RECENSIONI
Il suicidio occidentale
dal Numero 10 del 27 febbraio 2023
di Fabio Trevisan

A partire dalla sua esperienza negli USA, Federico Rampini analizza la crisi dell’Occidente, frutto di un processo di autodistruzione giustamente chiamato “cancel culture”. Tuttavia il Rampini non va oltre a una denuncia di singoli atti, poiché dimentica la dimensione essenziale dell’uomo: quella soprannaturale.

In uno degli ultimi saggi di Federico Rampini Suicidio occidentale (di Federico Rampini, Mondadori, pp. 252), l’Autore analizza, a partire dalla sua esperienza ventennale negli Stati Uniti, la crisi occidentale o, meglio, il declino dell’Occidente. Il sottotitolo del volume, Perché è sbagliato processare la nostra storia e cancellare i nostri valori, mette a fuoco l’autodistruzione che si sta compiendo attraverso quella che è stata denominata “cancel culture” (cancellazione della cultura). Sin dall’introduzione Rampini, che è editorialista del Corriere della sera e membro del think tank internazionale Council on Foreign Relations, sottolinea quello che sta accadendo sul territorio statunitense dove, testuali parole: «Solo le minoranze etniche e sessuali hanno diritti da far valere e nessun dovere». In questo clima ideologico, dove si sta compiendo un’incredibile dittatura del pensiero unico, l’Autore tenta di porre il suo volume-pamphlet come guida, avvertimento e allarme per esplorare il disastro in corso. Federico Rampini, volto noto anche in televisione, ha l’onestà intellettuale di partire nella sua disamina non nascondendo il retaggio della sua formazione culturale: «Vecchio marxista-gramsciano in me», denunciando l’alleanza tra capitalismo finanziario e Big Tech (Silicon Valley) e l’ambientalismo estremo che demonizza il progresso economico, rimproverando a sé e alla sua generazione l’incapacità di travalicare quella che identifica come “maggioranza silenziosa” e spesso inerte dinanzi allo scenario che si sta svolgendo dinanzi ai nostri occhi. 


“Columbus Day”
Fino a poco tempo fa, il secondo lunedì di ottobre, si festeggiava in tutti gli Stati d’America il “Columbus Day”, in memoria della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo il 12 ottobre 1492. Da un po’ di tempo, come rileva Rampini, il “Columbus Day” viene percepito ed equiparato alla celebrazione di un genocidio, di una strage di nativi, tanto che in alcuni Stati e in tante città statunitensi è stato sostituito dall’“Orgoglio Indigeno”, segno di un’ostilità nei confronti del “suprematismo bianco”. A nulla servono, come sottolinea l’Autore, la realtà storica dei fatti e le sue ragioni, in quanto si sta imponendo una nuova narrazione, ossia che la disprezzata “razza bianca” ha distrutto civiltà pacifiche, rispettose dei diritti umani, in armonia con la natura. Questa narrazione mitologica ha gli stessi presupposti, come rileva Rampini, del movimento hippy, della Summer of Love di San Francisco del 1967, dove le comunità stavano in mezzo ai boschi e sui monti, e si connette con quella che l’Autore chiama “Generazione Greta Thunberg”, replica di quell’ambientalismo sessantottino e riproposizione di un’improbabile Arcadia contemporanea. Anche l’assalto al “Thanksgiving Day” si pone in questa prospettiva della “cancel culture”. L’episodio risalente al 1621 a Plymouth (Massachusetts), dove 52 coloni inglesi sopravvissuti tra i Padri Pellegrini del veliero “Mayflower” fecero un trattato di pace con la tribù indiana dei Wampanoag, una delle più importanti ricorrenze storiche statunitensi, viene sempre più percepito come un atto ipocrita dei coloni inglesi e quindi progressivamente da estirpare dal cuore e cassare dai calendari (il “Thanksgiving Day” si celebra il quarto giovedì di novembre). 


I nuovi puritani
Il limite che si trova nel saggio di Federico Rampini non è quello di un’esauriente fenomenologia di quanto è accaduto e accade negli Stati Uniti; al contrario, il saggio è ricco di date, di riferimenti intellettuali a saggi, eventi, memorie del passato. Il limite è piuttosto rinvenibile nella formazione stessa del saggista, nella sua estrazione pragmatica e atea di chi afferma di non avere alcuna fede da difendere. Pertanto la rilevanza che egli dà al peso delle origini puritane negli USA è insufficiente a farci capire pienamente le origini religioso-filosofico-storiche del processo di cancellazione della cultura in atto. A questo proposito, per aiutare a una maggiore comprensione del fenomeno autodistruttivo dell’Occidente, rimandiamo alla lettura dell’ultimo Bollettino dell’Osservatorio di Dottrina Sociale della Chiesa: L’evangelizzazione delle Americhe. Contro la cancel culture. Rampini fa bene a rammentarci quanto il pensiero unico stia dilagando nelle grandi università americane, quanto la Free Disinvitation Database (banca dati che permette che un oratore sia dichiarato “persona non grata”) stia imperversando nella programmazione dei meeting, quanto il politically correct transgender (agenda transgender) sia arrivata al punto da ritenersi offesa se qualcuno chiama latinos anziché latinx una persona proveniente dai paesi latino-americani. Certamente questa nuova “pulizia” del linguaggio imprime sempre più un carattere “fluido” al pensiero, alla persona, alla storia, ma non tutto è ascrivibile al solo peso del puritanesimo delle origini. Il cosiddetto “Great Awakening” (Grande Risveglio) non è espressione del DNA puritano degli USA né il clima di “caccia alle streghe” può essere ricondotto unicamente al puritanesimo di matrice religiosa. 
Fa bene Rampini a denunciare l’invasività dei social media nella vita delle giovani generazioni e a sottolineare le manipolazioni del capitalismo digitale; ma additare i giovani quale generazione Snowflakes (“fiocchi di neve che si squagliano”) senza proporre soluzioni alternative, mi è sembrato carente di prospettiva, di speranza, di carità.


Antirazzismo e ambientalismo
Rampini denuncia a ragione la violenza black on black (del nero sul nero) spesso taciuta per suffragare la violenza, soprattutto degli episodi in cui la polizia interviene nei confronti degli afro-americani, dei bianchi sui neri. Il sorgere del movimento Me Too di Tarana Burke attesta la violenza del nero sul nero, ma i media si focalizzano sulla demolizione pianificata dell’identità nazionale americana (Critical Race Theory), sul manifesto ideologico contro l’uomo bianco del “1619 Project”, ossia della damnatio memoriæ dello sbarco in Virginia della prima nave carica di neri, avvenuta appunto nel 1619. Così l’ideologia ambientalista ha il sopravvento sulla realtà scientifica attestata, ad esempio, dal fisico Steven E. Koonin nel saggio Unsettled del 2021 dove, distogliendosi dal quadro apocalittico ambientalista, rileva con dati scientifici l’assenza di legami tra cambiamenti climatici e siccità, la verità sullo scioglimento dei ghiacciai o sugli incendi, in particolare in California, dove le cause possono rinvenirsi da tralicci elettrici insicuri piuttosto che da invenzioni ambientaliste che imputano la colpa ai deplorevoli comportamenti dell’uomo. Il nuovo paganesimo ambientalista viene suffragato non solo dalle parole di Greta, giovane icona ambientalista, ma soprattutto da dichiarazioni come quelle del segretario ONU, António Guterres: «La specie umana si suiciderà con l’emissione di anidride carbonica», o di Paul Watson, fondatore di “Greenpeace”: «Non mi importa cosa è vero, importa solo ciò che la gente crede sia vero».


Conclusioni
I guantoni da box americani appesi al chiodo (immagine di copertina del saggio di Rampini) vorrebbero esprimere la resa, il suicidio occidentale dinanzi all’assalto della “cancel culture”. A fronte della deriva delle democrazie occidentali a favore di società oligarchiche non è sufficiente rilevare la visione disincantata sui limiti della propria potenza (come osserva in merito agli Stati Uniti), ma piuttosto analizzare in profondità le cause che hanno portato a quella che Federico Rampini chiama «febbre dell’autodenigrazione nell’Occidente». Il libro di Rampini non va oltre la denuncia di singoli atti e processi, in cui coglie il filo rosso del puritanesimo delle origini, e questo, secondo il mio punto di vista, è pure il frutto amaro del secolarismo, ossia dell’impossibilità di poter comprendere in profondità la natura dell’uomo ponendosi fuori da una dimensione soprannaturale. Senza Dio non solo tutto è possibile ma ci è preclusa la capacità di poter capire pienamente le forze, anche spirituali, in atto.  
 

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