CATECHESI
Le restrizioni mentali. L’Ottavo Comandamento: “Non pronunciare falsa testimonianza”.
dal Numero 2 del 13 gennaio 2013
Di Don Leonardo M. Pompei

L’Ottavo Comandamento proibisce ogni forma di menzogna: anche le “bugie di scusa” o le “restrizioni mentali” non sono ammesse. Quando si parla bisogna prestare molta attenzione, se non si vuole venir meno a questo precetto.

L’Ottavo Comandamento recita testualmente: «Non pronunciare falsa testimonianza». Si capisce subito che l’oggetto immediato del Comandamento è la veracità, ma si intuisce altrettanto celermente che lo spettro di competenza di tale precetto si amplia, coinvolgendo tutte le nostre parole e ammonendoci circa il bene e il male che si può fare con il dono della parola. Non è senza motivo, infatti, che Gesù nel Vangelo abbia pronunciato queste parole, troppo poco meditate: «Io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato» (Mt 12,36-37).
L’apostolo san Giacomo, cugino del Signore e primo vescovo di Gerusalemme, fa eco a queste parole ammonendo circa i gravissimi danni (e i non meno gravi peccati) che possono originarsi da un uso balordo e sconsiderato della lingua: «La lingua è un piccolo membro e può vantarsi di grandi cose. Vedete un piccolo fuoco quale grande foresta può incendiare! Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell’iniquità, vive inserita nelle nostre membra e contamina tutto il corpo e incendia il corso della vita, traendo la sua fiamma dalla Geenna. Infatti ogni sorta di bestie e di uccelli, di rettili e di esseri marini sono domati e sono stati domati dalla razza umana, ma la lingua nessun uomo la può domare: è un male ribelle, è piena di veleno mortale. Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio. È dalla stessa bocca che esce benedizione e maledizione. Non dev’essere così, fratelli miei!» (Gc 3,5-10).
Queste severe parole del Nuovo Testamento trovano una limpida risonanza in reiterati interventi e moniti che si sono succeduti nel corso della gloriosa storia della Chiesa, che ha visto santi di primo livello scagliarsi risolutamente contro i peccati della lingua, che tanto male e tanto danno producono. Nel corso della nostra riflessione faremo riferimento in particolare ad alcuni passaggi delle celebri omelie del santo Curato d’Ars e a vari spunti di riflessione tratti da un aureo libretto del sacerdote salesiano dello scorso secolo, morto in concetto di santità, don Giuseppe Tomaselli, dal nome quanto mai significativo: I peccati di lingua. La materia è più seria di quanto si pensi, perché questi peccati sono commessi a cuore estremamente leggero anche da persone che professano vita devota e coinvolgono oggi il mondo della stampa e dei mezzi di comunicazione, che, sotto il pretesto specioso del diritto all’informazione (di cui fanno uso sconsiderato), ricoprono di infamia e ignominia la dignità di non poche persone, buone o cattive che siano.
Cominciando quindi dall’oggetto immediato e proprio dell’Ottavo Comandamento, esso, anzitutto, proibisce di mentire, riferendosi, in particolare, alla fattispecie (gravissima) della falsa testimonianza, da cui, come tutti sanno, possono derivare conseguenze estremamente dannose per la vittima. Si comprende da ciò immediatamente che quando la bugia assuma la forma grave di dichiarazioni mendaci rese in un processo oppure della calunnia (fattispecie che, peraltro, costituiscono altrettanti reati del Codice penale italiano), è senz’alcun dubbio da annoverare tra i peccati mortali e, come penitenza obbligata, comporta il dovere da parte del colpevole di rettificare pubblicamente le affermazioni false, sia che siano state rese in un processo sia che, attraverso la calunnia, abbiano leso l’onore e la buona fama del prossimo. Quando dunque la menzogna colpisce una persona ledendone gravemente l’onorabilità e la buona fama, il peccato è sempre e comunque grave e obbliga alla riparazione. Se la calunnia è diffusa tramite stampa o mezzi di comunicazione il peccato è ancora più grave e il dovere di riparazione comprende l’obbligo di usare, nella rettifica delle informazioni, gli stessi canali utilizzati per screditare il prossimo.
In seconda istanza è da ricordare che, trattandosi di un precetto negativo, il divieto di mentire è assoluto, nel senso che non è mai lecito, per nessun motivo, mentire, ovvero dire il falso. Le cosiddette bugie di scusa, pertanto, non si possono e non si devono mai dire, per nessun motivo. È ovvio che questo non comporta il dovere di dire sempre, a tutti, tutta la verità. Ma quello che si dice deve essere sempre vero. Si può dunque tacere la verità, in tutto o in parte, mai dire il falso. Tanto per chiarire la questione facciamo un esempio pratico di vita vissuta. Un avvocato non vuole essere disturbato e dice alla segretaria: “Se qualcuno chiama digli che non ci sono”. Se la segretaria rispondesse così, non sarebbe esente dal peccato (certamente veniale ma pur sempre peccato) di bugia di scusa. Uscire fuori dal problema, ottenendo lo stesso effetto, è tuttavia facilissimo. Basta dire: “In questo momento l’avvocato è occupato” (cosa verissima, tutti, in ogni istante della nostra giornata siamo occupati a fare qualcosa!!!) oppure: “Mi scusi ma in questo momento l’avvocato non è disponibile (oppure non può rispondere)”. Che bisogno c’è dunque di mentire? Si tenga presente che la stessa “procedura” può essere applicata per tutti i casi simili e analoghi, seguendo come criterio quello di dire sempre il vero pur senza dire tutto. I moralisti affermano che in casi davvero estremi (quando fare anche minimamente sospettare una verità da celare potrebbe produrre danni enormi), qualora non si riesca ad uscire dall’impasse in un modo analogo a quello indicato, è possibile usare la “riserva mentale”. Ovvero dire una cosa dandogli un’intenzione diversa da quella che appare (nell’esempio che abbiamo fatto, dico “l’avvocato non c’è”, sottintendendo nella mia mente “per te”). Ordinariamente, tuttavia, tale soluzione è da evitare, preferendo quella, che si acquisisce con un poco di impegno e di costanza, del dire il vero senza dire tutto. Ovviamente nel caso in cui si sia tenuti da segreti o giuramento (si pensi al segreto confessionale del sacerdote, al segreto professionale, oppure ad una confidenza ricevuta sotto segreto, magari confermato da giuramento di non dire nulla a nessuno), rispondere “non so nulla” ad una domanda diretta (tipo: “Che Tizio si è venuto a confessare?”, “che Caio è venuto nel tuo studio?”, “che Sempronio ti ha parlato di questa cosa?”) non costituisce peccato di bugia, perché, fuori del rapporto col custode del segreto (il penitente, il cliente e l’amico) realmente noi non sappiamo (e non dobbiamo sapere!) nulla.

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