CATECHESI
“L’operaio ha diritto alla sua mercede”
dal Numero 33 del 26 agosto 2013
di Don Leonardo M. Pompei

I bisogni temporali della Santa Chiesa. Tale Precetto vuole salvaguardare la missionarietà della Chiesa che, per sussistere ed espandersi, geograficamente e dunque spiritualmente, necessita ovviamente di mezzi materiali. Ogni fedele perciò, secondo le sue possibilità, è chiamato a dare il suo contributo.

Il quarto Precetto generale della Chiesa regola il dovere di tutti i fedeli di partecipare, in modo proporzionato alle proprie possibilità, alle necessità materiali della Chiesa, affinché essa possa svolgere la sua missione evangelizzatrice, missionaria, pastorale e caritativa nel mondo. L’argomento è di quelli scottanti e anche su questo c’è tanto pressappochismo unito a scarsissima formazione (e informazione) da parte di non pochi fedeli. Peraltro alcune “leggende nere” collegate a recenti fatti di cronaca, contribuiscono ulteriormente a creare confusione e disinformazione su questo argomento.
Diciamo subito, per sgombrare immediatamente il campo da possibili equivoci, che il messaggio cristiano non ha assolutamente nulla a che fare né con il comunismo né con il pauperismo. La proprietà privata è lecita e conforme al disegno di Dio, non altera il principio della destinazione universale dei beni, la povertà evangelica è un consiglio e non un obbligo da vivere effettivamente da parte di tutti, e non è affatto vera l’equazione ricchi = peccatori incalliti, praticamente dannati e poveri = giusti sfruttati e perseguitati, sicuri abitatori futuri del Cielo. Il migliore amico di Gesù, Lazzaro, figlio del governatore della Siria Teofilo, non era certo un poveraccio (anzi!) e le eresie nate nel corso della bimillenaria storia della Chiesa da un’esasperazione rigida e apodittica della povertà evangelica non si possono contare. La Chiesa ha sempre insegnato che i beni, anche materiali (compresi i soldi), sono “beni”, certamente temporali e da doversi impiegare al servizio del bene (cosa tutt’altro che scontata), ma pur sempre “beni”. Certamente, a causa della condizione decaduta dell’uomo, l’avidità di beni e di denaro, la tendenza all’accumulo egoistico di essi con totale chiusura del cuore alle necessità del prossimo, rappresentano un pericolo assai reale, come insegna l’episodio evangelico del giovane ricco con il conseguente insegnamento di Gesù circa i pericoli delle ricchezze (cf. Mt 19,16-30 e paralleli) e l’analogo episodio dell’anonimo ricco epulone, condannato all’inferno per la sua totale chiusura di cuore alle necessità del povero derelitto Lazzaro (cf. Lc 16,19-31). Ma su questa, come su altre materie, il fedele cristiano deve formarsi e imparare, anche grazie all’ascesi e alla mortificazione, un uso buono e santo del denaro e dei beni materiali, consapevole del fatto che, se non sono certamente i principali e i più grandi, sono al tempo stesso indispensabili per sovvenire alle necessità e agli impegni della vita in questo mondo. Uso santo che consiste nel trattenere per sé e per la propria famiglia tutto ciò che è necessario ad una vita decorosa e dignitosa, senza indulgere a lussi gratuiti o esagerati, riservando il sovrappiù alle due destinazioni da sempre praticate e raccomandate dai maestri di spirito: le necessità dei poveri e i bisogni della Chiesa.
Il Nuovo Testamento ci fornisce numerosi esempi di questa primitiva presa di coscienza ecclesiale dell’importanza di quest’argomento e di come la carità, necessariamente, dovesse abbracciare anche queste dimensioni “concrete e terrene” dell’esistenza umana. I primi sette diaconi furono, infatti, istituiti per il “servizio delle mense” (cf. At 6), ovvero quella prima embrionale forma di carità con cui la Chiesa, attraverso le risorse di tutti i fedeli, sopperiva alla condizione di indigenza o miseria di alcuni suoi membri. Un fenomeno, questo, non solo circoscritto a livello locale (la Chiesa di Gerusalemme), ma praticato anche a livello “inter-ecclesiale”, come forma di solidarietà con cui le Chiese più ricche sovvenivano alle necessità delle comunità più povere. La famosa “colletta” organizzata da san Paolo a Corinto per una chiesa sorella, ne è solo uno tra i tanti esempi emblematici attestati dalle fonti (cf. 2Cor 8 e 9). Sono, inoltre, note e attestate dal secondo capitolo degli Atti degli Apostoli alcune consuetudini sorte spontaneamente nella comunità primitiva di Gerusalemme, quali quella di tenere alcune cose in comune o di vendere alcuni beni per condividere il ricavato con chi era privo del necessario. Infine san Paolo ricorda ai Corinzi come le spese per il suo sostentamento durante la missione nella loro comunità furono sostenute dalla Chiesa di Macedonia, per evitare che qualcuno potesse pensare che l’azione missionaria dell’Apostolo fosse mossa da fini non nobili e intenzioni non buone (cf. 2Cor 11,7ss).
Sulla base di quanto emerso da questo primo excursus, possiamo enucleare i seguenti principi fondamentali circa la Dottrina ecclesiale sui beni temporali. La Chiesa ha sempre realisticamente compreso la necessità dei beni materiali per questa vita, ripudiando inopportuni angelismi o pauperismi. Ha promosso nella coscienza dei fedeli, anche accogliendo alcuni liberi atti eroici (come la vendita di beni propri a scopo caritativo), la formazione su questo punto, insegnando che fa parte della sacrosanta “comunione dei santi” anche la disponibilità a condividere generosamente il denaro e i beni temporali e materiali. Consapevole dell’importanza fondamentale della missione apostolica e del fatto che gli Apostoli, per quanto santi e asceti, avevano (e hanno) bisogno almeno del necessario per mangiare, vestirsi e quant’altro occorre per lo svolgimento della loro missione, non ha esitato a promuovere una particolare sensibilità missionaria, accettando che le comunità cristiane si facessero carico delle esigenze economiche insite nella missione apostolica, sulla base dell’adagio evangelico del Signore secondo il quale «l’operaio ha diritto alla sua mercede» (Lc 10,7). La Chiesa, infine, ha promosso fin dalle origini delle “strutture istituzionali” che potessero provvedere in forma stabile e organizzata alle necessità dei poveri e degli indigenti della comunità.
Come si può agevolmente vedere, le moderne “conquiste” degli Stati sociali e del cosiddetto “Welfare” hanno antenati ben lontani, che fanno comprendere come la Chiesa ha svolto una funzione educatrice del mondo dal di dentro, in questo come in tanti altri settori del vivere, acquisendo degli evidentissimi meriti che non possono essere in nessun modo misconosciuti e che dovrebbero indurre ad estrema cautela chi non fa altro che gettare fango o sparare a vuoto sulla Chiesa e sulla sua missione nel mondo.

Fine prima puntata

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