MARIA SS.
Attratti dalla sua grazia e sapienza | Quinto mistero gaudioso
dal Numero 7 del 12 febbraio 2023
di Suor M. Elisabetta della SS. Trinità

Nel santo Rosario troviamo preziosi spunti di meditazione per familiarizzare con il mistero dell’inabitazione trinitaria nella nostra anima in grazia. Per scoprire e approfondire questo sublime dono, vogliamo considerare i venti misteri del Rosario “in luce trinitaria”.
 

Per lasciarci irradiare dalla luce trinitaria del quinto mistero gaudioso dobbiamo immaginare di trovarci nel Tempio di Gerusalemme e contemplare il Fanciullo divino, «seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava» (Lc 2,46). Gesù aveva circa 12 anni e, da come fa capire il Vangelo, si trovava a suo agio “seduto in mezzo ai dottori”, ai grandi saggi e studiosi della Sacra Scrittura. Il Verbo Incarnato si trova, infatti, nel Tempio del Padre suo e, pur nella sua giovane età e umanità, la sua Persona divina non poteva che irradiare un fascino e una sapienza che superava quella del giovane profeta Daniele, di Mosè o di tutti i profeti. 
La Sapienza incarnata spiega e illumina le Scritture ai “grandi dottori” del Tempio. Non è difficile immaginarsi gli sguardi e l’attrazione che questi uomini provavano intorno al giovane Gesù, la loro sete di ogni parola che usciva dalla sua bocca divina. Era Dio stesso che parlava loro e lo stupore si mescolava con l’incanto, il desiderio di non smettere di ascoltarlo, di guardarlo, di contemplarlo. La perfezione divina si irradiava da Lui ma soprattutto glorificava il Padre che è nei Cieli. 
Contemporaneamente, questi tre giorni nel Tempio sono ricordati come un grande dolore per Maria Santissima e san Giuseppe. «Figlio – chiese la Madonna –, perché ci hai fatto questo? Ecco tuo padre e io, angosciati ti cercavamo» (Lc 2,48). Dionigi il Certosino ci assicura che questo «non fu un rimprovero materno, ma un far presente il dolore della lontananza». Infatti, come ben spiega sant’Alfonso M. de’ Liguori, «il Signore si allontana dagli occhi di chi lo ama, ma non dal cuore». Inoltre, quando Gesù risponderà alla Madre: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49), non sarà una risposta irriverente e sovversiva, ma esplicativa di come Lui, in quanto Verbo, sia un tutt’uno con il Padre, se pur velato dall’umanità. La Madonna a tale risposta non poteva che immergersi ulteriormente nell’adorazione dei disegni divini «serbando tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,51). 
Il Cuore Immacolato batteva all’unisono con quello del Figlio e ciò che era volontà divina era la sua stessa volontà. Il fatto che Gesù si sia soffermato tre giorni per insegnare ai dottori della legge, illuminandoli sulla verità e sulla sapienza divine, ci mostra l’attenzione di Gesù per ogni singola anima, soprattutto se è alla ricerca di Dio, se ha sete di Dio. La vocazione, la personale chiamata che Dio fa ad ogni uomo, necessita di una risposta immediata e non si può rimandare davanti ad alcuna necessità anche umanamente inderogabile. Lo Spirito Santo che ardeva nel Cuore divino, in quei giorni, saliva al Padre più che il fuoco sul monte Oreb quando Mosè parlò dal Roveto ardente. Infatti, i dottori che ebbero la grazia di intrattenersi con la Sapienza incarnata si sentivano infervorati dal desiderio di conoscere, amare e servire Dio. I loro cuori percepivano la presenza di Dio e la loro sete di sapienza si accresceva man mano che il contatto con la presenza divina colmava di grazia e di luce le loro menti. Se fosse stato possibile, l’avrebbero trattenuto sicuramente, poiché, come insegna il Dottore Serafico, san Bonaventura da Bagnoregio, «nulla basta all’uomo che non sia la Trinità». Essi percepivano da Lui quella “fonte di sapienza” che, nascosta, era la stessa fonte della Sapienza increata che ha creato il cielo e la terra. 
Questo magnifico mistero dello smarrimento e ritrovamento di Gesù al Tempio, quindi, ci mostra ulteriormente come la Santissima Trinità si irradi in ogni azione del Verbo Incarnato, Mediatore tra noi e il Padre. Gesù, ancora fanciullo, ricorda quanto sia grande la responsabilità dei teologi, dei sacerdoti e di tutti gli educatori nei confronti delle anime loro affidate. Responsabilità che necessita l’annientamento del proprio “io” al fine di trasmettere, a chi è assetato di verità, la bellezza, la dolcezza e la perfezione divine. 


“Potente torre che svetta verso il cielo come testimone della fede”
Quando il beato Giovanni Duns Scoto si trovò alla famosa disputa per difendere la dottrina sull’Immacolata Concezione, fu davvero un’apoteosi. L’evento si svolse all’Università della “Sorbona” di Parigi e lui, giovane e povero fraticello francescano, era attorniato da tutto il corpo accademico di quel tempo. Fu un momento storico, che in un certo senso ci ricorda l’emanazione di grazia che il Verbo Incarnato dovette irradiare sui dottori della legge nel Tempio di Gerusalemme. 
Il Dottore Sottile — così è noto il beato Duns Scoto —, ad imitazione di Gesù, aveva nutrito sempre un grandissimo amore verso la Mamma celeste, tanto che, prima della disputa, passando davanti a una statua della Madonna, le aveva chiesto con riverenza ma anche con dolce familiarità: «Concedimi di lodarti, o Vergine Santa; dammi forza contro i tuoi nemici». La statua – fatta di pietra – rispose con un prodigioso segno: inchinò il capo verso il Beato come per acconsentire alla richiesta supplichevole e filiale. Difatti fu un trionfo. Al momento della disputa il “professor” Giovanni era trasfigurato, il suo volto irradiava una luce celestiale... espose con ragionamenti sottili e luminosi la verità dell’Immacolata Concezione, quale dono di Dio per l’umanità: Dio Padre che scelse l’Immacolata fin dall’eternità, il Figlio che in virtù dei meriti della futura Redenzione la preservò dal peccato originale e lo Spirito Santo che operò tale capolavoro di gloria per l’Onnipotenza divina. 
I professori, gli studenti e perfino gli avversari di fronte a tale dottrina e a tanta sapienza rimasero stupiti, intuendo che ciò non era semplicemente frutto di un grande ingegno, ma che la grazia aveva ispirato una tale sublimità di parole e di pensiero. Tutti non poterono che gridare all’unisono: «Scoto ha vinto!». 
San Giovanni Paolo II nel 1980 definì il beato Duns Scoto «potente torre che svetta verso il cielo come testimone della fede», e non a caso sarà ricordato per sempre come il Dottore dell’Immacolata, il Dottore del Primato assoluto di Cristo!  

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