ATTUALITÀ
Dalla Cirinnà alla gnosi. Un’ipotesi azzardata?
dal Numero 10 del 6 marzo 2016
di Carlo Codega

Accanto alla filosofia esistenzialista e al positivismo giuridico, nel pensiero contemporaneo si fa largo un falso “spiritualismo” che pretende di cancellare la natura, la ragione e ogni altro aspetto “incarnato” del Cristianesimo. Ne risulta una pseudo religione che prende le definitive distanze dal concetto di “legge naturale” e tollera ogni immoralità.

A che punto è la notte?

I recenti spettacoli offerti dalla propaganda omosessualista al Festival di Sanremo e persino nel Senato della Repubblica a sostegno del famigerato ddl Cirinnà, numericamente minoritari ed elitari rispetto al popolare e imponente Family Day del Circo Massimo ma ben ostentati dai mass-media e amplificati dalla tecnocrazia al potere, mostrano bene a “che punto sia la notte” (cf. Is 21,11-12) di un mondo che ha lasciato ormai da decenni Cristo, «la luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9) per stringersi in un impudico amplesso con il «principe di questo mondo» (Gv 12,31).
Sembra ormai che nessuna barriera e nessun presidio, nessun principio e nessuna istituzione possa resistere a quest’impetuosa ondata di corruzione che sta travolgendo ogni cosa, realizzando quella “rivoluzione totale” che dalla riforma luterana in poi è il sogno di ogni vero “riformatore” e che ha ricevuto dalla rivoluzione sociale del ’68 un impeto irresistibile: la palingenesi dell’uomo, ovvero la sua rigenerazione per creare un “uomo nuovo”, totalmente differente da quello uscito dalle mani dell’Altissimo.
Questa “rivoluzione totale”, compimento della rivoluzione religiosa del 1517 (protestantesimo), di quella politica del 1789 (Rivoluzione francese) e di quella economico-civile del 1917 (Rivoluzione bolscevica), non ha più di mira un singolo aspetto dell’uomo (religioso, economico, politico-sociale) ma l’uomo nella sua stessa natura, l’uomo nella sua umanità.
La rivoluzione totale che si sta compiendo quest’oggi nel mondo occidentale è uno dei più grandi affronti che si possano compiere verso l’Onnipotente: negare la natura dell’uomo e cancellare dalle coscienze la legge naturale significa infatti bestemmiare Iddio Creatore e Legislatore, insultarlo non direttamente nella sua divinità ma nell’opera della creazione. Con la meravigliosa opera della creazione Egli ha dato a tutte le creature una natura, stabile e immutabile, e allo stesso tempo con essa ha impresso negli esseri razionali una legge, la legge naturale, che essi devono seguire per conseguire il loro fine, cioè per realizzarsi in quanto uomini.
In nome di un concetto errato di “libertà” (con cui s’intende in realtà il libero arbitrio) e della “persona” si pretende di dimenticare se non distruggere la “natura” e la “legge”. Mai come oggi il concetto di “libertà”, insieme a quello di “diritto” e quello di “coscienza”, viene adulterato e pervertito per opporlo alla “natura”, alla “legge” e al “dovere” ma è bene ricordare che ogni libertà, ogni diritto e la stessa coscienza esistono e valgono solo come termini correlativi (e in un certo senso, subordinati) alla natura, alla legge e al dovere. Purtroppo la mentalità comune imperante ha ormai scisso questi termini correlativi e li ha imposti come contraddittori: la scelta sarà tra essere libero o essere uomo, seguire la coscienza o la legge, esercitare i propri diritti o compiere i propri doveri.

Filosofia e diritto contro la natura

Ciò che oggi viene discusso in Parlamento e imposto al popolo italiano, in aperto e anti-democratico spregio per i due milioni di persone scese in piazza, ha in realtà radici ben profonde nella filosofia e nel pensiero contemporaneo. In effetti a farne particolarmente le spese in questa temperie ideologica è il sacrosanto concetto di “legge naturale”, aborrito e abbandonato dalla filosofia esistenzialista e relativista imperante, dimenticato dal positivismo giuridico che usurpa cattedre e poltrone e perfino – il che è il vero punto dolente – messo in discussione da una certa teologia in voga, soprattutto dopo la “svolta antropologica”.
Lasciando da parte per un attimo la teologia, sia la filosofia che il diritto contemporaneo sono accomunati dal fatto che, anziché negare direttamente Dio, semplicemente non s’interessano a Lui: il problema di Dio viene scartato a priori perché anche se Dio esistesse, non esisterebbe-per-me perché la sua esistenza costituirebbe un ostacolo alla mia libertà e alla mia realizzazione. Il primo imputato della distruzione del concetto di “natura” e “legge naturale” è sicuramente la scivolosa filosofia esistenzialista che, partita da Heidegger in chiave atea, ha poi trasbordato anche in campo cristiano e persino nella stessa teologia cattolica. Per gli esistenzialisti l’uomo, a differenza delle altre creature, non ha una natura fissa – non ha cioè ciò che in filosofia si chiama essenza – ma è pura esistenza, ovvero è pura apertura alla realtà e all’essere. Si potrebbe dire che l’uomo esistenzialista è pura “libertà” che in ogni momento si determina e sceglie ma che non rimane mai fisso e determinato, altrimenti negherebbe il suo essere pura libertà e puro esistere: l’uomo in ogni momento è diverso in quanto in ogni momento la sua libertà lo determina in modo differente.
Nella prospettiva relativista di Heidegger neppure può esistere una verità, in quanto la verità non è altro che la libertà stessa (nell’esercizio della libertà la verità si rivela), figuriamoci se possa esserci spazio per una legge naturale, per una legge che obbliga l’uomo in forza della natura che Dio gli ha dato. Il diritto moderno – il secondo imputato – poi ha abbracciato radicalmente la prospettiva del “positivismo giuridico”, secondo cui l’unico diritto realmente esistente è il diritto positivo, il diritto promulgato dalle autorità temporali, mentre non c’è spazio per un diritto naturale, cioè per una legge che emana direttamente dalla natura delle cose così come creata da Dio. In tal senso, evidentemente, ogni Stato, ogni autorità politica non è tenuta, nella sua attività legislatrice, a tener conto di qualche norma etica precedente o a qualche principio fondamentale, in quanto è l’autorità stessa con la sua legislazione a determinare e fondare il diritto. In tal modo il Parlamento e il Senato italiano non sono tenuti a interrogarsi se ciò che decideranno è conforme alla natura umana o a qualche principio etico, perché essi stessi con la loro decisione fondano il diritto, decidono della sua giustezza.
Ora, evidentemente, il pensiero contemporaneo (perché parlare di “filosofia” sarebbe troppo nobilitante) ha stretto un patto diabolico con il diritto contemporaneo: il primo ha sedotto le coscienze e si attribuisce il compito di tromba ideologica, martellando attraverso i “mass-media” per imporre gradatamente un pensiero relativista e antinaturale; il secondo, attraverso la menzogna del sistema democratico, legittima i politici ad operare senza alcun freno né limite naturale.

Alla base un problema religioso

Come è bene evidente la questione della “legge naturale” e del suo rifiuto è un problema razionale che, in quanto tale, sta a monte della fede, e che dovrebbe costituire, come auspicavano Benedetto XVI e san Giovanni Paolo II, un terreno comune di discussione tra la Chiesa Cattolica e il pensiero filosofico e giuridico. Proprio per questo si rivelano del tutto ideologiche e illiberali le lamentele pubbliche di coloro che chiedono agli uomini di Chiesa di non “ingerire” in tali questioni: ognuno in verità ne può parlare in quanto si tratta di un argomento razionale!
In realtà, come notava lo stesso santo Pontefice, «la Chiesa è rimasta l’unica a tutelare la legge naturale»; anzi, a ben vedere, molti recenti avvenimenti sottolineano che anche in campo cattolico si stia verificando una sempre più evidente defezione dal “baluardo” della legge naturale (come lo ha definito il Cardinal George Pell). Ciò è stato evidente negli ultimi due sinodi sulla famiglia. Sulla scia di decenni di certa teologia (quella della “svolta antropologica”), riallacciatasi esplicitamente all’esistenzialismo o formatasi sotto il segno di un personalismo estremo, qui e là, in alcuni Padri sinodali, è risuonato l’accantonamento del concetto di “legge naturale”, in favore di una morale più “soggettiva” e “personale”. La legge naturale e i doveri personali e sociali dell’uomo, anche da parte di questi cattolici, vengono sentiti come un giogo insopportabile.
Sul punto dell’abbandono del concetto di “natura” e della “legge naturale”, la crisi della società occidentale s’interseca e si ricollega alla crisi della Chiesa, che è contemporaneamente crisi dottrinale e morale, nella teoria e nella prassi. Questo c’invita forse a ricercare il principio di questa crisi effettivamente in quella crisi religiosa che ha originato la modernità, il protestantesimo, fermamente convinti che, come diceva Donoso Cortés: «Ogni problema politico ha alla base un problema teologico».
Il protestantesimo è d’altronde una nuova affermazione di un problema con cui la Chiesa ha più volte dovuto confrontarsi nel corso della storia: lo gnosticismo. Per tacere di altri aspetti, lo gnosticismo o gnosi non è altro che un falso “spiritualismo” che pretende di cancellare la natura, la ragione e ogni aspetto “incarnato” del Cristianesimo, per ottenere un cristianesimo “distillato”, un cristianesimo depurato da ogni aspetto materiale e, apparentemente, più mistico. In realtà l’oblio della dimensione naturale in favore solamente di quella (presunta) soprannaturale, si rivela una falsificazione della realtà e della religione, destinata a scadere nel fideismo irrazionale e nell’immoralità. È questa una costante di tutti i movimenti gnostici che, dietro ad una maggiore purezza spirituale, nascondono perversioni di ogni sorta, soprattutto in campo sessuale, convinti che la dimensione naturale per nulla riguardi la sorte dell’anima (basti guardare al caso dei catari nel Medioevo o a quello della comunità anabattista di Munster, ben illustrato da Reck-Malle).
L’abbandono della legge naturale in favore di una maggior attenzione alla “persona” (o così come ha commentato un Vescovo: dalla “morale della legge” alla “morale della persona”), è infatti lo specchio della nuova morale che non concepisce più l’esistenza di atti immorali per natura e rimanda tutto al giudizio della coscienza spirituale soggettiva, il che, a sua volta, si risolve nella cancellazione della giustizia di Dio (che è una necessità razionale e naturale) in favore della sola misericordia. Tale misericordia poi spesso coincide con la “giustificazione” luterana, nella quale la natura umana non viene coinvolta effettivamente nella Redenzione, non viene purificata e santificata, ma viene semplicemente coperta dalla grazia di Cristo, cosicché l’uomo rimane “simul iustus et peccator” (allo stesso tempo giusto e peccatore).
Oggi, come ai primordi del luteranesimo, il “pecca fortiter et crede fortius” di Lutero non si risolve solo in un appello alla misericordia divina, ma diviene una legittimazione delle aberrazioni contro la legge naturale, così che l’omosessualità o la sodomia vera e propria, l’orrendo crimine dell’aborto, l’eutanasia e pratiche come l’“utero in affitto” divengono, anche da parte di una certa mentalità cattolica, tollerabili. Non sono questi i veri problemi – si dice –, ma piuttosto assicurare la dignità dell’uomo! In questo clima di aperto gnosticismo aveva proprio ragione un solerte educatore come Don Luigi Giussani: «Il vero problema di oggi non è l’agnosticismo ma lo gnosticismo».

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