CATECHESI
I principi della vita morale
dal Numero 38 del 27 settembre 2015
di Don Leonardo M. Pompei

L’uomo è realmente libero nel suo agire? A questa domanda bisogna rispondere affermativamente, deducendo altresì che essendo libero è anche responsabile di ogni suo atto con le rispettive conseguenze; meritevole dunque di premio o passibile di castigo.

Con questo articolo apriamo un nuovo capitolo in questa rubrica dedicata alla conoscenza della sana Dottrina cattolica alla luce del Magistero della Chiesa. Si tratta di ciò che attiene alla vita morale della persona redenta da Cristo. Il lungo excursus – fatto a suo tempo e varie volte ripreso – sulla polemica luterana circa la giustificazione ha in qualche modo introdotto le grandi problematiche coinvolte in questa materia: l’esistenza del libero arbitrio, la necessità della grazia per compiere opere buone e meritorie, la necessità di acquisire meriti per conseguire l’eterna Salvezza sono solo alcuni dei grandi temi inerenti a tale argomento. Seguiremo tale ordine: anzitutto un’ampia ed articolata presentazione del tema alla luce dei solari insegnamenti di san Tommaso d’Aquino; in un secondo momento una rassegna diacronica dei principali interventi magisteriali, sia su eresie – diciamo così – “di principio” (cioè inerenti errori generali sulla visione della vita morale dell’uomo) che su condanne “particolari” di certe posizioni attinenti la malizia (o meno) di determinati comportamenti concreti.
Cominciamo subito ad introdurre il discorso sulla volontarietà degli atti umani, che il Dottore Angelico spiega in modo molto chiaro, puntuale e articolato in ben quindici questioni della parte della Summa Theologiae dedicata a questo argomento (Summa Theologiae, I-II, qq. 6-21).
Appurato che l’uomo è un essere realmente libero dotato di intelligenza e volontà e quindi in grado di esercitare il libero arbitrio, i suoi atti, ordinariamente e salvo circostanze del tutto eccezionali e straordinarie, sono volontari, cioè a lui attribuibili come propri con tutte le loro conseguenze: la responsabilità dinanzi ad essi, il premio qualora si tratti di atti meritori, la punizione nel caso in cui essi siano cattivi. Solo i bambini hanno una volontarietà degli atti intrinsecamente imperfetta, in quanto, appena appresa una cosa come appetibile o dilettevole, subito si muovono verso di essa senza deliberare circa l’opportunità, la ragionevolezza o la convenienza di farlo e senza valutare i mezzi con cui raggiungere quel bene o quel fine. Gli animali, poi, che agiscono in base agli istinti, sono mossi in maniera quasi irreversibile verso ciò che apprendono come buono, valutando solo – nella loro rudimentale ed istintiva capacità – fattori del tutto sensibili (ed egoistici) circa la convenienza o meno del raggiungimento di un fine. Volendo fare un semplicissimo esempio, una iena affamata che veda un cervo certamente si precipiterà su di esso per ucciderlo e divorarlo; a meno che non sopraggiunga un leone che appetisca alla stessa preda. In questo caso, la iena dovrà, per forza, “cambiare menù”, perché sa bene che, in caso contrario, potrebbe diventare il secondo piatto del pranzo del leone!
Queste preliminari considerazioni sono, a dir poco, importantissime. Da quando l’essere umano acquisisce un sufficiente uso della ragione (la Dottrina comune della Chiesa pone i sette anni di età come il tempo da cui, ordinariamente, lo si reputa presunto, ma può, in concreto, avvenire prima o anche dopo), con la conseguente capacità di discernere il bene dal male, diviene responsabile dei suoi atti. Ecco perché i fanciulli possono cominciare ad accostarsi al sacramento della Confessione dai sette-otto anni in poi. Hanno già una sufficiente, anche se ancora incipiente, conoscenza del bene e del male, seguita da una capacità di rendersi conto di quello che fanno e di scelta se fare oppure no una cosa percepita come cattiva. Ne consegue che nessun argomento potrà mai in nessun modo essere utilizzato in chiave deresponsabilizzante o malamente scusante le cattive scelte dell’uomo. Si pensi, per esempio, a chi vive nella schiavitù della lussuria e si giustifica dicendo che “questo è umano” e che “è impossibile controllare istinti così forti e violenti”. Cosa del tutto falsa, come vedremo a mano a mano che ci addentreremo in questi argomenti, e peraltro smentita da innumerevoli testimonianze di uomini e donne, di ogni età e ogni stato che, con l’aiuto della grazia, raggiungono una piena conformità con la Volontà di Dio anche su questa materia. Gli istinti certamente esistono, perché indubbiamente una componente dell’uomo è comune con gli animali; ma – e questo è ciò che differenzia l’uomo dall’animale – si possono dominare, indirizzare o assecondare. Quindi, nell’uomo, gli istinti non esistono mai – come negli animali – allo stato “puro”: ma chiamano sempre in causa la volontà e il suo modo di relazionarsi ad essi; con conseguente peccato o atto di virtù, merito o colpevolezza a seconda di come si è concretamente agito. Senza speciose o inesistenti scappatoie o pseudogiustificazioni.

Casa Mariana Editrice
Sede Legale
Via dell'Immacolata, 4
83040 Frigento (AV)
Proprietario: Associazione CME Il Settimanale di Padre Pio. Tutti i diritti sono riservati. Credits