ATTUALITÀ
Che almeno la Statistica apra gli occhi...
dal Numero 4 del 27 gennaio 2013
di Fabrizio Cannone

«Non era mai successo: ci si sposa più in Comune che in Chiesa», è quanto si legge sul Corriere della Sera in un articolo che fa stato della situazione di preoccupante retrocessione della Fede cattolica in Italia. Alcune riflessioni al riguardo.

Certuni, nell’ambiente cattolico, hanno in forte dispregio la Statistica, vista come mera scienza dei numeri, che poco o nulla può dirci circa l’andamento della realtà sociale presa in esame, specie nelle cose dello spirito. Come misurare infatti, coi numeri, la devozione di un singolo o di un popolo? E il tasso di fede, di speranza e di carità di un determinato strato della società? Noi però non siamo punto di questa opinione. Infatti è ben possibile, come insegna una memorabile poesia di Trilussa, che la media inganni e che se la Statistica ci dice che gli italiani mangiano un pollo a testa, ciò può significare che alcuni non ne mangiano alcuno ed altri 2 o 3! Dunque, se è vero che i numeri presi in sé e per sé sono degli indicatori limitati e poco affidabili, d’altra parte essi dicono qualcosa, e qualcosa di essenziale. È ben possibile infatti che un popolo in cui si pratica di meno, mettiamo al 20%, sia più fervoroso di uno in cui, per mera abitudine, si pratichi di più (magari all’80%). E che quel 20% di devoti sia assai più pio, retto e santo che l’80% di un altro popolo. Epperò se in pochi anni, una nazione cristiana e cattolica come l’Italia, passa da una pratica largamente maggioritaria (50 anni fa, all’apertura del Concilio, i praticanti domenicali erano oltre il 50%) ad una assolutamente minoritaria (oggi si attestano attorno al 10%), ciò è certamente un segno negativo circa la fede e la religiosità degli italiani. Certe realtà non si misurano facilmente: Tizio va a Messa ogni domenica ed è pio e osservante; anche Caio ci va, ma solo per mera abitudine, e non crede più di tanto. La differenza qualitativa tra Tizio e Caio sfugge alla statistica, la quale mette sullo stesso piano la fede dei due, sulla base della uguale pratica religiosa domenicale. D’altra parte però se da Costantino al Concilio (e oltre...), il 99% degli italiani era formato da battezzati, e il 99% dei battezzati si sposava in chiesa e davanti al parroco, ed oggi, in certe regioni, sono più numerosi gli italiani che si sposano in Comune, qualcosa starà pure a significare, o no? Chi lo negasse avrebbe una concezione eterea, totalmente immateriale e inumana della religione, vista come qualcosa di soltanto interiore: ma la religione in genere e quella cattolica in particolare è al contrario ben visibile e “materialista”. I Sacramenti sono cose materiali e ignorarli o rifiutarli è una scelta volontaria (deprecabile) come riceverli e stimarli.
    Un recente articolo pubblicato dal Corriere della Sera (19 dicembre 2012, pp. 20-21) fa stato di questa situazione di scristianizzazione galoppante in Italia, soffermandosi specialmente sul calo dei matrimoni in generale e sul superamento, in certe regioni, del “matrimonio” civile su quello cattolico. «Non era mai successo: ci si sposa più in Comune che in Chiesa. Non in tutta Italia. Al Sud, ad esempio, nel 2011 circa 3 coppie su 4 hanno scelto ancora saldamente la benedizione divina per suggellare l’amore coniugale. Ma soltanto lì. E se nel Nord del Paese per la prima volta l’ISTAT segnala il superamento dei matrimoni celebrati con il rito civile su quello religioso (51,2% contro 48,8%), nel Centro Italia il sorpasso è stato sfiorato letteralmente di un soffio» (p. 20). L’articolo si fonda sulle indagini di prima mano elaborate dall’ISTAT presentate dall’ultimo suo Annuario. Nel Centro, la zona d’Italia che comprende Roma, capitale universale del Cristianesimo e Sede del Vicario di Cristo, i matrimoni religiosi sono stati nel 2011 il 50,1% del totale. Quindi perfino nella città, a priori, più cattolica e più santificata della storia, un italiano su due, decide di vivere lontano dalla Chiesa, dalla fede, dalla grazia di Dio...
    È questo ciò che si voleva con la Convocazione del Concilio Vaticano II avvenuta mezzo secolo fa? E come fanno certi Pastori ad essere così ipovedenti da dire che in Italia, rispetto ad altre zone ancora più secolarizzate (come la Francia e l’Austria per esempio), tutto va bene, la presenza della Chiesa è “capillare”, la religione sociologicamente tiene, ecc., ecc.? Il servo di Dio Paolo VI disse solennemente nella festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo, il 29 giugno 1972: «Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa, è venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza». Aveva ragione o torto? Dopo il Concilio, dal punto di vista della fede cattolica, v’è stato un balzo in avanti o una capriola all’indietro?
    Se la maggioranza degli italiani molto presto sarà coniugata solo civilmente, moltissimi non richiederanno più la Cresima (o Confermazione). Ma una famiglia di battezzati, senza Cresima, senza Matrimonio cattolico, senza pratica religiosa abituale, assai facilmente rifiuterà di far battezzare i figli, “lasciando che decidano loro, per rispetto della loro libertà religiosa” (come mi disse un membro di una nuova comunità ecclesiale, vista da alcuni come uno dei segni dello Spirito per arrestare il secolarismo...). Il Matrimonio religioso costituiva almeno un argine psicologico e simbolico al divorzio e al secondo “matrimonio”: in assenza di quello anche questo aumenterà, come aumenta ogni anno il numero dei divorziati dal 1974 ad oggi. Moltissimi giovani poi, vedendo che il Matrimonio è una farsa, perché tale è diventato nella mentalità di moltissimi, neppure vogliono più sposarsi, anche perché le facilitazioni per i coniugi sono state soppresse a poco a poco, forse proprio per renderlo ancora più inutile e limitare le spese dello Stato. Molte coppie con prole sposandosi vengono a trovarsi in una situazione di svantaggio economico rispetto a quando vivevano more uxorio. Insomma davanti a questo disastro non annunciato, ma constatato, si abbia almeno il buon gusto di non esaltare le “magnifiche sorti e progressive” della Chiesa che le sarebbero venute, miracolosamente, dal Concilio e dalle riforme che lo hanno seguito. Purtroppo accanto alle analisi di cui sopra, il Corriere riporta un’intervista ad un prelato italiano che va proprio nel senso dell’assurdo neo-trionfalismo da noi biasimato. Non ci interessa qui fare il nome, quel che conta è la mentalità superficiale che connota questi ambienti. Davanti alla crisi del matrimonio in Italia, il presule afferma: «Più che stare ad allarmarsi, credo che per la Chiesa ci sia una chance da cogliere, annunciare la possibilità di un valore stabile, definitivo ed eterno. La vera sfida non è più o meno matrimoni religiosi ma, al fondo, più o meno evangelizzazione [...], il bisogno di un annuncio in modo nuovo, non moralistico, ma “cherigmatico”, evangelico nel senso di gioioso» (p. 23).
    Due note soltanto (per carità di Chiesa): 1) Il presule rifiuta la Statistica, dunque rifiuta la scienza e la ragione. Come si fa altrimenti a parlare di chance per una situazione drammatica, causa (col divorzio) di dolori indicibili? Un ragazzo fa una strage, i giornalisti intervistano un presule che dice: “Bè, si tratta di una chance per insegnare ai giovani il senso della vita”!! 2) Il presule rifiuta la corresponsabilità. Sembra quasi che non ci siano colpe nell’abbandono di massa del sacramento del Matrimonio o che la colpa sia solo dei contraenti, ma evidentemente non è così. “Non allarmarsi”? Ma si crede all’esistenza del peccato e dell’inferno o no? Una evangelizzazione “gioiosa e non moralistica”? È proprio questa che ha causato le macerie che ci sono davanti.

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