ATTUALITÀ
Aborto di stato VS obiezione di coscienza
dal Numero 14 del 7 aprile 2013
di Alfredo De Matteo

Gli obiettori di coscienza prendono il sopravvento a sfavore dell’aborto. Ma forse ancora per poco: il rifiuto di praticare l’aborto sarebbe diventato una forma di tortura!

    Ogni ora, ogni giorno da oltre trent’anni, decine, centinaia di bambini cadono vittime dell’odioso crimine dell’aborto di Stato, reso legale dalla sciagurata legge 194/1978. Nessuna pietà per le creature non nate, da parte di una società che si riempie la bocca di diritti e di solidarietà ma che non esita un solo istante ad affondare il coltello nelle carni martoriate di esseri umani innocenti ed indifesi. Non solo, chi si azzarda ad alzare la voce in difesa dei nostri fratelli più piccoli è tacciato di integralismo o di fanatismo religioso e additato come pericoloso criminale! Eppure, da qualche anno a questa parte gli sporchi affari degli abortisti non vanno poi così bene, malgrado tutto. Infatti, un numero sempre maggiore di medici si dichiara obiettore di coscienza, tanto che sulla base dei dati forniti dal Ministero della Salute i non obiettori sono divenuti una specie in via d’estinzione mentre i nostri sono passati dal 58,7% del 2005 al 70,7% del 2009, stabilizzandosi intorno a questa quota negli anni successivi con punte massime dell’80% nelle regioni meridionali. I dati relativi agli ospedali pubblici sono ancora più straordinari visto che nel Lazio, ad esempio, i ginecologi obiettori sono ormai oltre il 91%!
    Succede che il ginecologo non obiettore del Policlinico Federico II di Napoli passi a miglior vita (o peggiore, Dio solo lo sa...), per cui niente aborti per due settimane; oppure, che l’unico medico abortista dell’ospedale di Bari vada in ferie, per cui niente somministrazione della pillola RU486 e disattivazione del numero verde per la prenotazione delle visite.
    La situazione è talmente paradossale che verrebbe da sorridere, se non fosse per l’estrema serietà e drammaticità del tema. La legge 194 è divenuta col trascorrere del tempo una fortezza quasi inespugnabile al punto che nessuno si azzarda più a metterla in discussione, nemmeno il movimento pro-life più in vista da cui partono iniziative a difesa della vita lodevoli ma prive di reale efficacia. Insomma, lo scontro culturale e politico sul tema dell’aborto volontario è in Italia praticamente assente, tranne rare eccezioni costituite soprattutto dal forte movimento di popolo che si sta costruendo intorno all’evento storico della Marcia Nazionale per la Vita, giunta ormai alla terza edizione (il prossimo 12 maggio).
    La Provvidenza ha voluto che a mettere i bastoni fra le ruote al meccanismo diabolico dell’aborto di Stato ci si mettessero gli esecutori materiali del delitto, i medici chirurghi. Un po’ come se in un Paese dove vigesse la pena di morte le esecuzioni venissero parzialmente impedite dalla penuria di boia... Tuttavia, non bisogna illudersi: il diritto all’obiezione di coscienza non avrà vita lunga visto che contrasta con un altro (pseudo) diritto, l’autodeterminazione femminile, stabilito dalla legge italiana e dalle normative europee. Ciò, malgrado il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) abbia emanato, qualche tempo fa, un documento che sancisce la fondatezza costituzionale dell’obiezione di coscienza, ma che nel contempo ribadisce la liceità di leggi omicide come la 194 e la necessità di garantire la fruizione pubblica di servizi sanitari considerati essenziali, come la cosiddetta interruzione volontaria di gravidanza.
    Pertanto, fintantoché l’obiezione di coscienza si mantiene entro limiti tali da non causare particolari disagi alle donne che intendono abortire, l’establishment tollera che il personale sanitario possa avvalersene; se non altro allo scopo di perpetuare il mito secondo cui l’aborto, lungi dal costituire una procedura medica standardizzata, sia solamente l’esito drammatico di situazioni limite. Nel caso contrario, invece, c’è da attendersi un’intensificazione delle persecuzioni contro i medici obiettori, come sta già accadendo negli Stati Uniti di Barack Obama, e una conseguente forte limitazione dello stesso diritto all’obiezione di coscienza.
    Durante la ventiduesima sessione del Consiglio dei diritti umani dell’ONU è stato presentato un documento che si intitola Report del relatore speciale sulla tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, in cui il concetto di tortura viene esteso dagli ambiti classici (quello della detenzione e quello militare) ad altri meno usuali. Nella sezione B del testo, dedicata ai cosiddetti diritti riproduttivi, al punto 46 si legge: «Enti internazionali e regionali attivi nell’ambito dei diritti umani hanno cominciato a riconoscere che l’abuso e il maltrattamento di donne che cercano servizi di salute riproduttiva possono causare tremende e durevoli sofferenze fisiche e psicologiche». Tra gli esempi di tali maltrattamenti si cita «il rifiuto dei servizi sanitari legalmente disponibili, come l’aborto e la cura post-aborto». Pertanto, non praticare un aborto sarebbe una forma di tortura inflitta alla donna!
    Ora, l’aspetto positivo della sempre più opprimente politica di contrasto al sacrosanto diritto all’obiezione di coscienza è che essa rischia di agitare le acque stagnanti del compromesso e del quieto vivere su cui da troppo tempo chi è deputato a difendere le ragioni della vita tende a galleggiare; ciò, infatti, potrebbe far emergere l’intrinseca natura persecutoria dell’ideologia abortista e di conseguenza condurre alla radicalizzazione dello scontro, premessa indispensabile per sperare di giungere, un giorno, al ripristino della vera legalità attraverso l’abrogazione totale della legge 194 e la conseguente messa al bando dell’aborto volontario.

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