CATECHESI
La Confessione. Sacramento di misericordia.
dal Numero 37 del 22 settembre 2013
di Padre Angelomaria Lozzer, FI

Per comprendere l’importanza e l’autenticità del sacramento della Confessione, «è importante e indispensabile attingere anche dalla storia primitiva e dai Padri della Chiesa». Nostro Signore in prima persona sprona alla confessione dei peccati e moltissimi santi dei primi secoli lo ribadiscono.

L’istituzione del sacramento della Penitenza: la storia
«Ciò che Cristo ha affidato agli Apostoli, costoro l’hanno trasmesso con la predicazione o per iscritto, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, a tutte le generazioni, fino al ritorno glorioso di Cristo» (CCC 96).
Gli Apostoli ammaestrati da Gesù spiegarono ai loro successori con maggiore precisione il senso con cui dovevano intendere le Scritture. Tanto più che se avessero inteso male le parole del Divino Maestro, Egli stesso sarebbe subito intervenuto a correggerli in tempo, giacché Egli conosceva i loro pensieri. Per questo è importante e indispensabile attingere anche dalla storia primitiva e dai Padri della Chiesa, oltre che dalla Scrittura, le Verità della nostra Fede.
Al riguardo, troviamo scritto negli Atti degli Apostoli che i primi cristiani si recavano ai piedi degli Apostoli e facevano la confessione delle loro colpe. Ecco le parole del Testo sacro: «E molti di quelli che avevano creduto, venivano a confessare e testimoniare le opere loro» (19,18).
L’Apostolo san Giovanni esortava i primi cristiani ad abbracciare questa santa pratica, dicendo loro: «Se noi confessiamo i nostri peccati, Dio è fedele e giusto da perdonarceli e mondarci da ogni iniquità» (1Gv 1,9).
Nei tempi poi vicini agli Apostoli troviamo san Clemente, discepolo e successore di san Pietro, il quale, esortando con una lettera i fedeli di Corinto a ricorrere alla misericordia del Signore per ottenere il perdono dei peccati, diceva loro: «Mentre siamo in questo mondo, convertiamoci di tutto cuore; perché quando ne saremo usciti non potremo più confessarci né far penitenza» (2Cor 8).
Dopo di lui molti altri Padri della Chiesa e scrittori ecclesiastici parlarono della Confessione come di un’opera praticata da tutti i cristiani. Nel II secolo, per esempio, abbiamo Tertulliano che nel suo libro De pœnitentia parla nel modo più esplicito della Confessione1; nel III secolo Origene, che fu uno dei predicatori più zelanti della Confessione2, e san Cipriano, che non finiva ai fedeli del suo tempo di raccomandarne la pratica3; nel IV secolo san Basilio4, sant’Ambrogio5, san Giovanni Crisostomo, san Gregorio Nazianzeno, ecc., che ne inculcarono la necessità e ne misero in luce l’efficacia; nei secoli seguenti dal V al XII una serie di scrittori sacri6 ne parlarono come ne parliamo noi oggi. Il fatto poi che la storia ci riporti il nome dei sacerdoti ai quali facevano la loro confessione i re e gli imperatori è un’altra prova in favore dell’uso che sempre si fece di confessarsi7. Dal secolo XII in poi, le testimonianze non si possono più enumerare.
Queste testimonianze ci provano che, se la Confessione fu costantemente e universalmente praticata dal tempo degli Apostoli fino a noi, essa non può che essere una istituzione voluta da Gesù.

1] Tertulliano nel suo libro De pœnitentia, dopo aver rimproverato quelli che per vergogna cercano di evitare o differire la confessione di se stessi, nel capo IX ci presenta i penitenti «che si prostrano ed inginocchiano ai piedi dei sacerdoti».
2] Origene, nel III secolo, avverte i penitenti che attendano bene a quale dei sacerdoti debbano confessare il loro peccato (in Ps. 37). In un’omelia al Vangelo di Luca afferma: «Se riveleremo i nostri peccati non solo a Dio, ma anche a quelli che possono porvi un rimedio, questi peccati ci verranno rimessi» (Hom. XVII in Lc).
3] San Cipriano nel suo libro De lapsis, c. XXIX, loda i peccatori del suo tempo, i quali «presso i sacerdoti di Dio con dolore e semplicità si confessano». In un’omelia scrive: «Io vi scongiuro, o fratelli, che ciascuno di voi confessi le sue colpe finché è ancora in questa vita, nella quale solamente la confessione può essere ricevuta» (Hom. II in Ps. 36). Sant’Ambrogio (cf. de Sacram.) e il Crisostomo (cf. Hom. XXII in Ioan.) soggiungono che «come non si ha vergogna e timore di mostrare al medico le piaghe del corpo, così non si deve sentire soverchio rossore a rivelare al sacerdote quelle dello spirito».
4] San Basilio, nel IV secolo, dichiara che «non si devono confessare i peccati se non a coloro che hanno il potere di cancellarli, a coloro ai quali è stato affidato l’incarico di dispensare i misteri di Cristo» (Un reg. Brev. interrog. 128-129).
5] Sant’Ambrogio (cf. de Sacram.) e il Crisostomo (cf. Hom. XXII in Ioan.) soggiungono che «come non si ha vergogna e timore di mostrare al medico le piaghe del corpo, così non si deve sentire soverchio rossore a rivelare al sacerdote quelle dello spirito».
6] San Giovanni Climaco nel VI secolo scriveva: «Non si è mai udito che i peccati di cui ci confessiamo al tribunale della penitenza si siano in verun tempo divulgati; e ciò ha permesso Dio, perché i peccatori non fossero distolti dal confessarsi e privati così dell’unica speranza di salute» (Scal. Grand. 4). San Cesario di Arles, nello stesso secolo, paragonava i peccati alle malattie, la confessione alla medicina e il confessore al medico (cf. Hom. VII de pœnit.). Nel primo concilio di Germania del 744 si stabilì che ogni comandante avesse un sacerdote per ricevere le confessioni dei soldati (cf. Can II, t. VI). Ne parla anche il concilio di Kent del 787 e poi i tre concilii di Parigi, di Pavia e di Colonia del IX secolo.
7] Sappiamo che Carlo Magno si confessava da Ildebrando, arcivescovo di Colonia e l’imperatore Ottone da sant’Ulderico, vescovo di Augsburg.

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