccia da ponte tra l’io e il mondo, e nello stesso tempo non sia uno di essi...

Il critico letterario Giovanni Macchia (1912-2001) scrive che molti hanno riconosciuto in Albert Camus (1913-1960) un autore che schiude “orizzonti di suicidio”, ma aggiunge anche che se è vero che la letteratura di Camus è una letteratura di dissoluzione, di sottolineatura dell’assurdità del vivere, è pur vero che essa non vorrebbe essere un invito ad assecondare tale dissoluzione, bensì a costruire qualcosa di nuovo, di più “vero”, di più “significativo”. Macchia, parlando di Camus, allude a Cartesio. Come questi non si è lasciato irretire dal dubitare di tutto, ma anzi ha trovato nel “dubbio metodico” il volano per la costruzione di un nuovo sapere, così Camus farebbe nel campo letterario la stessa cosa: parte dall’assurdità del vivere, non per nullificare l’esistere bensì per ricostruirlo.
Ma – chiediamoci – è davvero accettabile una posizione di questo tipo? È, questa, una posizione umanamente vera? È davvero possibile ricostruire il vivere partendo dalla sua assurdità?
Prima però di rispondere alla domanda che ci siamo appena posti, vediamo perché la letteratura di Camus è tutta orientata verso l’affermazione dell’assurdità del vivere.
Si potrebbe far riferimento ad un suo famoso saggio, Il mito di Sisifo, del 1942, ma concentriamoci soprattutto sul suo famoso romanzo, Lo Straniero, anch’esso del 1942. La trama è questa. Meursault è un modesto impiegato di Algeri. Questi riceve la notizia della morte della madre ricoverata in ospizio a Marango a ottanta chilometri dalla capitale. Vi si reca, ma partecipa con distacco al funerale e sbriga ogni formalità. Tornato ad Algeri, incontra Marie, che era stata sua collega. Con lei trascorre il giorno e la notte. Poi, come se nulla fosse accaduto, riprende la vita di sempre, con la stessa estraneità e indifferenza, fino al verificarsi di un evento imprevedibile. È domenica e sta su una spiaggia con l’amico Raymond Santes. I due incontrano un arabo che qualche tempo prima, per vendicare una donna, aveva accoltellato l’amico Raymond. Accecato dal sole, gli sembra che l’arabo impugni un coltello e spara colpendolo più volte. Ai giudici che tentano di capire il suo gesto, Meursault non sa dare spiegazioni se non che ha ucciso a “causa del bruciore” insopportabile del sole. Viene condannato alla ghigliottina. Nella cella della morte, a colloquio con il cappellano, rifiuta di affidarsi a Dio e a questa speranza, che considera solo un’illusione, oppone la lucida accettazione del destino e della morte.
Ebbene, in questo romanzo il deliberato appiattimento del protagonista, che viene descritto privo di spessore psicologico, senza passato e senza futuro, ridotto alla somma delle sue sensazioni, rivela la profonda estraneità dell’individuo a se stesso e agli altri. Alla realtà percepita come assurda e inutile, il protagonista oppone un’assenza, un vuoto, un fallimento. Lo stesso motivo per cui ha ucciso è assurdo: così come è assurdo anche il rifiuto di accettare un affidamento a Dio, tramite il cappellano delle carceri, prima dell’esecuzione.
Insomma, l’assurdo in Camus è dato dall’abisso invalicabile tra l’io e il mondo. L’assurdo è dato dal fatto che l’uomo avverte il mondo estraneo ed ostile. Egli scrive ne Il mito di Sisifo: «L’estraniazione ci coglie: la percezione dell’imperscrutabilità del mondo, la sensazione di quanto un macigno sia a noi estraneo e impenetrabile e l’intensità con la quale la natura o un paesaggio ci respingono... Il mondo ci sfugge: torna ad essere se stesso». L’assurdo consiste nella frattura fra l’aspirazione dell’uomo ad unità. C’è un “senso” ed una “chiarezza” che il mondo nega. Egli scrive ancora, sempre ne Il mito di Sisifo: «L’assurdo nasce da questa contrapposizione fra l’uomo che domanda e il mondo che assurdamente tace».
Mentre in Sartre il bene e il male sarebbero entrambi espressioni di libertà, in Camus l’esperienza conduce alla condizione dell’uomo in rivolta. Egli scrive ad un amico: «Continuo a credere che questo mondo non ha senso superiore. Ma so che qualcosa in esso ha senso ed è l’uomo, perché è il solo essere che esige di averne. Questo mondo ha per lo meno la verità dell’uomo e il nostro ruolo è dargli le sue ragioni contro lo stesso destino». Da qui si capisce come Camus sia poi arrivato a riflettere sul significato della salvezza come sforzo collettivo di amore e come solidarietà, intesa come coesione degli uomini dinanzi ad un comune pericolo.
Insomma, Camus afferma che malgrado l’“assurdo” l’uomo può rimanere tale: può in un certo qual modo essere “risposta a se stesso”. Camus è convinto che nella totalità dell’assurdo vi sia un valore: ed è la vita. Perché la vita non può negare l’“assurdo” senza negare se stessa. Il destino dell’uomo consisterebbe nel prendere su di sé il dolore in un mondo privo di senso e senza alcun dio.
La grande contraddizione però è che l’uomo dovrebbe riconoscere la propria umanità come “senso” e nello stesso tempo dovrebbe riconoscere la profonda estraneità dell’individuo a se stesso. Lo ricordiamo: nel romanzo Lo straniero il deliberato appiattimento del personaggio, privo di spessore psicologico, senza passato e senza futuro, ridotto alla somma delle sue sensazioni, rivela la profonda estraneità dell’individuo a se stesso e agli altri. Alla realtà percepita come assurda e inutile, il protagonista oppone un’assenza, un vuoto, un fallimento.

Camus ha scritto ne L’estate: «Quando si è avuta una volta la fortuna di amare intensamente, si spende la vita a cercare di nuovo quell’ardore e quella luce».
Qui Camus dice una cosa vera. È il tema della nostalgia che pone all’uomo la grande questione dell’impossibilità di trovare in se stesso la risposta. La nostalgia, infatti, implica due prospettive: quella del vissuto, cioè non si può avere nostalgia di ciò che non si è vissuto e quella del desiderio, ovvero non si può avere nostalgia se non di ciò che si desidera e quindi non si ha.
La nostalgia può trovare uno spiraglio solo nell’esperienza della speranza. La speranza che possa ritornare ciò che si è vissuto. E qui – dobbiamo dirlo – la poetica del Camus è poco rispondente alla struttura umana, malgrado la frase che abbiamo appena letta: «Quando si è avuta una volta la fortuna di amare intensamente, si spende la vita a cercare di nuovo quell’ardore e quella luce».
Paragoniamo quella di Camus ad un’altra poetica, che ugualmente pone tutta se stessa nell’ineluttabilità dell’“assurdo” (quindi è anch’essa senza speranza), però, a differenza di quella del Poeta francese, si presenta più “onesta”. È la poetica di Pavese, che è poetica della vera nostalgia. Pavese nel romanzo La luna e i falò (1950) – ma non solo in questo romanzo – pone l’alternativa tra il vivere dell’infanzia e il vivere dell’adulto con le sue relazioni (per Pavese la solidarietà relazionista non è una soluzione, anzi). È interessante il fatto che Pavese dica che quando si ritorna in un posto (è il tema de La luna e i falò) anche se il luogo è rimasto lo stesso, non potrà mai esserci un vero appagamento della nostalgia perché ormai è cambiato lo sguardo, e con lo sguardo è cambiato il proprio vivere, è insomma penetrato quel “vizio assurdo” per cui non è più ritrovabile lo stupore, la gioia di un tempo.
Ma cosa è lo stupore? È la meraviglia per ciò che si pone dinanzi quando però questo provoca un’armonia, cioè un ritrovarsi. Il ritrovarsi è il sentirsi compreso e risolto. Ed è proprio il contrario del «non ritrovarsi dell’individuo in se stesso». È proprio il contrario dell’“abisso invalicabile tra l’io e il mondo”.
Ritrovarsi in ciò che ci sta dinanzi vuol dire trovare un Significato in ciò che ci sta dinanzi.
Se – come dice Camus – l’abisso invalicabile è tra l’io e il mondo, occorre un Significato che unisca l’io e il mondo, ma che non sia né l’io né il mondo. Occorre un significato che può essere soltanto Dio!

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