ATTUALITÀ
Fine del politicamente corretto
dal Numero 48 del 11 dicembre 2016
di Roberto Ciccolella

L’“evento-Trump” ha ribaltato, su scala mondiale, la “grammatica” del pensiero politicamente corretto, che spesso impedisce di denunciare ciò che è male e chiamare le cose con il loro vero nome. I Cattolici possono e debbono saper approfittare del momento per guadagnare terreno nella battaglia per i Diritti di Dio.

Il 20 gennaio 2017 si insedierà alla Casa Bianca il Presidente eletto Donald Trump, magnate dell’edilizia newyorchese famoso per gli eccessi dei suoi lussuosi grattaceli e la partecipazione al reality show “The Apprentice”. Non è certo un buon Cattolico, ma nonostante i suoi tre “matrimoni” (non certo tali davanti a Dio), alcune inaccettabili espressioni verso donne e messicani e molti voltagabbana, si tratta di un evento determinante per la fine del politicamente corretto, quella gendarmeria del linguaggio che con l’apparente buona intenzione di non offendere minoranze e avversari politici ha finito con l’impedire di parlare in modo chiaro e chiamare le cose con il loro nome. Trump, pur fra esecrabili eccessi, ha saputo dire chiaramente quello che pensava, cioè quello che pensa la gran parte del popolo americano, specie di quell’America vera fatta di salopette sporche di grasso e grossi trattori che solcano oceani di grano.
Al contrario, l’ideologia del politically correct, come lo chiamano gli anglosassoni, è spesso basata su falsi sensi di colpa per oppressioni del passato ed è un notevole problema anche per la Chiesa docente e tutti i fedeli. In ossequio a un rispetto tutto formale infatti si rischia per esempio di tacere sui peccati contro il Sesto e Nono Comandamento oppure non definire pagani i riti dell’America precolombiana ma anzi apprezzarne le radici culturali – con Prelati che in segno di “stima” sono arrivati a partecipare a danze dedicate alla dea pacha mama. Similmente, è recente la notizia di alcuni sforzi ecclesiali volti a integrare non i singoli fratelli con tendenze omosessuali nella vita di Grazia, ma la comunità gay con la sua ideologia in alcuni progetti pastorali. Ebbene queste iniziative sono residui di un dominio delle élite della Sinistra al caviale figlia del ’68 e che oggi maneggia stampa e governi. Una élite che però non è riuscita a fermare e anzi è stata travolta dall’argomentare di Trump, lontanissimo da loro con il suo fare buzzurro e un curriculum a base di scuola militare, esperienza nei cantieri e massicce iniezioni della pseudo-teologia del pastore/imprenditore Vincent Norman Peale. Ebbene il Signore può utilizzare anche uomini deprecabili per i suoi progetti e, come ha auspicato il premier ungherese Viktor Orban commentando la vittoria, «la civiltà occidentale è riuscita a liberarsi dalla morsa dell’ideologia».
Il carattere centrale del programma trumpiano è infatti fortemente anti-ideologico e basato su cose molto concrete come le grandi opere pubbliche per dare posti di lavoro e la tutela della vita nascente. Non voglio qui sottolineare però gli elementi positivi dell’uomo, come appunto le nomine Pro-life o la messa in discussione dei trattati di commercio che hanno fatto la globalizzazione. Voglio invece notare come, pur con le sue contraddizioni, la vittoria di Trump è una vittoria di un linguaggio su un altro. Come ha fatto “the Donald” con una campagna da 307 milioni di dollari a battere l’investimento pubblicitario della Clinton da 687 milioni? Secondo uno studio della Carnegie Mellon University, Trump riusciva a parlare in modo comprensibile anche a un bimbo delle elementari, mentre Hillary appariva sofisticata. Una sintassi semplice, un vocabolario ridotto, in sostanza pochi artifici verbali e molti contenuti. Questo il fattore vincente. Insieme alla sfrontatezza di violare i confini verbali tracciati dai maître à penser del post-moderno.
Oggi possiamo a voce alta ribadire che nessun liberale o sinistrorso ha più il monopolio di ciò che è buono e giusto, tantomeno il dizionario di cosa si può dire e cosa no. E questo perché dopo le elezioni americane e la Brexit non possono più invocare il sostegno del popolo, né accreditarsi come interpreti della gente. Gli intellettuali di Sinistra, ma anche quelli della Destra liberale e libertina che ben conosciamo in Italia, sono sostanzialmente ammutoliti dall’evento-Trump. Ecco, per tutti i Cristiani l’agone del dibattito pubblico si fa quindi più agevole. Ora tocca ai buoni Cattolici contemperare il doveroso vigore nella lotta culturale per i diritti di Dio (e quindi dell’uomo) con un approccio misericordioso e caritatevole, come Papa Francesco ci chiede. Le due cose non sono divergenti. Il Cattolico quando corregge non lo fa perché orgogliosamente vuole imporre la verità al peccatore, né userà mai i toni esagitati del nuovo Presidente americano. Il vero Cattolico può sferzare anche con le parole ma al fine di svegliare i fratelli dal torpore del peccato e farli tornare a respirare la cristallina aria della Grazia.
Nei prossimi mesi sarà dunque importante approfittare della delegittimazione delle élite liberali per rivitalizzare l’apologetica e lo slancio missionario. Ma sempre come si dice: «In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas».

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