ATTUALITÀ
Quando la rivendicazione dell’autonomia è un atto innaturale
dal Numero 20 del 21 maggio 2017
di Lazzaro M. Celli

Se l’uomo riflette sulla propria origine, sugli elementi costitutivi più intimi del suo essere, comprende che non può prescindere da un Altro e che la rivendicazione di un’autonomia assoluta non lo rende felice perché contraddice la sua stessa natura.

Se noi osserviamo i fenomeni sociali che hanno progressivamente eroso il tessuto morale di riferimento, troviamo in essi un unico filo conduttore: l’affermazione dell’autonoma, la rivendicazione del diritto di scegliere. Esso, di per sé, non sarebbe un male, ma solo se il diritto di scegliere in piena autonomia si attuasse nel campo del moralmente lecito; se riconoscesse, in altre parole, come realtà immodificabile, quei valori che fino ad una quarantina d’anni fa erano considerati universali; quelli che, con una felice espressione, Benedetto XVI aveva definito non negoziabili. Questo è il limite dell’affermazione della propria autonomia: riconoscere che c’è una realtà data, che non si può scegliere, si può solo malauguratamente rifiutare. Pertanto, superare questo limite, è male. Non si può essere liberi di scegliere il male e uno Stato non dovrebbe tutelare una libertà fondata sulla scelta dell’errore. Il diritto positivo non dovrebbe mai, in alcun modo, legittimare l’autonomia delle scelte che vanno contro i diritti non negoziabili. Invece aborto, unioni civili tra persone dello stesso sesso, tra poco l’eutanasia hanno tutti un fondamento comune: la rivendicazione di un atto di autonomia, tutelato dalla legge degli Stati. L’autonomia del singolo diventa, allora, un bene supremo, espressione della logica perversa dei desideri, che non riconoscono e, anzi, sopprimono il diritto alla vita del soggetto più debole, per il proprio egoismo; si piegano di fronte all’irragionevolezza di un legame, all’impossibilità di compiere la scelta più giusta con il conforto e l’assistenza amorevole di tutti.
Se riflettiamo sull’autonomia, vediamo che la sua ragion d’essere è nella preesistenza di qualcosa o qualcuno. Essa, infatti, crea una distanza da qualcosa, si distingue da qualcuno che c’è già. Senza questa premessa, senza una realtà preesistente, non avrebbe neanche senso parlare di autonomia. Autonomia da cosa, o da chi, se non ci fosse già qualcosa o qualcuno?
Ora se noi riflettiamo sull’uomo, dobbiamo dire che nessuno vive su un’isola deserta, da solo; nessun uomo basta a se stesso, siamo tutti immersi in una rete di relazioni, perché l’uomo è essenzialmente un essere sociale; possiede un’identità che si realizza nell’Altro; non in un altro qualsiasi, ma solo nell’Altro che disseta i nostri interiori bisogni. Per Altro non s’intende solo il Dio unico e trino, ma anche tutte quelle leggi e condizioni iscritte nella natura da Lui creata e da Lui imposte.
Se è così, l’uomo è un essere relazionale; per vivere ha bisogno di organizzare relazioni ed esse si costruiscono sulla fiducia che si ripone nell’altro. L’aspetto fondamentale che tiene in vita una relazione non è l’atto di autonomia, ma la fiducia nell’altro, che è un modo diverso di dire fede. La fede e la fiducia edificano unità, l’autonomia la distrugge. Sotto questo punto di vista, l’atto di autonomia dall’Altro è un atto innaturale, contro se stessi, contro il bene sociale, innanzitutto contro Dio.
La nostra vita è cosparsa di atti di fede. Per prendere un aereo, non pretendiamo di visionare prima il progetto dell’ingegnere, o di presiedere alla sua fabbricazione, all’assemblaggio dei pezzi, alla messa a punto delle parti fino al collaudo, lo prendiamo e basta e in tal modo facciamo un atto di fede nel quale rimettiamo la nostra stessa vita. E questo vale per qualunque altro mezzo di locomozione.
Lo stesso si dica se devo acquistare un pezzo di pane o una bottiglia di latte; non posso pretendere di verificare prima se sono stati rispettati tutti gli standard igienici delle macchine, la potabilità dell’acqua, o se il latte è stato munto da mucche sane, lo compro e basta, mettendo in gioco la mia vita.
L’atto di fede, dunque, è quello più connaturale alla persona umana, all’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Non è l’atto di autonomia il fondamento delle relazioni umane, bensì l’atto di fede.
Sia l’aborto, sia le unioni civili tra persone omosessuali, sia l’eutanasia si costituiscono su un atto innaturale, che si vuole, in modo improprio, considerare prioritario rispetto all’atto di fede.
Ora, l’esercizio della mia libertà, dell’affermazione della mia autonomia è, in ultima analisi, un atto di fede. Per quello che dipende dalle nostre possibilità e capacità notiamo che, se abbiamo bisogno di un medico, non ci affidiamo a uno qualunque, ma solo a quello di cui abbiamo fiducia. Nessuno compra il pane nella panetteria dove ci sono topi, o il latte, se sa che è prodotto da mucche malate. Nelle nostre scelte è sempre insito un atto di fiducia in qualcuno.
Siamo nati per avere fede, innanzitutto in Colui a cui dobbiamo il dono della vita e, solo per questo, non dovremmo mai cessare di dire grazie. La nostra condotta di vita, purtroppo, contraddice quella che dovrebbe essere una regola fondamentale dei nostri comportamenti e ci spinge a dimenticare questa verità tanto elementare quanto fondamentale della nostra esistenza. San Pio da Pietrelcina vedeva nella fede l’unico mezzo per essere in unione d’amore con Gesù e l’unico appoggio nei momenti di prova. Tante furono pure le tentazioni contro di essa. E che sarebbe di noi se abolissimo completamente la fede dai nostri comportamenti e li elevassimo a sistema di vita? Purtroppo stiamo andando proprio in quella direzione.

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