MARIA SS.
Maria, esempio di castità contro la lussuria
dal Numero 30 del 14 agosto 2022
di Mario Caldararo

Proseguendo il nostro percorso alla scoperta del ruolo centrale di Maria Santissima nella Commedia dantesca, la troviamo ora quale modello di purezza per l’uomo. Ella, umana come noi, ma «capacissima di dare regola e ordine» ad ogni fibra del suo essere, e donare a Dio un cuore limpido e immacolato.

Purgatorio - canto XXV 

‘Summæ Deus clementïæ’ nel seno

al grande ardore allora udi’ cantando,

che di volger mi fé caler non meno;        v. 123

 

e vidi spirti per la fiamma andando;

per ch’io guardava a loro e a’ miei passi,

compartendo la vista a quando a quando. 126

 

Appresso il fine ch’a quell’inno fassi,

gridavano alto: ‘Virum non cognosco’;

indi ricominciavan l’inno bassi.  129

 

Parafrasi

Sentii allora cantare nel mezzo delle fiamme “Summæ Deus clementiæ” che mi fece interessare a volgermi verso quel canto (continuando a stare attento a dove indirizzavo lo sguardo) e vidi degli spiriti che vagavano nelle fiamme dividendo la vista a loro e ai miei passi. Terminato il canto di quell’inno gridavano a gran voce: “Virum non cognosco” e dopo riprendevano a cantare l’inno a bassa voce.

 

Durante una lunga digressione teologico-didascalica dettata da Stazio sul come le ombre delle anime possano dimagrire per il digiuno, su come l’anima razionale e le sue facoltà spirituali di memoria, intelletto e volontà, dono divino, venissero infuse nell’uomo e sulla formazione dei corpi aerei i tre poeti, Dante, Virgilio e Stazio, giungono alla settima cornice. I tre procedono stretti fra il precipizio e la parete infuocata nella quale camminano i penitenti. Il contrappasso è qui chiaro: arsi dalle vampe della passione incontrollata in vita, ora espiano il vizio commesso tra vampe spirituali. Le ombre lussuriose alternano il canto dell’inno latino Summæ Deus clementiæ (nella riforma del breviario operata da Urbano VIII nel 1631 verrà mutato l’incipit in Summæ Parens clementiæ) che nella terza strofa contiene un esplicito riferimento alla lussuria («Lumbos iecurque morbidum / flammis adure congruis, / accincti ut artus excubent, / luxu remoto pessimo [Brucia con fiamme convenienti i nostri lombi e il molle fegato, sì che le membra siano vigili e pronte, rimossa da noi la triste lussuria]» con il grido di tre esempi di castità: la Vergine Maria, Diana e coppie di sposi che «fuor casti come virtute e matrimonio imponne» (vv. 134-135)

Una prima considerazione da fare è sulla posizione dei lussuriosi nell’economia topica dei regni oltremondani. La lussuria, e presto entreremo nella descrizione di questo vizio, è un uso fuori misura dell’amore ma ne è pur sempre una declinazione, ed essendo Dio per stessa definizione amore (come leggiamo in 1Gv 4,16), troviamo i lussuriosi tra le anime più vicine a Dio e tra le più lontane possibile da Lucifero che è la negazione dell’amore. I lussuriosi sono infatti nel secondo cerchio dell’inferno, subito oltre il Limbo, quindi nella posizione più lontana da Lucifero e più vicina a Dio; nel Purgatorio li troviamo espianti nella settima cornice, subito prima del Paradiso terrestre quindi anche qui il più lontano possibile da Lucifero e il più vicino immaginabile a Dio.

Il termine lussuria è di origine latina, luxus, cioè rigoglio, eccesso, lascivia, sfrenatezza. Per Isidoro di Siviglia il termine significa «soluptio in voluptate», sciogliersi nel piacere, in altri termini perdersi, mentre il Cristianesimo predica per l’uomo l’esatto opposto, cioè ritrovarsi e ritrovarsi in Dio con la ragione e la moderazione degli affetti. San Tommaso nell’articolo 1 della quæstio 154 della Summa ci offre una definizione della lussuria: «Il peccato di lussuria consiste nell’uso irragionevole del piacere venereo». Conviene anzitutto qui sottolineare l’aggettivazione “irragionevole che sottolinea la perversione contro ragione ed ordinata non ad un fine di bene di un atto naturale. Nelle Quæstiones de malo XV afferma che: «Luxuria est quoddam vitium temperantiæ oppositum [La lussuria è il vizio opposto alla virtù della temperanza]»Sempre san Tommaso nelle Quæstiones de malo individua nell’atto lussurioso due modi: in riferimento al fine dell’atto venereo, o «per comparationem ad alios homines [in rapporto ad altre persone]»; sei specie: «Incestus, adulterium, stuprum, raptus, fornicatio simplex et vitium contra naturam [Incesto, adulterio, stupro, ratto, semplice fornicazione e peccato contro natura]»; e tre oggetti: «In Deum, in proximum, in seipsum [Contro Dio, contro il prossimo, contro se stesso]»Nel Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 2351 leggiamo: «La lussuria è un desiderio disordinato o una fruizione sregolata del piacere venereo. Il piacere sessuale è moralmente disordinato quando è ricercato per se stesso, al di fuori delle finalità di procreazione e di unione».

Come ormai ben sappiamo anche il primo esempio contrapposto a questo ultimo vizio è quello della Beata Vergine. La castità del cuore e la verginità del corpo di Maria sono il segno di chi utilizza la propria mente e il proprio corpo secondo ragione e in ordine al bene proprio e della natura, causa seconda della causa prima, perciò Maria è contrapposta ai lussuriosi e il suo ordine al loro disordine. L’episodio già citato è quello del dialogo fra l’Angelo e Maria durante l’Annunciazione, e a quell’Angelo che le annunciava una inaspettata e umanamente inspiegabile maternità, la Vergine risponde con le parole riportate dall’evangelista Luca: «Quomodo fiet istud, quoniam virum non cognosco? [Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?]» (Lc 1,34). L’episodio dell’Annunciazione era stato già riportato da Dante come esempio di virtù dell’umiltà contrapposto al vizio della superbia in Purgatorio X, 28-45, e anche in questo caso le parole di Maria non erano state tradotte ma lasciate in latino, probabilmente per conservare a questo mistero della vita di Cristo e di Maria una cornice sacra e liturgica, mentre in altri episodi Dante traduce le parole di Maria come nel caso del ritrovamento di Gesù adolescente nel Tempio narrato in Purgatorio XV, 82-93. Maria può essere davvero esempio di purezza per l’uomo in quanto non di natura angelica ma umana, proprio come noi, della stessa costituzione psicosomatica eppure capacissima di dare regola e ordine, e avere una limpidezza nel proprio cuore tanto da rispondere prontamente: «Virum non cognosco [Non conosco uomo]» (Lc 1,34).

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