ATTUALITÀ
Il “coming out” della droga
dal Numero 33 del 27 agosto 2017
di Lazzaro M. Celli

Il processo di liberalizzazione della cannabis pare essersi momentaneamente arrestato di fronte all’allarmante notizia del largo consumo di droga da parte degli italiani. Ma anche le leggi possono poco quando viene destabilizzato l’istituto familiare, che per primo dovrebbe educare i giovani, e viene favorita la “cultura dello sballo”.

Appena cinquant’anni fa, negli ambienti popolari, era diffusa la convinzione che la democrazia fosse il volere della maggioranza. Con un’operazione che sfuggiva ai più, la quantità numerica fungeva da parametro per definire ciò che doveva essere accettato oppure no, indipendentemente dal chiedersi se fosse giusto. Pochi si sono emancipati da questi consolidati pregiudizi che troviamo ancora alla guida delle azioni degli uomini. C’è voluta una sana educazione, libera da preconcetti e asservita solo alla Verità, per far comprendere, a pochi per l’esattezza, che non è il numero che fa la bontà delle cose. Essa è riposta evidentemente su considerazioni di natura diversa; ma una cultura e un mondo fortemente ideologizzato fanno del potere l’unica legge universale e, con esso, impongono le convinzioni che vogliono, le regole che ritengono debbano essere condivise da tutti.
Da questo principio non è escluso l’argomento droga. Stando alla Relazione di quest’anno, presentata in Parlamento dal Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il consumo della droga ha raggiunto livelli allarmanti in Italia.
Forse anche in vista di questa Relazione, le commissioni Giustizia e Affari sociali di Montecitorio hanno adottato un testo sulla cannabis, da proporre poi alle Camere, che prevede solo l’uso terapeutico di questa sostanza, senza consentirne la sua liberalizzazione, come premevano le forze progressive del PD, 5 Stelle e Radicali.
C’è chi si rallegra per questo risultato e, certo, non gli si può dare torto se si considera l’aver superato il rischio di un testo che prevedesse, già in embrione, la liberalizzazione della cannabis, ma comunque sperimenteremo ugualmente un’espansione del suo consumo perché, possiamo starne certi, aumenterà a dismisura il complesso di circostanze su cui s’interverrà in modo terapeutico; magari, si arriverà alla concessione di cannabis anche al semplice depresso o ad una persona momentaneamente frustrata da un evento sfavorevole.
Quando parliamo di droga dobbiamo comprendere che la soluzione è di carattere pedagogico. Dovremmo chiederci perché il consumo di droga faccia registrare un aumento inquietante, nonostante più della metà delle scuole superiori italiane abbia avviato un programma di prevenzione e d’informazione sui rischi che comporta.
A tal riguardo dobbiamo ricordare, ancora una volta, l’importanza dell’educazione che i giovani ricevono in famiglia e ripetere che uno Stato dovrebbe investire nel consolidare l’Istituto familiare piuttosto che demolirlo. Se non s’investe per tutelarlo, non si fa altro che danneggiare il sistema sociale, lasciando che proliferino fattori d’instabilità. La scuola, istituzione secondaria nel compito di educare i giovani, non può molto se la famiglia è disgregata. Facciano, dunque, un profondo mea culpa tutti i sostenitori del divorzio e dello scempio che il cattivo uso della genetica comporta, costruendo “famiglie in laboratorio”.
Un aspetto sociologico del fenomeno, meno conosciuto, è collegato alla diffusione della cultura dello sballo che ormai prolifera senza che gli Stati riescano a contenerla. Tale cultura è penetrata ovunque, diffusa attraverso i media, attraverso social network e, non ultimo, l’ambiente dello spettacolo. Questi mezzi ornano, per così dire, la cultura dello sballo di una caratteristica unica: quella dell’ostentazione. Il consumo di sostanze diventa qualcosa da esibire; i giovani si espongono su un palcoscenico virtuale in atteggiamenti decadenti, sia dal punto di vista fisico che da quello psichico. Il rischio è che questa nuova tendenza sia condivisa, favorendo il dilagare del consumo di sostanze.
E pensare che c’è chi minimizza il problema dicendo che il consumo della cannabis non  crea dipendenza. A tal riguardo riporto quanto sostiene un campione nella lotta alla droga. Stiamo parlando del Procuratore capo della Repubblica di Catanzaro, Nicola Grattieri. In riferimento a quanto accaduto in un liceo, dove alcuni, come chiamarli, promoter del consumo di cannabinoidi spiegavano agli alunni che fumare sostanze non produce conseguenze, ha affermato: «Non è possibile andare dai ragazzi a dire che la marijuana non crea dipendenza, quando studi scientifici dicono che l’uso sistematico di questa droga porta ad una riduzione della corteccia cerebrale, a dimenticare quello che si è fatto il giorno prima e a sentirsi alle dieci di mattina come pugili suonati quando ci si è fatti la sera precedente. Mi accorgo che spesso è più un fatto ideologico e una presa di posizione per sentirsi avanti, progressisti, non capendo che qui in gioco c’è la salute dei figli della nuova generazione».
Tutto questo fa parte di una logica di sistema e s’intreccia, inevitabilmente, con l’aspetto sociale di ogni fenomeno che ha anche implicazioni di carattere spirituale: «Quanto più gli uomini si allontanano da Dio, tanto più diffonderanno l’errore».

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